La favola di Trump paladino dell’anti-establishment

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La scioccante elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti è stata, fin dalle prime battute, etichettata come un enorme schiaffo ai cosiddetti poteri forti, tra cui il mondo dell’alta finanza, le istituzioni e le lobby, che da sempre influiscono pesantemente sul voto statunitense. In una parola, di cui ormai sembra non si possa fare a meno, l’establishment.

Da ogni angolo del mondo l’estrema destra e, più in generale, i movimenti populisti hanno espresso la convinzione che questa elezione sia l’inizio di una nuova fase, in cui i vecchi poteri sono stati finalmente soverchiati dalla volontà popolare. Dalla Le Pen, a Salvini, al Primo Ministro ungherese Orban, a Grillo, tutti sono convinti, o vogliono farci credere di esserlo, che Trump sia riuscito a sconfiggere la Clinton perché espressione di un popolo che non ne può più del sistema dominante e quindi deciso a votare chiunque ne sia fuori.

download-1Effettivamente Hillary Clinton aveva l’appoggio formale di Wall Street, di quasi tutti i media, di quasi tutti i paesi europei (eccezion fatta per la Russia) e di gran parte dello star system americano. Insomma era la candidata perfetta dell’establishment d’oltreoceano. Persino lo stesso GOP aveva abbandonato Trump a poche settimane dalle elezioni, dissociandosi dalle sue posizioni e finendo per essere costretti a scusarsi in ginocchio a votazioni ultimate. Il sentimento si era maggiormente acuito all’apertura delle borse: Tokyo e Pechino erano in picchiata e Wall Street seguiva a ruota, fino a far pensare davvero che l’alta finanza non volesse in nessun modo Trump come presidente. Ma dopo poche ore dall’apertura, le borse hanno cominciato una risalita lenta ma costante che ora le vede guadagnare stabilmente molti punti percentuali.

Come è stato possibile? La risposta è che Trump è ben lungi da essere il candidato del popolo o il paladino dell’anti-establishment. Trump non fa parte del sistema, è vero. Trump è il sistema. La risalita di Wall Street si deve in larga misura al boom dei titoli bancari che hanno fatto registrare picchi da record. Il tycoon newyorkese ha infatti rapporti privilegiati con la maggior parte delle banche statunitensi che lo hanno salvato in varie occasioni dalla bancarotta. La Citibank, la Bankers Trust, la Chase Manhattan Bank e la Manufacturers Hanover Trust Co. (ora sotto il controllo della JPMorgan Chase) si sono accollate gran parte delle perdite dovute agli investimenti sbagliati del magnate agli inizi degli anni ’90, acconsentendo al prestito di 65 milioni di dollari che, come riportato dal «New York Times», ha evitato il fallimento del suo marchio. Inoltre più di 70 banche che avevano crediti nei confronti di Trump hanno optato per concedergli il bailout, pagando tutti i debiti che la sua società aveva creato per un totale di 975 milioni di dollari (Investopedia: This is how Donald Trump actually got rich).

Ma perché le banche sono così felici per l’elezione di Trump? In primo luogo, il neo presidente USA ha sempre affermato di voler eliminare il Dodd-Frank Act, emendamento varato dalla legislazione Obama che prevede una maggiore regolamentazione degli scambi dell’alta finanza con un occhio più attento ai diritti del consumatore medio e alla sua salvaguardia.

Ma la parte più importante dell’emendamento è senza dubbio la Volcker Rule, una regola studiata per impedire alle banche di usare i depositi dei clienti per fare trading sui mercati finanziari compiendo operazioni rischiose. Inoltre, in una nota diffusa dalle agenzie, i rappresentanti dell’indice bancario KBW, uno tra i più importanti di Wall Street, hanno dichiarato: «Crediamo che il maggiore risultato dell’elezione di Donald Trump sia che Trump assegnerà i ruoli di controllori e regolatori delle banche a persone più «industry friendly» rispetto ai regolatori che assegnava Obama».

Insomma, con le parole di Dick Bove, vice presidente di Rafferty Capital Market, riportate da CNBC, la divisione finanziaria del network NBC «questo è un grand slam home run (il punteggio più alto che si possa raggiungere con una sola azione nel baseball, NdR) per il sistema bancario».

Ma non sono solo le banche ad essere entusiaste dell’elezione di Trump. La leggenda metropolitana per cui Trump sarebbe inviso a tutte le lobby di Washington è semplicemente falsa. La NRA (National Rifle Association), l’associazione che vuole a tutti i costi mantenere la libertà di possedere armi, è una delle lobby più forti di tutti gli Stati Uniti e ha sempre espresso la propria simpatia nei confronti del tycoon.

All’indomani della terribile strage di Orlando, gli Stati Uniti erano tornati per l’ennesima volta a discutere sulla possibilità o meno di aumentare le regolamentazioni e i passaggi burocratici per comprare un’arma da fuoco. Tutto il partito Democratico si era schierato con Obama che aveva dichiarato di voler mettere la parola fine all’assurda facilità di procurarsi un’arma negli States, scatenando l’ira della NRA. Trump aveva invece sfruttato la tragedia sia per scagliarsi in maniera ridicola contro Obama, tacciandolo di essere un musulmano amico dei terroristi, sia per affermare che alla luce di quegli eventi il diritto di avere un’arma era ancora più importante poiché doveva servire a «proteggersi dall’invasione islamica».

Nelle ultime settimane di campagna elettorale Trump ha ribadito che l’ampliamento del «background check» per i potenziali acquirenti di armi da fuoco non ha senso perché, come dichiarato a Business Insider, «la stragrande maggioranza delle persone che vengono sottoposte ai controlli sono proprietari di pistole rispettosi della legge». La NRA ha accolto con favore le parole di Trump fornendogli un endorsement ufficiale. Altri sono venuti dal Klu Klux Klan, dall’American Freedom Party, dal National States’ Rights Party, dal National Border Patrol Council e dal Fraternal Order of Police, tutti esponenti di rilievo dell’establishment statunitense.

E allora perché tutti continuano a sostenere che Trump sia il candidato dell’anti-establishment? Perché conviene così. Perché è una spiegazione facile del suo trionfo che permette di sorvolare sull’analisi di una società americana completamente disgregata dalla crisi economica e dall’analfabetismo dilagante delle contee extra-metropolitane.

Trump ha abilmente saputo infilarsi nel suicidio politico compiuto dal partito Democratico con la scelta di Hillary Clinton, ma ha potuto farlo proprio perché parte di questo sistema finanziario. Ad ulteriore conferma, sempre CNBC riporta nelle ultime ore che il nome di Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase una delle maggiori banche americane, sarebbe stato accostato alla carica di Segretario del Tesoro. La JPMorgan è una delle banche più attive su Wall St. e alla notizia ha visto il suo titolo schizzare a livelli record.

Alla luce di tutto ciò rimane davvero difficile poter continuare a sostenere la favola di Trump paladino dell’anti-establishment. Trump è, e rimarrà, l’immagine perfetta dell’establishment statunitense con buona pace di chi credeva che la sua elezione sarebbe stata uno schiaffo ai poteri forti.

*Dario Valente

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Dario Valente

Dario Valente, Studente del SAGAS, Università di Firenze, corso di laurea in Storia

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