Lo scaffale del debito 4: David Graeber, Debito. I primi 5.000 anni

Tra i sei testi che vi stiamo proponendo a proposito del concetto di debito, questo è il più voluminoso proprio perché tenta di raccontarne la sua storia lunga ben 5000 anni. L’autore è un antropologo già insegnante a Yale ora alla Goldsmiths University of London, attivo nei movimenti americani da Seattle a Occupy. La chiave di lettura antropologica apporta a questi studi storici un contributo che serve principalmente a smascherare la gratuità delle affermazioni che economisti di varia scuola hanno detto in rapporto alla storia che riguarda il mercato, la moneta e il baratto. Ne consegue una indagine e una riflessione sui ruoli della coppia concettuale di stato e mercato rapportati a quello di debito. In discussione è l’attuale problematica connessa con l’indebitamento degli stati. O, meglio, è la ricetta proposta da alcuni stati e da organizzazioni sovranazionali per ottemperare alla restituzione dei debiti contratti. Essa, in termini semplicistici, consisterebbe in una forma di austerità accompagnata con l’obbligo del pareggio di bilancio. Il risultato di questa politica è una contrazione del welfare e l’apertura a pseudo riforme che incidono sui rapporti di lavoro contraendo salari, contributi e diritti acquisiti. Questa situazione di per sé da considerarsi un’assurdità, è però giustificata da un concetto profondamente radicato nel senso comune che afferma che i debiti devono essere pagati. Si entra perciò in un circolo vizioso per il quale, comunque e al di là degli evidenti effetti collaterali negativi dell’applicazione della ricetta, essa ci appare incontestabile. Il carattere morale e non strettamente economico di questi presupposti, conducono anche ad ampliare le ragioni originarie del problema. Siamo cioè in questa situazione perché abbiamo fatto il passo più lungo della gamba e altre congetture e giudizi morali che sono poi per esempio sfociati in una descrizione che tende a considerare i paesi del sud Europa esser stati immeritevoli e scialacquoni con anche una presupposta bassa efficienza lavorativa e di aver goduto così di privilegi che i laboriosi abitanti del centro nord Europa non si sono potuti permettere (per altro questa affermazione è, come abbiamo visto in altra recensione, smentita dai dati oggettivi).

debito3A smontare l’affermazione che i debiti devono essere saldati, è l’osservazione che, se così fosse, non ci sarebbe nessuna ragione per non concedere un prestito stupido (p. 11). Nasce quindi, fin dalle prime pagine, un’ipotesi che vede il debito essere uno dei caratteri fondanti dell’esperienza sociale che anticipa e poi accompagna gli altri elementi che compongono l’insieme dei caratteri precipui del comparto economico con la notazione – da cui consegue il suo ridimensionamento – che quest’ultimo non abbia avuto i caratteri tali per poter da solo rendere conto di tutti gli aspetti sociali e psicologici delle relazioni tra gli umani. Per questo si amplia il campo semantico del debito fino a fargli comprendere anche le obbligazioni morali, con l’unica differenza che quest’ultime non possono essere esattamente quantificabili. Primo risultato di questo approccio è la “scoperta” che il baratto non ha preceduto lo scambio monetizzato e che la propensione umana agli scambi affermata da Smith (ma accettata da tutti gli economisti classici) è semplicemente un altro mito duro a morire. Si scopre invece che tutti i documenti etnografici escludono di fatto l’esistenza di società costruite intorno al sistema del baratto, ma anche – contrariamente appunto a quel che pensava Smith – che le istituzioni “politiche” (le organizzazioni sociali) precedono e non seguono la proprietà, il denaro e i mercati e non sono il modo di organizzarli e garantirli. Nasce da questo ambito di riflessioni il concetto che fa del denaro soltanto un metro di valutazione del quale inizialmente è difficile capire che cosa misura se non un qualcosa di particolare che non è altro che il debito. «In questo senso, il valore di un’unità di una data moneta non è la misura del valore di un oggetto, ma la misura della fiducia che si ha negli altri individui» (p. 50). Proseguendo sullo stesso terreno di indagine di stampo storico antropologico, di nuovo si smentisce il presupposto dell’economia classica che vede stato e mercato in opposizione, constatando invece che le società senza stato tendono a essere anche società senza mercati e che fondamentalmente sono stati gli stati a creare i mercati i quali hanno poi bisogno degli stati stessi per esistere. (p. 73)
