L’anima al lavoro di Bifo

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L’Anima. Lo sfruttamento del lavoro, in epoca fordista, si esercitava sui corpi, oggi il lavoro – anche se non tutto – è diventato “cognitivo”, allora subordina e cattura l’intelligenza, il linguaggio, i saperi, ma anche gli affetti, dice Bifo e tutto questo egli lo chiama l’anima. Oggi il capitale sfrutta financo l’anima. Ma non si tratta della solita opposizione tra anima e corpo. «Anima è il corpo come intenzione, apertura verso l’altro, incontro, sofferenza e godimento» (p. 7). L’era del corpo, quella della produzione industriale, era l’era del disciplinamento; della creazione di dispositivi che piegavano il corpo, che si appropriavano di muscoli e braccia. L’era del digitale mette al lavoro l’anima, il flusso semiotico che il tempo di lavoro umano è in grado di emanare. Si è passati dall’alienazione al coinvolgimento. Alienazione era per Marx la scissione tra vita e lavoro, tra tempo del sé e tempo del lavoro e questa scissione, questa frattura, comportavano anche una psicopatologia a partire dal disagio e dalla sofferenza di un tempo, di uno squarcio di vita, lontano dalla comprensione e donato al lavoro. Il concetto di alienazione in Marx, per Bifo, era di provenienza hegeliana, l’alienazione era infatti l’uscire da se stesso della coscienza, divenire altro, perdersi nell’alterità. Quello che era scisso, adesso è compreso. Quel che restava dell’uomo, adesso è catturato e, al massimo, è possibile soltanto uno rovesciamento: che ci venga cioè restituito un corpo senza anima. Quando le energie emotive, linguistiche, progettuali sono coinvolte nel processo di produzione del valore esse condizionano di fatto la produttività sociale.

img_8491Operai e studenti. Ma il passaggio è articolato e storicizzato. E lungo la storia Berardi trova il tempo per fare i conti con vari “capisaldi” del pensiero a cavallo del secondo millennio. Si parla del pensiero operaista degli anni sessanta e settanta che rovescia l’alienazione in estraneità da mettere in atto. Del primo recupero degli scritti giovanili di Marx che con il loro “umanismo” riuscivano meglio a sintonizzarsi con la rivolta studentesca del ’68, dentro i quali è però anche possibile intravedere quei rimasugli ideologici per i quali si presuppone l’esistenza di un’essenza umana generica, dove il comunismo è ancora figlio di una visione trascendente e escatologica (Bifo dice anche “teologica”). Si parla così della convergenza tra istanze giovanili e estraneità operaia, quando «i corpi si riconobbero e si congiunsero nella rivolta e nell’autorganizzazione sociale desiderante, riconoscendosi in una forma autonoma, secondo dinamiche e finalità indipendenti dal dominio» (p.13).

General Intellect. Dopo il Marx giovane ecco quello dei Grundrisse, quello dell’ormai famoso Frammento sulle macchine, quello in cui compare il concetto di General Intellect, forse sinonimo originario di quel che Bifo chiama “anima”, di quel cognitivo ora messo al lavoro (Marx parla di “capacità scientifica oggettivata”). La messa al lavoro del general intellect, inserisce anche l’evoluzione tecnologica nel sistema di produzione aprendo di fatto la possibilità tendenziale alla riduzione del lavoro manuale. Questo ipotetico vantaggio non può però essere redistribuito perché il modello capitalista prevede e si fonda sulla vigenza del salario e sulla centralità del lavoro. Questo apre ad una situazione particolare per la quale «non serve a nulla progettare abbattimenti politici; serve invece modificare il sistema delle attese sociali» (p. 62).

