All’armi, siam Ippocrati!

Così l’Italia è ufficialmente coinvolta nella guerra in Libia; se ne parlava da tempo, i parà della Folgore erano in allerta da oltre un anno, sicuramente molti elementi dei servizi segreti operano da tempo sul terreno africano.

Il nostro paese dovrebbe essere l’ultimo, per il suo vergognoso passato coloniale, ad operare militarmente in Libia infilandosi nella guerra civile che la dilania. Ma l’ingegno governativo ha partorito l’ultima acrobazia linguistica: per non dire “andiamo in guerra” l’hanno chiamata “missione sanitaria-militare Ippocrate”. Dietro 60 operatori sanitari si prevedono, per ora, 200 paracadutisti della Folgore, l’appoggio delle squadriglie di aerei della base di Trapani e della portaerei Garibaldi. Davvero l’ipocrisia di questo governo, come quella dei precedenti, non si vergogna a cadere nel ridicolo.

Quando si parla di politica estera italiana o si pensa agli ordini che vengono dagli USA, o si parla di politica dell’ENI; entrambi questi fattori hanno giocato un ruolo fondamentale per la decisione del governo Renzi di sbarcare in Tripolitania.

libyan_civil_warChe l’ENI abbia interessi enormi nella zona è superfluo dirlo, semmai sarebbe utile ricordare che l’intervento del 2011, ufficialmente contro Gheddafi, colpì duramente anche gli interessi della compagnia petrolifera italiana a favore di quelle francesi, inglesi e statunitensi. La diplomazia ENI è riuscita a riconquistarsi nel frattempo accesso alle risorse energetiche in MO (grazie anche alla scoperta di un enorme giacimento di gas al largo delle coste dell’Egitto), in particolare anche in Libia.

Ma in quel disgraziato paese, con la guerra per procura che si è imposta fin dalla caduta di Gheddafi, non è facile avere il controllo della situazione. Il paese è sostanzialmente diviso in due parti: quella orientale, la Cirenaica, controllata dal generale Khalifa Haftar (appoggiato apertamente da Egitto e Russia, velatamente anche dalla Francia che sniffa le riserve petrolifere di quella zona che sono tra il 70 e l’80% di tutta la Libia) e quella occidentale, la Tripolitania, in cui dovrebbe essere al potere il Governo di Accordo Nazionale (GNA, imposto dal mondo occidentale) di Fayez al Serraj, ma che incontra molte difficoltà a imporsi e si vede costretto a combattere direttamente le truppe Daesh attualmente asserragliate dentro Sirte.

Ufficialmente entrambe questi poteri locali sono accomunati nella lotta contro il “terrorismo”, ma già si stanno vedendo fortissime frizioni tra le parti, proprio in questi ultimi giorni in cui Haftar ha occupato militarmente i porti a est di Sirte, importanti terminali per l’esportazione di gas e petrolio. Che la situazione sia sull’orlo di una crisi più vasta lo dicono anche i comunicati di protesta che USA, Italia, Francia e Gran Bretagna hanno emesso; un rischio concretissimo è che, una volta ridimensionato il ruolo del “terrorismo” di Daesh, lo scontro si faccia diretto tra le due parti dietro le quali si gioca un violento conflitto tra interessi imperialisti contrapposti.

Il ruolo italiano è ovviamente quello di un vaso di coccio portato quasi per forza a giocare contro il Califfato; il governo Renzi sa bene di correre grossi pericoli con la guerra e, per un po’, ha resistito alle pressioni USA che vorrebbe il nostro paese come cane da guardia dei suoi interessi in quel settore del Mediterraneo. Renzi sa che la sua stella sta tramontando dopo anni di chiacchiere e vacue promesse; soldati che tornino a casa chiusi nelle bare o addirittura attentati nella capitale, sarebbero per lui insostenibili. Da notare come la vecchia guardia del Partito Democratico sia stata la più incline ad intervenire militarmente all’estero, chiaro sintomo di come quella parte, che alcuni si incaponiscono a definire ancora “sinistra”, sia totalmente e acriticamente appiattita agli interessi di USA e NATO.

Ma i rischi per l’Italia non sono solo nella eventuale lotta diretta a Daesh: che ruolo avranno i parà della Folgore nello scontro che si delinea tra Serraj e Haftar? Gli interessi di quelli che oggi paiono alleati (Francia, UK, Egitto) sono piuttosto ballerini e la situazione libica è fluida, inserita com’è in guerre per procura che investono tutto il Medio Oriente; l’Italia continuerà ad essere solo il fedele barboncino degli Statunitensi? O rimarrà schiacciata dal possibile scontro tra potenze che si profila all’orizzonte?

Una notazione a margine di quanto accade sull’altra sponda del Mediterraneo si impone: ma che cosa è questa Unione Europea, che si vorrebbe addirittura “Stati Uniti d’Europa”, se gli stessi Stati che ne fanno parte si contrappongono così chiaramente negli interessi di politica estera? Chi pensa di “riformare” questo assemblaggio infelice di Stati dagli interessi contrapporti, come pensa di operare? L’unica cosa che (r)esiste dell’Unione Europea è la moneta: quell’euro nato solo come guardiano degli interessi della finanza internazionale e del sistema industriale tedesco, la cui gestione ha ormai il solo scopo di contenere i salari dei lavoratori e i redditi delle classi medio basse.

Il verminaio degli interessi nelle relazioni internazionali, dentro e fuori dall’Europa, non dà certezze per il futuro; quel che è sicuro è che si stanno accumulando nere nubi di tempesta che potrebbero non rimanere confinate al di là del Canale di Sicilia.

Guardando, infine, la crisi dalle rive dell’Arno non può non venire in mente La Pira e il ruolo che questi volle per Firenze come Città di Pace. Renzi e i suoi cortigiani – come il sindaco Dario Nardella – non fanno altro che dirsi eredi di La Pira; ma si sono mai chiesti cosa avrebbe fatto il loro ispiratore se ci fosse oggi? Starebbe come Nardella a fare il piazzista dei tesori artistici della città o non si adopererebbe contro la guerra, per una politica che unisse le sponde del Mediterraneo in un’unica realtà politica, culturale e umana? Ma pare ci si debba rassegnare: oggi è il tempo della missione Ippocrate, il tempo degli “ippocriti”.

*Tiziano Cardosi