Presso alcune popolazioni si ha come una pervasività del debito che fa percepire la sensazione che le intere vite siano un prestito temporaneo concesso dalla morte. Sarebbe questo un debito che per essere ripagato prevedrebbe l’annichilimento che viene invece sostituito soltanto con dei pagamenti parziali, una sorta di interessi sborsati tramite il sacrificio animale. Questa originaria visione con aspetti fondativi, permea nel sottofondo ogni tipo di organizzazione sociale costruendo intorno al debito i suoi caratteri moraleggianti, costituendo così il riferimento organizzante di una specie di inconscio collettivo che si dipana tutto intorno al debito, alla colpa e alla redenzione. Il significato originario di redenzione è infatti riacquistare, riottenere, saldare un debito. L’idea utilitarista dell’agire umano che permea i ragionamenti del pensiero moderno, viene smentita da altre forme di pensiero quale quello ad esempio che si può attribuire a popolazioni di cacciatori raccoglitori per i quali la dimensione pienamente umana rifiuta i calcoli economicistici rifiutandosi di misurare e voler ricordare chi ha dato cosa a chi, riducendo così l’umano, tramite il debito contratto, a schiavo del suo creditore. Là dove invece il debito creava schiavitù, si inventò il dispositivo del Giubileo attraverso il quale ogni debito veniva cancellato, le terre ridistribuite e gli schiavi per debiti liberati, consci che altrimenti i sistemi sociali e le relazioni tra individui, sarebbero collassate. D’altra parte la relazione in forma di debito, rimane un modo della responsabilizzazione reciproca. Ciò che rende la relazione di debito diversa da altre forme di scambio è che essa si presuppone avvenga tra uguali e non tra soggetti gerarchicamente determinati. Il credito presuppone un rapporto di fiducia che soltanto tra uguali può essere veritiero, a differenza dello scambio commerciale che è invece caratterizzato dal fatto di essere totalmente impersonale.
Muovendosi in questo ambito, Graeber, racconta anche una storia della moneta che ci si mostra da un lato non preso in considerazione nemmeno da M. Amato (qui), quello usato per organizzare i matrimoni nei quali esso rappresenta non tanto un pagamento, ma la testimonianza di un debito contratto nel passaggio di un soggetto da un clan all’altro, memoria di un debito e non una sua quantizzazione: denaro come pegno e non come misura. Parallelo al matrimonio c’è l’istituto del guidrigildo dove egualmente il denaro ha funzioni simboliche e non di valore perché le vite umane possono essere scambiate soltanto con altre vite umane e mai con oggetti fisici (p. 142) proprio per questo gli schiavi essendo privati dalle reti di mutua obbligazione che permettevano di dare loro identità pubblica, si potevano vendere e comprare. Questi esempi immettono nelle considerazioni sullo scambio elementi non mercantili quali l’onore che comunque, in alcuni casi, poteva esso stesso prezzato. Il termine τιμή può infatti essere tradotto ora con “prezzo”, ora con “onore”. A questo proposito l’autore conia la locuzione “economie umane” nelle quali i beni più importanti di una persona non si possono vendere o comprare, essendo oggetti caratterizzati dall’essere coinvolti in una rete di relazioni con gli esseri umani i quali non possono essere oggetto anch’essi di nessuna compravendita. Qui, una persona strappata dal proprio contesto, di fatto scompare.
