Comunità cinese in rivolta

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L’attenzione che in questi giorni le cronache dei mezzi d’informazione hanno rivolto a quanto avvenuto ai confini tra Sesto Fiorentino e Firenze ha travalicato ovviamente lo specifico dell’ episodio a carattere locale, catturando l’interesse nazionale.

La cronaca riporta di scontri tra “forze dell’ordine” e circa un migliaio di cinesi. Ci preme prendere spunto da quanto accaduto e cercare di comprendere il contesto che ha portato ad una vera e propria rivolta.

Partiamo dal fatto che quando ci riferiamo ai luoghi dove risiede la comunità cinese a Firenze e nelle zone limitrofe, ma anche in altre città come ad esempio Milano, non ci riferiamo a quartieri “difficili”, a “banlieue”; ci riferiamo ad intere zone in cui la comunità cinese ha una presenza pressoché maggioritaria: la definizione di “città fabbrica” rende appieno la realtà.

L’aspetto che si coglie è la percezione di un difficile e complicato rapporto tra “locali” e “nuovi”. Difficoltà che va, seppur lentamente, attenuandosi tenendo in considerazione che ormai abbiamo a che fare con la seconda generazione, ovvero con chi è di origine cinese ma è italiano a tutti gli effetti.

Una comunità chiusa che pone come elemento qualificante della propria esistenza la “centralità della fabbrica”. Ma in questo concetto non vi alcunché di marxista, anzi, esprime quanto è più o meno risaputo, e cioè che la quotidianità dei/delle cinesi ruota attorno al ciclo produttivo, nel caso fiorentino alla filiera del tessile. Una comunità che vive nel silenzio assoluto il proprio rapporto con ciò che trova attorno. Un silenzio che spesso viene vissuto con sollievo dagli italiani. Il luogo comune che passa ha il carattere buonista: “sì certo la loro vita si svolge tutta in fabbrica, lavorano tutto il giorno…ma non danno noia a nessuno”.

Ma poi succede un qualcosa che rompe la monotonia di un non rapporto. A Prato la notte del 1 dicembre 2013, all’interno di un laboratorio scoppia un incendio e 7 operai cinesi muoiono. Oppure a Milano nel 2007, in via Sarpi, e oggi a Firenze nella zona industriale del tessile, scoppia la rivolta. Scontri, feriti, arresti e tutto il corollario che ben conosciamo che accade in queste occasioni.

Se nel primo caso abbiamo a che fare con la fabbrica/dormitorio, nel secondo abbiamo a che fare con il rapporto conflittuale che esiste tra il tentativo di porre sotto controllo fiscale l’attività che svolge la comunità cinese e il metodo repressivo portato avanti dalle “forze dell’ordine”.

A Milano a far scattare la rivolta fu un controllo fiscale, piuttosto maldestro, ad una esercente cinese; a Firenze, in seguito al rogo del 2013 si sono intensificati i controlli, che spesso e volentieri si trasformano in un vero e proprio “fiato sul collo”, ai capannoni/ laboratori.

La recente rivolta in quel di Sesto Fiorentino ha prodotto i soliti commenti e le rituali prese di posizione degli amministratori, a partire dal governatore Rossi: abbiamo sentito il classico ritornello di luoghi comuni a proposito di legalità, sfruttamento, evasione fiscale ecc. Ciò che ha impressionato e fatto gridare al complotto, al fatto che era una rivolta preparata, è il fatto che in pochissime ore dai pochi presenti al momento del controllo si è arrivati al migliaio di manifestanti. Nessuna parola abbiamo sentito rispetto ad una situazione che è nota a tutti, cioè rispetto alle complicità dei tanti “professionisti” italiani che supportano questa situazione, da chi affitta i locali sapendo l’uso che ne viene fatto e speculando proprio su questo, a chi suggerisce i “trucchi” per ridurre i costi e massimizzare i profitti.

I cinesi che hanno tentato di esporre le motivazioni della protesta hanno posto al centro la pressione a cui sono sottoposti; anche loro si appellano alla legalità, una legalità che non sia sbilanciata, ma che sia equa, nei loro confronti ma anche nei confronti di italiani e d altri.

Probabilmente la strada affinché i lavoratori cinesi arrivino a solidarizzare con i loro connazionali che protestano alla Foxcon, alla Sony e nei distretti estrattivi contro il peggioramento delle condizioni salariali e di lavoro o contro chi li sfrutta è lunga e difficile.

La messa in discussione dei meccanismi perversi che tengono in piedi la filiera dei distretti industriali, dei dormitori abusivi, dello sfruttamento degli immigrati clandestini potrà darsi con lo sviluppo di un rapporto dialettico tra coloro che quotidianamente provano a mettere in discussione lo stato di cose presenti e coloro che ne subiscono tutti gli effetti, repressione compresa.

*Edoardo Todaro

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Edoardo Todaro

Oltre a svolger la propria militanza tra realtà autogestite (CPA) e sindacali (delegato RSU Cobas presso Poste spa) è appassionato di letture, noir in particolare. È tra i collaboratori, con le proprie recensioni, del blog Thriller Pages

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