Egitto: Democrazia Militare

Giuseppe Acconcia, Egitto: Democrazia Militare, Edizioni Exorma, Roma 2014.

Una chiara e comoda non-verità domina nei paesi Occidentali quando si affronta quella complessa serie di eventi politici e sociali conosciuti come Primavere Arabe. Secondo molte ricostruzioni mainstream infatti, giovani altamente educati, ma con prospettive di crescita ed affermazione personale frustrate da corrotti e dispotici regimi, avrebbero, attraverso un sapiente uso dei moderni mezzi di comunicazione, aggirato l’onnipresente sistema di controllo, decretando quindi il realizzarsi dell’impensabile: la caduta dei regimi di Ben Ali in Tunisia e di Mubarak in Egitto.

Tale farsesca rappresentazione, che echeggia un biblico scontro tra le forze del bene e del male, è resa possibile – con riferimento alle vicende egiziane – dal loro confinamento spaziale ad una piazza e temporale a poche settimane. Quando tutta la nostra attenzione si concentra solamente sui famosi 18 giorni di piazza Tahrir l’inevitabile risultato è infatti cadere in quella che Giuseppe Acconcia definisce la “trappola perfetta”, ovvero “ingabbiare l’opposizione al regime all’interno di una piazza” (p. 231).

A giudizio di chi scrive, il primo grande indiscutibile merito di Egitto: Democrazia Militare è proprio quello di fornire un affresco degli ultimi densissimi anni vissuti dal paese che riesce ad abbracciare l’intera complessità di una società che non può essere ridotta a quella che Asef Bayat ha definito “the middle class poor”: ovvero, i figli laureati della burocrazia nasserista che risiedono al Cairo e non riescono a riprodurre lo status sociale ed economico dei propri genitori.

egitto_620Con questo testo l’autore ci propone così un viaggio tra gli attori sociali e politici che hanno determinato nel febbraio del 2011 le storiche dimissioni di Hosni Mubarak alla soglia dei trenta, interrotti, anni di potere: dagli operai tessili di Mahalla al-Kubra agli ultras delle squadre di calcio, dai movimenti femministi a quelli islamisti. L’attenzione di Acconcia non è però rivolta a descrivere il crescente protagonismo che questi soggetti avevano mostrato negli anni pre-2011. Al contrario, il suo intento è tratteggiare e decriptare la tragica transizione egiziana attraverso la parabola seguita dai suoi protagonisti. Evidentemente, il testo prova a fornire risposte a quesiti tante volte sollevati e che per molte altre lo saranno: perché la caduta del regime autoritario di Mubarak ha portato ad un nuovo e più violento assetto di potere guidato dal generale al-Sisi dopo il colpo di stato da lui diretto il 3 luglio 2013? Perché le richieste che hanno animato le rivolte – pane, libertà, e giustizia sociale – non hanno trovato spazio nel nuovo Egitto? Perché la Fratellanza Musulmana dopo quasi un secolo di opposizione e di semi-clandestinità ha mancato il suo appuntamento storico?

Più in generale però, il libo di Acconcia si interroga ed invita a riflettere sulla miseria dellademocrazia_militare-kvzG--1280x960@Produzione sinistra egiziana, i suoi fallimenti, e la sua incapacità di cogliere l’opportunità fornita dalla scomposta irruzione delle masse sulla scena politica. In tal senso pone interrogativi per una sinistra di classe a livello globale e la inchioda alla sempre presente evidenza che nessuna rivoluzione sociale è possibile senza organizzazione. Al tempo stesso quest’ultima non nasce dalle infinite discussioni tra intellettuali cairoti al café Riche – dove si tramanda che Nasser amasse incontrarsi con i propri fedelissimi per preparare il colpo di stato del 1952 – ma dalle lotte di cui è, contemporaneamente, causa e portato. In questo intrinseco carattere dialettico, trova la sua complessità la sempre pressante questione di come organizzarsi per sfidare il presente stato di cose.

Detto questo, qualcuno che abbia già letto il testo, potrà forse trovare questa grande attenzione verso la sinistra egiziana sorprendente: dopo tutto Acconcia indugia molto più, per esempio, sul sit-in ed il successivo massacro della Fratellanza a Rabaa al-Adaweya dell’agosto 2013, rispetto ai rapporti tra i Socialisti Rivoluzionari ed i nuovi sindacati indipendenti nati nel magmatico Egitto post-2011. In realtà, la sorpresa è fugace. Come scrive l’autore infatti, dopo il ballottaggio al secondo turno delle elezioni presidenziali del 2012 tra il candidato della Fratellanza – Mohammed Morsi – e l’esponente del vecchio regime – Ahmed Shafik – “resta ormai poco spazio per una terza via” (p. 142).

Ovvero, ad appena un anno e mezzo di distanza da quella che può essere efficacemente descritta come “una rivoluzione politica con un’anima sociale”, tutti gli attori sono chiamati a schierarsi nel lungo show down che vede contrapposti da un lato l’inefficace e timido governo della Fratellanza Musulmana e dall’altro la garanzia di ordine e stabilità fornita dall’esercito. La conclusione la conosciamo tutti: colpo di stato, arresto del primo presidente civile democraticamente eletto in Egitto, messa al bando della principale organizzazione sociale e politica del paese, violenta repressione di qualsiasi forma di dissenso, e diverse condanne a morte già eseguite oltre alle centinaia pendenti.

Nel giugno del 2014 con una bassissima affluenza elettorale e sfidato solamente dal candidato nasserista Hamdin Sabbahi, il generale al-Sisi è stato poi ufficialmente eletto presidente. La democrazia militare egiziana è adesso compiuta. La sua genesi è brillantemente descritta in questo testo di Acconcia, probabilmente il miglior resoconto della recente parabola egiziana disponibile in lingua italiana.

*Gianni del Panta è un attivista, studioso di Scienze politiche.