5000anni (Copia)Se si prendono in considerazione i concetti di moneta, mercato, debito, guerra e schiavitù si possono distinguere età diverse nelle quali il loro rapporto è indicativo dei caratteri stessi dell’epoca relativa. L’età assiale (termine preso in prestito da Jasper ed esteso sino all’ 800 d.C.) vede la nascita della coniazione e l’uso della moneta metallica per pagare i mercenari che usati in guerra producono schiavi che possono essere utilizzati nelle miniere di oro e argento che serviranno per la produzione delle monete stesse. In età assiale videro anche la luce le merci e i mercati in contemporanea con la nascita delle religioni universali. Sempre secondo Graeber, nell’età successiva – nel Medioevo – queste due istituzioni iniziarono a fondersi. Anche in questo caso l’analisi spazia dall’India, alla Cina, all’Europa. In India, ad esempio, si trova l’istituto del prestito ad interesse che riesce a comprendere anche “l’interesse corporeo” del lavoro cioè di quello da rendere fisicamente nella casa o nei campi del creditore sino all’esaurimento del debito stesso. In Cina si mostra altresì il connubio tra burocrazia statale e promozione dei mercati che smentisce una volta di più l’ipotesi che esista una conflittualità di fatto naturale tra i due comparti. Quello che è anche da sfatare è il matrimonio consensuale tra mercato e capitale che – come dimostra Braudel citato da Graeber –  vede quest’ultimo alla ricerca di situazioni monopolistiche che di fatto limitano la competizione del mercato. Sempre in Cina, in questo periodo, si manifesta il concetto della vita come un debito infinito spesso proveniente da vite precedenti, ma comunque mitigato dalle periodiche amnistie. Un altro aspetto ancora che caratterizza il Medioevo asiatico è l’influsso del Buddismo che permise l’accumulo di veri e propri capitali in forma dei tesori che i monasteri e i templi accumularono in seguito ai lasciti e alle donazioni che detta dottrina praticamente imponeva. Il Medioevo è dunque l’età che vede la scomparsa degli stati centralizzati con l’oro e l’argento che prendono la strada verso i luoghi sacri determinando una situazione nella quale l’accettazione del prestito a interesse oscilla tra l’equiparazione dell’interesse stesso con il rischio e il suo rifiuto in toto, con la posizione intermedia che condanna soltanto l’interesse predefinito che, in quanto tale, elimina il rischio.
Eccoci all’età dei grandi imperi capitalistici che per Graeber andrebbe dal 1450 al 1971 (l’ultima data l’avevamo già incontrata e segna il momento in cui Richard Nixon scollega il dollaro dalla copertura costituita dalla riserva aurea). Si ha un inizio nel quale la moneta si rarefà in Europa, mentre si espande in Cina tanto da poter assorbire la nuova disponibilità dei metalli preziosi provenienti dal nuovo mondo determinando anche la possibilità di un florido mercato tra Europa e Cina.
Verso il Capitalismo. I prodromi del capitalismo si possono manifestare a seguito di una serie di eventi concatenati. Una delle cause fu la promozione della moneta metallica a scapito del sistema di fiducia locale che si basava invece su cambiali o semplicemente sulla registrazione di chi era in debito con chi. L’imposizione forzata della moneta metallica provocò un aumento dei prezzi che si accompagnò alle recinzioni delle terre comuni (vedi anche M. Bloch, La fine della comunità e la nascita dell’individualismo agrario, Jaka Book, Milano 1978), fenomeni che produssero quella massa di disoccupati che fornirono la manodopera e costituirono l’esercito di riserva per la nascente industria. «Quasi tutto questo fu compiuto attraverso una manipolazione del debito» (p. 304) dichiara Graeber e confronta questa situazione con quella