Composizione sociale. Problema parallelo a quello della composizione sociale, «dell’agente trasformatore consapevole» (p.82), in definitiva della “coscienza di classe” che avrebbe tre occorrenze decisive. Prima un interesse comune, seconda la condivisione di una forza materiale, terza una narrazione comune. Secondo Bifo, in una certa fase storica la classe operaia ha avuto le caratteristiche per assurgere a soggetto rivoluzionario, mentre invece “il cognitariato” ha messo esso stesso, tramite i suoi caratteri creativi, a disposizione del capitale tecnologie di deterritorializzazione che inficiano la possibilità di condivisione del luogo e del tempo. L’esercito industriale di riserva in forte espansione mina la forza contrattuale. Con il risultato finale di una oggettiva impossibilità di ricomposizione sociale.

Rifiuto del lavoro. Il libro prosegue aprendo un tema che poi continuerà trasversalmente per tutta la lunghezza del testo, quello dei contributi delle varie scuole di pensiero a spiegare e articolare i cambiamenti nei modi di produzione e le conseguenze ad essi connesse e, in particolare, lo spostamento e la progressiva sussunzione del cognitivo all’interno della forza lavoro. Si studia cioè, la dinamica che vede la composizione sociale trasformarsi continuamente. Dinamica che poi è la stessa della sottrazione del tempo vissuto rispetto alla prestazione salariata. Perché il “rifiuto del lavoro” non significava affatto un azzeramento dell’attività, ma una valorizzazione dell’attività umana che si sottrae al dominio del lavoro.

Il Tempo. Si passa poi ad esplorare il contributo del pensiero fenomenologico attraverso il quale si introduce il concetto di tempo intorno al quale si giocherebbe la partitaa_traverso fondamentale della lotta tra operai e capitale. Dove il disciplinamento non sarebbe altro che l’imposizione di un tempo oggettivato alla pluralità delle temporalità singolari. La richiesta quindi di un’autonomia del tempo umano dal tempo del capitale, tempo del lavoro e della costituzione del valore. Marx diceva che il valore di una merce è in relazione diretta con il tempo di lavoro socialmente necessario a produrla, ma il tempo della produzione nell’era del digitale non ha la stessa estensione, non è così omogeneo ed uguale, è un tempo differenziale, intensivo e singolare che costringe a dover ripensare l’intera teoria del valore, non tutte le ore di un lavoratore cognitivo sono uguali dal punto di vista del valore prodotto. Il tempo è anche la chiave di un opposizione esistenziale: al valore dell’accumulo e del rinvio indefinito del godimento, si oppone una riappropriazione del tempo. «Tempo per godere, tempo per viaggiare, per conoscere, per fare l’amore» (p. 180).

Imprenditore di sé. Il lavoratore cognitivo perseguendo una forma di autorealizzazione compie un atto di assoggettamento, intensificando di fatto la propria produttività. In questa fase storica il lavoratore pensa di poter esprimere una certa autonomia e tende a considerarsi imprenditore di se stesso, ma in realtà la sua autonomia è soltanto fittizia, le scelte fondamentali sono ancora in mano al capitale. E se l’autonomia si dà anche una forma giuridica, il lavoratore si prenderà carico anche della propria copertura assistenziale. Per di più, al tempo del lavoro cognitivo, il controllo dei processi produttivi più che provenire da una gerarchia preposta alla trasmissione del comando, tende a provenire da flussi ai quali occorre sottomettersi.

I francesi. Visto l’autore, non poteva mancare un confronto con il pensiero strutturalista francese ed in particolare con quello di Deleuze e Guattari (più quest’ultimo che il primo). E la misura è anche e di nuovo quella della composizione di classe, quella del soggetto, nella costruzione del quale entrano di forza elementi non tutti strettamente economici quali «flussi psichici, flussi immaginari, flussi materiali di strutturazione dell’esperienza quotidiana» (p. 162). Così che «la soggettività non preesiste al processo della sua produzione» (p. 161). Qui l’autore mette in campo tutto l’armamentario concettuale dei due colleghi francesi: schizoanalisi, molare e molecolare, desiderio, corpo senza organi, territorializzazione e deterritorializzazione in una sequenza di pagine ricche e problematiche.

