Vicenza: l’urbanistica per piccole rivoluzioni quotidiane

Dietro ogni esperienza di opposizione a scelte urbanistiche che considerano il territorio come supporto indifferente per operazioni che poco o nulla hanno a che fare con gli interessi della città si cela, a mio parere, una grande occasione di crescita culturale e civica. La sfida vera è quella di saperla riconoscere.

È quanto stiamo sperimentando a Vicenza, città della provincia veneta nota per la sua voglia di primeggiare sul campo economico, anche per essere stata culla dell’opera palladiana, molto meno, forse, per la capacità di mettere in campo azioni che dimostrino l’esistenza concreta di un interesse diffuso, univocamente condiviso, per ciò che riguarda il suo destino.

immagine_lederL’orizzonte urbanistico non ci aiuta: ma questa però non è una peculiarità vicentina. Se guardiamo indietro, scorrendo gli ultimi due decenni, constatiamo che c’è stato un proliferare di strumenti di gestione del territorio, tutti fondamentali per comprendere come si siano prodotti i territori che abitiamo, eppure assolutamente incomprensibili alle persone comuni, sia nei contenuti che nei fini: strumenti che per lessico sintassi sembrano essere stati concepiti per escludere una vera partecipazione dei cittadini allo sviluppo condiviso della cultura urbana e per offrire agli esperti del mestiere un campo d’azione esclusivo, il monopolio assoluto, dove esercitare indisturbati il loro potere professionale.

Il diritto alla città, come ci ricordano Lefebvre e poi Harvey, e più vicino a noi ci aiuta a comprendere con semplicità e limpidezza Edoardo Salzano, si concretizza necessariamente secondo due modalità: quella che consente di accedere a ciò che la città può offrire, come luogo di svolgimento della nostra vita sociale; e quella che esprime il diritto a partecipare al suo governo interagendo con coloro ai quali è affidato il compito di amministrare, ovvero di prendersi cura dell’organizzazione e della gestione di un bene collettivo.

La consapevolezza che l’impegno civico e la partecipazione alle realtà associative che si occupano di ambiente, territorio, patrimonio culturale, possano davvero incidere positivamente e far emergere, in tutta la sua gravità, il danno collettivo prodotto dal “vantaggio effimero di un’azione speculativa” (Vallerani, Varotto, 2005), non è ancora del tutto matura. E non lo è di certo in un contesto come quello vicentino che ancora oggi, malgrado tutti i cambiamenti avvenuti, continua ad autorappresentarsi come realtà operosa, mediamente colta, poco incline alla ribalta e alla polemica troppo diretta.
In questo contesto, qualche anno fa è nato OUT – Osservatorio Urbano Territoriale di Vicenza: una piccola è dirompente novità in un panorama fatto di un associazionismo vivo ma forse ancora troppo autoreferenziale e dunque incapace, di costruire un’adeguata massa critica.

OUT è un tavolo di discussione che aggrega associazioni ambientaliste locali (Civiltà del Verde, Italia Nostra, Legambiente) a comitati e cittadini nell’intento di trovare uno spazio per approfondire, e quindi verificare e correggere, le scelte urbanistiche messe in atto dall’Amministrazione comunale. Sin dall’inizio l’attenzione è stata posta su alcune questioni urbanistiche più scottanti, poco conosciute o male illustrate alla città, che hanno fatto comprendere ai partecipanti alle attività dell’Osservatorio quanto difficile potesse prospettarsi il lavoro che ci apprestavamo a fare.

I nostri due più importanti e delicati cavalli di battaglia, che spiccano tra molti altri altrettanto importanti, sono diventati oggetto di interesse nazionale portando Vicenza, forse suo malgrado, ad occupare le pagine dei giornali nazionali. Due questioni distinte ma paradigmatiche.

La prima dà conto dell’esito devastante di un’operazione di cosiddetta riqualificazione urbana che ha interessato l’area dove sorgeva, operante sino agli inizi degli anni ’80, un complesso industriale (Cotorossi). A quello che si sa l’area è passata dalle mani di note e solide famiglie vicentine a quelle di società immobiliari riconducibili al gruppo di Berlusconi e trasformata, a totale scapito della fragilità ambientale e paesaggistica del contesto e in violazione di varie norme, in luogo dove incautamente costruire l’edificio del nuovo tribunale provinciale (una massa edilizia, rozza e indifferente al contesto, che svetta su tutto lo skyline urbano) e un complesso multifunzionale, commerciale, residenziale, terziario che occupa la restante parte dell’area creando uno spartiacque fisico e visivo dove storicamente, proprio perché in anche presenza di due fiumi, si aveva un lento degradare dalla collina alla campagna. E non una collina e una campagna anonime, bensì il contesto che inquadra e fa da sfondo alla Rotonda del Palladio!

La seconda riguarda invece la questione del passaggio dell’Alta Velocità/Alta Capacità nel territorio vicentino, come tratto di completamento della linea Milano-Venezia: un’occasione offerta alla città non per discutere sull’opportunità e utilità dell’opera, quanto piuttosto per rilanciare in modo surrettizio progetti urbanistici stagnanti, bisognosi di nuovo vigore che viene trovato tra le pieghe del progetto di questa opera infrastrutturale e delle sue opere complementari.

La città sinceramente non ha ancora capito il senso di quello che l’Amministrazione comunale ha chiesto di avere come contropartita alla società ferroviara. È chiaro che si vuole rilanciare l’area della Fiera collocandovi una nuova, megastazione ferroviaria, e dismettere l’attuale in centro storico rimettendo in gioco con progetti di valorizzazione urbanistica le aree di pertinenza ferroviaria; che si vuole costruire una seconda stazione in zona tribunale (Borgo Berga), ad uso della linea ferroviaria regionale, così da non considerare del tutto inutile il megacomplesso edilizio costruito dove leggi e buon senso dicono ancora oggi che non si sarebbe dovuto edificare; infine che si vuole realizzare un tratto di filobus urbano per collegare le due future stazioni e garantire che queste non si trovino troppo isolate.

Ma la città, fatta di persone sempre più informate e sensibili ha cominciato a far sentire la sua voce e a muoversi. E così si sono intensificati gli incontri pubblici, le assemblee nei quartieri e le occasioni per approfondire la conoscenza di questioni che interessano tutti e che tutti hanno diritto di mettere in discussione.

Così, mentre tutto ciò ancora è in divenire, vengono in mente le parole di Le Corbusier quando affermava «non si rivoluziona facendo le rivoluzioni, si rivoluziona presentando possibili soluzioni». Ed è proprio questo il compito che molti di noi si sono dati: quello di fornire occasioni e strumenti per provare a porre domande, sollecitando curiosità e voglia di capire, per ricostruire quel dialogo orizzontale tra amministrazioni, progettisti e cittadini che consente, come ci ricordava De Carlo (Marini 2013), di ridurre gli errori per rendere la partecipazione davvero possibile.

*Francesca Leder, urbanista, attiva nell’OUT, Osservatorio Urbano Territoriale di Vicenza