COP21 quale accordo? I potenti del mondo confermano il loro dominio

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Gli abitanti del pianeta Terra non contano granché in confronto agli interessi dei potenti. Gli Stati militarmente forti e, soprattutto, quelli che per di più sono alleati e/o succubi della potenza economica e finanziaria delle loro grandi imprese, hanno dimostrato ancora una volta la loro pervicacia per l’accaparramento delle risorse del pianeta e della vita in funzione della loro potenza e della loro ricchezza. I “cittadini” del mondo, in particolare gli esclusi, gli impoveriti, gli abbandonati possono gridare e battersi per i loro diritti, peraltro formalmente riconosciuti e proclamati dai potenti, e la Terra stessa può mostrare la sua collera, ciò serve a ben poco.

Parlando ieri con un amico francese giornalista, per natura piuttosto moderato nelle sue opinioni, cui domandavo informazioni sugli ultimi sviluppi dei negoziati, la sua risposta é stata un laconico “c’est la cata” (“è la catastrofe”). Non ha torto se guardiamo ai cinque criteri seguenti di valutazione dei risultati molto probabili della COP21.

Natura dell’accordo. È di ieri la conferma, anche da parte delle autorità francesi, che non ci sarà un Trattato internazionale giuridicamente vincolante per tutti gli Stati, ma che l’accordo potrà essere al massimo “politicamente” vincolante, ossia esso non consentirà in alcuna maniera di far valere in futuro alcun rispetto degli impegni eventualmente presi dagli Stati.

Portata degli obiettivi. Anche se l’obiettivo del mantenimento entro 2 gradi dell’aumento della temperatura media dell’atmosfera al 2050 dovesse essere esplicitamente menzionato, ciò resterebbe una catastrofe in sé. Inoltre non sembra che la somma degli impegni proclamati da parte di ciascun Stato unilateralmente, e del cui rispetto sarà sovranamente indipendente, sarà significativamente modificata, per cui essa si tradurrà in un aumento della temperatura tra 2,7 e 3,0 gradi. No comment.

Questione del finanziamento. È escluso che gli Stati del “Nord” parlino di compensazione o di rimborso nei confronti dei paesi d’Africa, d’Asia e d’America latina, abbondantemente sfruttati nel corso degli ultimi due secoli d’industrializzazione. Sembra, inoltre, che essi rivendichino di includere alcuni paesi emergenti fra la lista degli Stati finanziatori dei 100 miliardi annui fino al 2020 in favore dei paesi più poveri. Cosa che i paesi interessati (la Cina, per esempio) rigettano drasticamente. Non v’è ad ogni modo alcuna certezza che gli investimenti promessi fino al 2020 saranno rispettati. Nulla di preciso sembra esistere riguardo agli impegni da prendere dopo il 2020, in particolare relativamente ai “trasferimenti tecnologici”. I potenti resteranno i padroni delle tecnologie e se le faranno pagare.

Il finanziamento per quale priorità? Contrariamente a quanto da anni rivendicato sia dal Nord che dal Sud, i potenti del mondo (in particolare, i soggetti finanziari ) non hanno l’intenzione, questo giovedì, di modificare l’attuale ripartizione, estremamente squilibrata, all’interno dei fondi promessi. Mi riferisco ai fondi destinati, da un lato, al finanziamento di iniziative dette di “mitigazione” (promozione delle energie rinnovabili, innovazioni in favore dell’economia verde, riduzione dei disagi causati dallo sconquasso climatico, che sono già note ai soggetti finanziari del Nord e che danno loro dei buoni rendimenti. Oggi essi rappresentano circa 90% degli usi dei fondi) e quelli, dall’altro lato, destinati alle azioni dette di “adattamento” (investimenti in grandi infrastrutture d’interesse nazionale ed internazionale per combattere le conseguenze nefaste, che però sono meno redditizie per i “donatori”). Altro che ripartizione 50/50 come rivendicato da anni. “In nome del denaro” sta per confermarsi una grande ingiustizia sociale e climatica.

Il ruolo della società civile. Difficile negare che, rispetto all’azione di lobbying esercitata prima e durante la COP21, l’influenza della società civile sia stata del tutto marginale. Certo, sul piano della retorica non mancheranno, nel testo che uscirà da Parigi, grandi riferimenti alla coscienza della società civile mondiale ed al ruolo essenziale svolto dalla partecipazione dei cittadini. In realtà i potenti avranno ascoltato i potenti.

La questione che ora si pone è come può l’umanità, che in questi mesi ha dimostrato di esistere almeno nella coscienza di decine e decine di milioni di abitanti della Terra, riuscire a sconfiggere la potenza dei gruppi dominanti? Non credo che bisogna darci principalmente appuntamento per la COP22 in Marocco. L’appuntamento è già per domani. Per un domani diverso, che esisterà.

*Riccardo Petrella, Banning Poverty 2018

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Riccardo Petrella

Riccardo Petrella .Presidente dell'Istituto Europeo di Ricerca sulla Politica dell'Acqua a Bruxelles, è professore emerito dell'Università Cattolica di Lovanio (Belgio) dove ha insegnato "mondializzazione". E' promotore dell'Università del Bene Comune a Verona con la quale ha lanciato nel 2012 in Italia insieme a numerose organizzazioni l'iniziativa internazionale "Dichiariamo illegale la povertà - Banning poverty 2018". E' considerato il pioniere dell'acqua pubblica in Europa da cui è nato il movimento dell'Acqua Bene Comune in Italia. Fra i principali esponenti dell'altermondialismo ha creato nel 1991 il Gruppo di Lisbona, il cui rapporto "Limiti alla competitività" è stato tradotto in 12 lingue. Ha insegnato Ecologia umana all'Accademia di Architettura a Mendrisio (Svizzera).

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