Altri paradigmi. L’era digitale arriva e impone nuovi paradigmi. Nixon nel 1971 svincola il dollaro dall’oro permettendo l’annullamento del rapporto tra il segno e il referente, aprendo anche la porta all’ingresso della simulazione. «Simulazione è la cancellazione del referente che instaura la serie di una replicazione infinita di segni senza garanzia» (p. 190). «La velocità della proliferazione semiotica scatenata dalla simulazione digitale è tale da saturare rapidamente i circuiti della sensibilità collettiva» (p.204). La simulazione irrompe sulla scena intervenendo sul rapporto tra soggetto e oggetto, spostando il soggetto in quella posizione subalterna di colui che è in preda ad una seduzione. I dispositivi del dominio si sono spostati dall’ambito della politica a quello della produzione (anche tecnica) di soggettività. Si crea anche un’altra subordinazione: quella della ricchezza al possesso. Il concetto di ricchezza scioglie il suo legame dalla gratuità, separandosi dal piacere e riducendosi a semplice accumulo di valore. La società viene di fatto risemiotizzata attraverso l’introduzione di dispositivi che inoculano la competizione in ogni piega della relazione.

Lo sciame. Uno sguardo pessimistico sul presente. Se la governabilità è funzione della lentezza della circolazione dell’informazione in una società di tipo alfabetico, in una di tipo elettronico-digitale si deve cedere la governabilità a degli algoritmi. Siamo di fronte non più al governo, ma al dominio. La decisione viene lasciata a degli automatismi in modo tale che l’organismo sociale sembra rispondere meglio secondo regole evolutive di fatto automatiche come se fossero iscritte nel corredo genetico degli individui. «Lo sciame tende a diventare la forma prevalente dell’azione umana. Spostamento e direzione sono sempre più decise dal sistema di automatismi del collettivo che si impone all’individuo» (p. 261).

Vie di fuga. A proposito invece dell’ordine delle incombenze, delle vie di uscita, dei suggerimenti operativi, su questo terreno, il testo è relativamente parco se confrontato con lo spazio dedicato invece all’analisi. Ecco però una prima incombenza: la ricombinazione come compito intellettuale, arrivare cioè ad assemblare elementi di conoscenza secondo un ordine diverso dall’attuale, «ridefinire il funzionamento sociale di frammenti conoscitivi e tecnici secondo finalità differenti da quelle dominanti» (p.26). Un’altra. L’azione politica dovrà avere le stesse modalità di una terapia. «Azione politica e terapia agiscono entrambe a partire da focalizzazioni ossessive del desiderio. Il loro compito è quello di rifocalizzare l’attenzione su attrattori deterritorializzanti così da rendere possibili investimenti del desiderio che siano autonomi dalla competizione, dall’acquisizione, dal possesso e dall’accumulazione» (p. 179). Le tecniche di trasformazioni tradizionali non hanno più senso, quello che possiamo fare è introdurre flussi di informazione o anche flussi di “materia immaginativa” nella machina sociale. Qualcosa viene detta anche a proposito del debito che però niente aggiunge ai testi recensiti nella “Città Invisibile”, ma in questo caso è prevista anche una via di fuga. Essendo il debito creazione di ritornelli che condizionano la mentalità collettiva, occorrerà una terapia di tipo estetico che crei anch’essa ritornelli dissipativi che ci possano restituire il senso di una ricchezza come tempo di godimento, di una ricchezza dissipativa o di una ricchezza ascetica e frugale.

*Gilberto Pierazzuoli

Franco Berardi Bifo, L’anima al lavoro – Alienazione, estraneità autonomia, Derive Approdi, Roma 2016. pp. 288, € 16.00.

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Gilberto Pierazzuoli

Attivista negli anni 70 . Trasforma l'hobby dell'enogastronomia in una professione aprendo forse il primo wine-bar d'Italia che poi si evolve in ristorante. Smette nel 2012, attualmente insegnante precario di lettere e storia in un istituto tecnico. Attivista di perUnaltracittà.

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