L’area Ex-Breda di Pistoia: un caso di urbanistica maltrattata

Ecco il primo articolo della nuova rubrica de La Città invisibile dedicata a Pistoia e curata da Antonio Fiorentino. Qui la presentazione.


La vicenda del recupero delle aree delle Officine Breda a Pistoia attraversa e condiziona pesantemente gli ultimi cinquant’anni di storia della città. Come è noto, l’area di circa 20 ettari, posta a ridosso del lato meridionale delle mura medicee, si è liberata nel 1973, in seguito al trasferimento, verso sud-ovest, degli impianti della Breda Costruzioni Ferroviarie. Il primo piano di lottizzazione risale al 1963: dopo più di 50 anni la maggior parte degli interventi non è stata completata.

Bisogna ammettere che in questi ultimi anni il processo di recupero ha avuto una certa accelerazione: è stata realizzata una bella biblioteca comunale; il polo universitario ha trovato gli spazi adeguati alla propria funzione; un’area espositiva e polifunzionale  – “la cattedrale” – è stata completata. Per il resto, scavi di fondazione, scheletri di edifici, ammassi di terre di scavo, strutture quasi completate ma inutilizzate, si susseguono a testimoniare l’inadeguatezza della classe politica locale, sia sul piano culturale (non si è dimostrata in grado di apprezzare le positive intuizioni delle proposte dell’architetto De Carlo, come vedremo), sia sul piano di una gestione efficace, e conveniente per la collettività, delle trasformazioni previste.

pistoiaCome è potuto avvenire tutto ciò? È necessario andare indietro nel tempo. La prima fase è caratterizzata da un forte spirito innovatore, sia sul piano politico che culturale. L’amministrazione comunale intuisce che è necessaria una forte regia pubblica della trasformazione, acquisisce le aree, approva l’innovativo piano dell’architetto De Carlo, costituisce la società San Giorgio che avrebbe dovuto avere un ruolo guida nella gestione del recupero, approva (1993) anche la variante generale del PRG che recepisce in toto il piano De Carlo.

L’anno di svolta è il 1995. Dopo un breve periodo di stallo, comincia una seconda fase, durante la quale viene decisa la revisione totale del progetto. L’amministrazione giustifica il cambiamento di linea con la difficoltà nel trovare gli investitori e le risorse finanziarie necessarie a realizzare gli interventi previsti. Abdica al proprio ruolo di direzione delle trasformazioni per affidarsi all’iniziativa dei privati. È l’inizio della fine. I privati impongono il ruolino di marcia cercando di lucrare sulle superfici da edificare, sulle destinazioni, sui tempi, imponendo quindi la propria regia, che si dimostrerà fallimentare per l’operatore pubblico e quindi per la collettività.

Con il successivo piano particolareggiato – “piano Stilli” (1998) – è messa in opera la revisione del programma: l’amministrazione decide di anticipare gli interventi nella parte ovest (ca. 2,5 ha) dell’ex Breda affidandosi ad un attuatore privato scelto mediante gara pubblica. Questo intervento avrebbe dovuto svolgere il ruolo di volano di risorse finanziarie per attuare poi le previsioni nella porzione est. È lo stesso sindaco dell’epoca a chiarire quanto stava avvenendo: “il recupero dell’ex Breda – sostenne Scarpetti – si è messo in moto dopo anni di stallo non grazie alle ispirate ma irrealizzabili soluzioni ideate da architetti di valore (leggi: piano De Carlo) ma perché la sua giunta decise di offrire ai privati innanzitutto il redditizio recupero dell’area ovest, dove sono stati realizzati case, uffici e negozi” (Il duello Belliti-Scarpetti, “Il Tirreno”, 9 agosto 2011).

Con un rialzo irrisorio rispetto al prezzo base dell’area e l’obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione (viabilità, verde pubblico, parcheggi, reti e impianti tecnologici, ecc.), la società Giusti nel 1997 si aggiudica l’asta pubblica, divenendo di fatto il dominus della trasformazione e ipotecando il completamento della porzione est.