dei villaggi inglesi prima della rivoluzione industriale nei quali il credito rimaneva una questione di onore e reputazione e dove ogni sei mesi o una volta all’anno, le comunità organizzavano una giornata pubblica di “resa dei conti” nella quale, compensati i debiti tra loro, si pagava in moneta o in merce soltanto il debito residuo. Le cose funzionavano perché immerse in un quadro morale di massa che ne costituiva la costola economica, ma che era figlio di quella convivialità che si ritrovava e si definiva all’interno di relazioni costruite anche dentro le feste popolari quali il Natale e le Calende di maggio. Ad illustrare i cambiamenti dell’etica pubblica figlia di queste trasformazioni sociali è l’accoglimento di un termine quale il ”self-interest” (interesse personale) che voleva descrivere la pulsione dominante dell’uomo di Hobbes. Concetto che fu accolto come cinico e machiavellico, ma che non tardò a diventare senso comune, con il risultato per il quale si pensò che la maggior parte delle decisioni importanti fosse basata su un calcolo razionale di vantaggio materiale. Curioso che tutto questo venisse descritto con un termine che riguardava la penale per il ritardato pagamento di un prestito. Si passa così da un’economia di credito a un’economia di interesse.  Le radici di questa forma di pensiero hanno però un carattere teologico. L’uso del termine “interesse individuale” risale a Francesco Guicciardini che l’usò quale sinonimo o eufemismo per il concetto agostiniano di “amor proprio” opposto ad “amore di Dio”. Quest’ultimo ci porterebbe alla benevolenza verso gli altri, mentre quello proprio testimonierebbe la presenza di un desiderio insaziabile di autogratificazione. Ma desiderio infinito in un mondo finito significano competizione senza fine. Concetto teologico chi si secolarizza, diventando ricerca infinita di profitto per soddisfare un interesse personale. La precedente rete di relazioni basate sulla reputazione si scardina e l’affermazione di Smith – per la quale possiamo accedere all’acquisto di carne o di birra non in relazione ad un atto di benevolenza dei negozianti, ma al tornaconto che essi troveranno per soddisfare il loro egoismo – diventa plausibile. Affermazione questa che non corrispondeva ancora allo stato dei fatti e che invece diventerà veritiera soltanto poco dopo, quando la nozione di credito fu separata dalle relazioni di fiducia tra individui e si poteva produrre moneta con un tratto di penna. Questo poteva però portare a situazioni di grande oscillazioni dei prezzi; il sistema, in Inghilterra, si stabilizzò quando si adottò il gold standard (1717). Da allora in poi i meccanismi di assoggettamento del debito si faranno sempre più efficaci, è questo il caso di aziende locate lontano dalle abitazioni dei loro dipendenti che affiancano alla loro linea di produzione negozi e servizi ai quali è possibile accedere a credito con la possibilità di estinzione del debito contratto attraverso il lavoro prestato. Il dipendente «è completamente alla mercé del suo signore» (p. 339). Alla schiavitù per debiti si sostituì la servitù per gli stessi. Il matrimonio sbandierato tra capitalismo e libertà non può che liquidare come incidenti di percorso «tutti quei milioni di schiavi, servi, coolies e debitori schiavizzati» (pp. 340-341).

debito_loanIl meccanismo del debito rende conto di più tipi di condizione, il rapporto di subordinazione tra operaio e padrone non ne esaurisce le possibilità. Graeber fa notare che nella Londra dei tempi di Marx – come lui certamente sapeva – «c’erano più lustrascarpe, prostitute, soldati, maggiordomi, venditori ambulanti, spazzacamini, fioraie, musicisti di strada, galeotti, nutrici e tassisti (…) che non operai (p. 344).
