Il recupero di un’area indebitata: l’ex ospedale del Ceppo

Ecco il terzo articolo della nuova rubrica de La Città invisibile dedicata a Pistoia e curata da Antonio Fiorentino. Qui la rubrica con il sommario e il primo articolo.

Il recupero dell’area dell’ex Ospedale del Ceppo è una delle operazioni di rigenerazione urbana tra le più significative e importanti attualmente in corso in Toscana. Si tratta di un intervento su un’area di sette ettari e mezzo circa, interna alla cerchia delle mura medicee, e liberatasi in seguito al trasferimento del nuovo ospedale costruito in area periferica con project financing.

L’intervento di recupero, in un luogo di alto valore storico e monumentale, ben collegato alla città, rischia di trasformarsi in un’operazione di mera ragioneria immobiliare: in questa straordinaria occasione di rinnovo urbano, Regione e ASL devono “fare cassa” alla ricerca dei 18 milioni che quest’ultima si è impegnata a versare per compensare la follia del nuovo ospedale.

aerofoto ceppoIl recupero dell’ex Ceppo nasce quindi con un debito congenito che non potrà non condizionare le scelte successive. Scelte che saranno necessariamente orientate nel senso della massima valorizzazione dell’area, all’insegna della privatizzazione e della realizzazione di volumi residenziali da vendere sul mercato immobiliare, valorizzazione per di più orchestrata da soggetti pubblici quali la Regione e l’ASL.

Non è un caso quindi se il Piano per il centro storico (Cervellati, 2006-2008), efficace da un punto di vista del recupero storico-architettonico dell’area, accogliendo le sollecitazioni di Regione e ASL, destina il 41% circa della superficie utile a residenze private e attività commerciali, più o meno di vicinato. La vendita di questi volumi dovrebbe consentire il rientro dal debito. Le previste funzioni culturali e museali, le aree verdi, il parcheggio e le restanti attività sanitarie (molte delle quali sono ancora molto incerte), sembrano di corredo alla scelta iniziale. Siamo insomma al debito come principio motore di una prassi urbanistica poco corretta. Ma è proprio questo il futuro che ci aspetta?

Vale la pena ricordare che, tra le soluzioni del piano Cervellati, quella approvata nel 2007 –Mappa destinazioni ex ceppo sindaco Renzo Berti, dipendente ASL –, è stata la più impattante: quella cioè che prevedeva l’inserimento delle nuove residenze.

Ma il Comune, che istituzionalmente è il responsabile ultimo della definizione delle destinazioni e della qualità del piano, che ruolo gioca in questa vicenda?

L’amministrazione Berti (sindaco fino al 2012) ha sposato in toto le richieste della Regione/ASL: l’accettazione del diktat del fallimentare project financing del nuovo ospedale e il recupero “immobiliarista” del Ceppo. La giunta successiva, sindaco Bertinelli (già capogruppo DS in Consiglio comunale), vorrebbe smarcarsi dal venefico abbraccio. Ma al momento, ci sembra, con scarsi risultati.

Un Protocollo d’intesa del 2013 affida la regia dell’operazione a un gruppo di lavoro composto dai rappresentanti di Regione, ASL e Comune. Al gruppo, coordinato dalla Regione, è demandata la definizione degli interventi, delle destinazioni d’uso degli immobili e delle procedure per l’attuazione del recupero/valorizzazione.

La presenza ingombrante di Regione e ASL rischia così di limitare l’autonomia decisionale del Comune, ipotecando di fatto gli esiti del Piano Particolareggiato Attuativo che l’amministrazione si è impegnata a presentare entro giugno del 2016. Ma la competenza di governo del territorio, che la Legge urbanistica mette in capo al Comune, è messa seriamente in pericolo dall’impegno, sottoscritto con l’Accordo di programma del 2015, di corrispondere all’ASL fino a 2 milioni di euro (“Clausola di salvaguardia”) nel caso in cui l’ASL non realizzi i 18 milioni previsti dalle alienazioni ai privati. Si teme che, per evitare la clausola capestro, l’Amministrazione – dal deficit di bilancio dell’ordine di 2,5 milioni – farà i salti mortali pur di accontentare le pretese di valorizzazione immobiliare di Regione/ASL, con buona pace degli interessi della cittadinanza.

Non solo. L’intera operazione risulta estremamente onerosa per l’amministrazione comunale, cui è ceduta tutta la parte monumentale dell’area, ma che in cambio deve provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e alla sistemazione dell’area, realizzare gli interventi relativi alla destinazione museale e culturale, gestire e mantenere l’intero complesso. Oltre alla citata clausola di salvaguardia. Cos’altro ancora?

Varie fonti ritengono che a conti fatti il Comune dovrà sborsare non meno di 8-10 milioni di euro. Dove andrà a prenderli? Certo, la Regione si è impegnata “a verificare la possibilità di attivare finanziamenti”, anche europei, ma al momento il quadro finanziario dell’operazione è molto nebuloso, considerata anche l’attuale grave crisi del mercato immobiliare.

E i cittadini stanno a guardare? Più o meno, dato che i soggetti interessati hanno fatto quadrato intorno alle scelte fondamentali sull’area. Il Comune intanto ha promosso un percorso partecipativo limitato però alle sole destinazioni d’uso possibili della futura Casa della Città.

Il futuro dell’area si gioca sulla capacità di cittadini, associazioni e comitati, di svolgere un ruolo attivo nella definizione, dal basso e nell’interesse generale, di proposte per la trasformazione dell’area. Ma, nel frattempo, il Comune sarà in grado di far valere la propria autonomia decisionale? Sarà in grado di far prevalere gli interessi diffusi sulle pretese immobiliari di Regione e ASL o si limiterà ad addolcire i bocconi amari che questi soggetti vorrebbero impartire alla cittadinanza?

Non si dimentichi infine che nella partita si pretende di inserire anche la “valorizzazione” dell’ex-ospedale psichiatrico delle Ville Sbertoli, al momento tenute al riparo dagli esiti di un recente percorso partecipativo, ma sulle quali è bene tenere alta la guardia.

(3 – segue)

*Antonio Fiorentino, architetto, gruppo urbanistica di perUnaltracittà