Nel giro di sette anni si completano i lavori sui 2,5 ettari della parte ovest che è inaugurata nel 2004. Gli interventi di edilizia residenziale e commerciale sono molto redditizi per il privato, mentre il bilancio per il Comune “risulta a malapena a pareggio”1. Non mancano i colpi di mano del privato che trasforma un’ampia area a verde pubblico, cuore del quartiere, in un parcheggio a servizio di un supermercato che nella convenzione non era previsto. Cosi è, se vi pare!

Nella zona est si accentua il degrado dei fabbricati industriali che De Carlo avrebbe desiderato recuperare, riportare a nuova vita e integrare con il contesto urbano e territoriale. Il piano Stilli modifica sostanzialmente le previsioni De Carlo e soprattutto elimina i vincoli sugli edifici industriali dell’ex Breda che da quel momento potranno essere demoliti.

Il Comune decide ancora una volta di affidarsi ad un operatore privato, errore che si ripercuoterà sulla attuazione delle successive trasformazioni. Nel 2002 la Giusti, guarda caso, si aggiudica la seconda asta pubblica, sulla base di un bando esplorativo del Comune che insolitamente cede l’area in cambio della “realizzazione delle opere di urbanizzazione che non dovrebbero far carico al Comune stesso ma agli assegnatari”2. Una condizione curiosa è che viene richiesta in cambio “la cessione di aree in altra parte della città totalmente estranee al contesto aree ex Breda riducendo così a pochissimi imprenditori l’opportunità di partecipare”3. La Giusti inoltre avanza delle “proposte che di fatto con l’aumento del 46% della superficie utile costruibile e la riduzione dei costi tende evidentemente a moltiplicare i profitti speculativi”4. Non solo, ma nella relazione di partecipazione al bando si afferma candidamente che “la proposta progettuale illustrata richiede una variante al Piano di Recupero per una diversa configurazione dei lotti […] e delle modalità dei parametri di intervento edilizio sui fabbricati”5. In altri termini: se la proposta non è compatibile con le norme, si cambino norme e relativo Piano! È il naturale e triste epilogo dell’azione di governo che cede facilmente alle sirene dell’urbanistica contrattata, per poi ritrovarsi imbrigliata nelle reti della più bieca speculazione edilizia.

Intorno alle proposte dei privati ovviamente accolte, anche se solo in parte, si definisce il piano particolareggiato del 2005, che è quello attualmente di riferimento, salvo una variante normativa del 2014.

Qual è il bilancio di queste operazioni? Non si può negare che nell’area troveranno posto importanti servizi pubblici quali la Questura, Prefettura, Agenzia delle Entrate, ecc. (peraltro desertificando il centro che perde funzioni rare), oltre la già menzionata Biblioteca e il Polo Universitario. Ma a che prezzo? C’è chi sostiene che l’operazione per la zona est, da un punto di vista economico, è in pesante perdita per le casse comunali. Sul piano culturale è stato dilapidato un patrimonio di ricche e innovative proposte urbanistiche e architettoniche6 mentre la logorante ed estenuante trattativa con i privati ha rallentato enormemente il completamento dei lavori: a tutt’oggi solo un quarto della superficie delle opere è completato e utilizzabile, un altro quarto circa è quasi completato ma non agibile, la restante metà della superficie non è stata ultimata, le opere di urbanizzazione sono ancora nel libro dei sogni.

L’area ex Breda si presenta ancora come una lacerazione irrisolta del tessuto urbano di Pistoia. Gli amministratori dovrebbero quindi ripensare profondamente le proprie strategie di intervento sulla città, avendo cura di non delegare agli interessi privati delle imprese la gestione delle trasformazioni urbane, di evitare la valorizzazione speculativa delle aree di recupero per ripianare debiti o deficit di bilancio, di non essere subordinati alle scelte dei vari consigli di amministrazione. A Pistoia, le occasioni di riscatto – il recupero dell’ex Ceppo e delle Ville Sbertoli, il completamento del Nuovo Ospedale, ecc. – non mancano. I cittadini vigileranno attentamente.
(1 – segue)

*Antonio Fiorentino, architetto, gruppo urbanistica di perUnaltracittà