Ma eccoci ai giorni d’oggi, a quei giorni successivi all’operazione di Nixon che dichiara la non convertibilità del dollaro. La prima conseguenza fu di far schizzare alle stelle il prezzo dell’oro con la conseguenza simmetrica della svalutazione relativa del dollaro con l’ulteriore conseguenza di un enorme trasferimento di ricchezza dai paesi poveri, che non avevano riserve auree, ai paesi ricchi quali ad esempio Stati Uniti ed Inghilterra che mantenevano riserve in oro. L’indebitamento successivo porterà ad una nuova forma di colonialismo e di subalternità per gran parte dei paesi cosiddetti in via di sviluppo. Il dollaro diventa la moneta di riserva globale. Qui entra in gioco un ulteriore meccanismo. Attraverso spese per armamenti superiori ad ogni altro paese e per i consumi largamente promossi, gli Stati Uniti hanno un enorme deficit di bilancia commerciale, per questo una grande quantità di dollari circola all’estero e, con questi, le banche centrali estere possono soltanto comprare titoli del tesoro americano. Ma questi pagherò del tesoro americano sono parte integrante della base monetaria mondiale e quindi non saranno mai rimborsati, ma saranno continuamente rifinanziati. Il resto del mondo invece doveva osservare politiche monetarie restrittive e ripagare scrupolosamente i propri debiti. «Quando Saddam prese la decisione unilaterale di passare dal dollaro all’euro nel 2000, seguito dall’Iran nel 2001, presto il suo paese fu bombardato e occupato dalle forze statunitensi» (p.356). Graeber racconta anche i modi dello sviluppo delle relazioni debitorie e delle loro conseguenze sociali. Lo stop al finanziamento del welfare fu giustificato con la possibilità di potersi tutti permettere una casa di proprietà attraverso una richiesta di prestiti incoraggiata dai governi liberisti che, nello stesso tempo, non solo non arginavano le avventatezze finanziarie, ma incoraggiavano tutti a giocare in borsa. Nei soli Stati Uniti ci sono oltre 401.000 fondi pensione usati spesso per fare scommesse finanziarie. L’indebitamento è ormai universale e non determinato da persone che giocano ai cavalli o che scialacquano in cianfrusaglie e questo avviene perché si è messo in atto un dispositivo culturale per il quale «le relazioni umane non possono essere messe in stand-by nello stesso modo delle immaginarie “spese discrezionali”: una figlia compie cinque anni una sola volta» e cose così. (p. 454, nota 31). La macchina della speranza è stata sabotata e molti non si possono immaginare un futuro al di fuori del capitalismo e del “libero mercato”.
Ma proprio sulla speranza che si dipanano alcune tra le ultime pagine. Ad esempio sul ripristino dei codici di onore, sulla fiducia, sulle comunità e sul mutuo supporto sui quali si erano basate le cosiddette economie umane. Sullo smascheramento dei meccanismi di assoggettamento che svelano che la differenza tra dovere a qualcuno un favore e dovergli un debito, sia che l’ammontare del debito può essere precisamente calcolato. Ma questo calcolo richiede un’equivalenza tra esseri umani del tutto particolare. Un’equivalenza che li estrapola dal proprio contesto così tanto da poter essere trattati come identici a qualcosa d’altro. Anche i mercati hanno una loro fisionomia. I primi mercati nascevano intorno alla possibilità di scambiarsi le merci preziose. Preziose perché saccheggiate e rese anonime. Anonime perché non avevano una storia e quindi potevano essere accettate dappertutto senza fare domande. Ma poi il mercato, allontanato dalla violenza originaria che l’aveva fondato, si sviluppa in qualcosa di completamente diverso, in reti di onore, fiducia e relazioni, dimensione questa da dover forse recuperare.
Con una impellenza lasciata sullo sfondo si conclude questa storia del debito, con una aspettativa, una richiesta, forse un programma al quale ci piacerebbe associarsi: «c’è da tempo bisogno di un giubileo del debito in stile biblico, che riguardi tanto i debiti internazionali quanto quelli dei consumatori» (p. 378).
Un giubileo laico che torni all’origine della sua istituzione nella quale venivano rimessi i debiti e non i peccati (ma anche ridistribuite le terre), da usare come parola d’ordine che cresca sull’onda di quello mediatico che si scatenerà tra poco in relazione a quello “santo” proclamato per il 2016, per infine comunicare e pretendere, oltre e non solo la misericordia* annunciata, ma i diritti e gli interessi degli ultimi.
*La misericordia è il tema del prossimo giubileo straordinario che Francesco ha proclamato per il 2016.
David Graeber, Debito. I primi 5.000 anni, il Saggiatore, Milano 2012. Pagine 455 note comprese, escluso indici e bibliografia. Euro 23.00.
A questi link le altre recensioni sul medesimo argomento:
https://www.perunaltracitta.org/2015/06/06/la-fabbrica-delluomo-indebitato/
https://www.perunaltracitta.org/2015/06/22/lo-scaffale-del-debito-2/
https://www.perunaltracitta.org/2015/07/02/lo-scaffale-del-debito-3/