Un viaggio che non promettiamo breve: in Val di Susa con Wu Ming 1

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Un libro, un racconto, che si snoda per oltre 600 pagine sul – ed intorno al – movimento No Tav della Val di Susa. Un libro “targato” Wu Ming 1, quindi un’opera solista con l’autore che ha passato tre anni ad osservare – anche partecipando – le lotte dei valsusini. Quale poteva essere la curiosità dell’autore e quale quella del lettore? Chi comprerà il libro e cosa ci cercherà il lettore? Certamente non soltanto la cronaca spicciola di 25 anni di lotte, ma forse la risposta ad alcune domande: perché una lotta con molte connotazioni localistiche è riuscita invece a diventare emblematica di tutta l’opposizione alle scelte del neoliberismo rapace e fagocitante? Quali elementi hanno permesso il protrarsi dell’opposizione della popolazione per ben 25 anni? Come sono riusciti i valsusini ad amalgamare la popolazione locale con tutti i contributi provenienti da ogni parte di Italia?

wu-ming-1E altre domande ancora. Quella sul soggetto: chi si oppone alla GOII (Grandi Opere Inutili e Imposte)? In primis, ovviamente, la popolazione della valle, se non la totalità degli abitanti, la totalità dei ceti e delle tipologie sociali: dalla casalinghe ai giovani dei centri sociali, dal piccolo imprenditore al coltivatore diretto, giovani e anziani, uomini e donne, tante ed irrinunziabili. Il popolo e la moltitudine. Ci sono i ragazzi di alcuni quartieri popolari, ragazzi che l’autore ha conosciuto quando viveva in quegli stessi quartieri, ragazzi che mai avevano partecipato a manifestazioni politiche, ma che questa volta ci sono. «La Libera Repubblica ha davvero curvato lo spazio politico», dice infatti l’autore. Ma anche gente che viene da fuori. Gente che ha capito che la battaglia degli abitanti della valle è anche una loro battaglia. Che il nemico è comune. E gli abitanti hanno capito che fuori dalla valle ci sono problemi simili al loro; oppure altri problemi, ma che il movente è lo stesso. Forse la lotta nella valle è emblematica di una situazione evidente, dove l’interesse di pochi si scontra con l’interesse di tanti, con l’interesse comune. Nel testo si parla infatti di consapevolezza acquisita. «La lotta contro le grandi opere inutili e imposte era dappertutto […]. Non era un insieme eterogeneo di battaglie a “termine”, episodiche e monotematiche […] Non si trattava di correggere eccezionali “storture” del sistema: la lotta era tout court contro il sistema» (pag. 100).

Ed alcune risposte. La capacità ultima di mescolare i saperi, la voglia di informarsi tale che la persona più lontana dalle pratiche della politica avrebbe potuto sostenere le ragioni di questa opposizione in un qualsiasi dibattito, ricca di logiche, dati e convinzioni. Con l’uso dei saperi a disposizione della lotta. La conoscenza del territorio, i mestieri, le pratiche domestiche financo la cucina. Gestire i presìdi, costruire i rifugi intorno ai quali raccogliere gli occupanti che possano resistere ai tentativi di sgombero. Una messa a disposizione senza reticenze che mostra la ricchezza di questi saperi. Con elementi della consapevolezza alimentati da rivoli la cui inerenza sembrava insospettabile. Svincolarsi dalle proposte globalizzate e uniformanti della grande distribuzione costruendo anche elementi simbolici come il “dado NoTav” testimone di una ribellione alla cucina spazzatura e consistente in verdure tritate e conservate sotto sale. Una risposta ad una offerta scandalosa che prezzava in termini percepibili un oggetto di peso e efficacia totalmente effimeri. Lo aveva preparato Patrizia che si era portata tutta l’attrezzatura a un presidio e che poi aveva distribuito il risultato dei suo sforzi a tutti i partecipanti.

Si potrebbe credere che tutto ciò era forse possibile pensarlo anche senza il libro, prima del libro. Ma la differenza è quella tra presupporre e verificare, come anche quella tracopertina ipotizzare e sospettare, leggendo tra le righe, cose ancora nuove come il contributo delle singole individualità, forse inaspettate. Come dover fare il conto con personaggi degni di racconti fantastici, di un romanzo anche epico, come quello che il testo di Wu Ming, a volte richiama. E la valle diventa allora il regno o il paesaggio di una saga che si racconta in un linguaggio che richiama forme di realismo magico che fanno il verso a quelle di Marquez e di Scorza citate in quarta di copertina. La raccolta documentaria allora si fa storia, storia da raccontare, da ascoltare o da leggere.

Ecco ancora pezzi di cronaca, tutto in presa diretta, ma con la possibilità che gli interpreti abbiano uno spessore, una individualità che emerge non soltanto a partire dalle cose che fanno, ma anche da storie pregresse, da modi e sguardi che fanno di quel personaggio la possibilità di essere personaggio. Dove la scalata di un traliccio è da prima normale, come può essere normale un atto di coraggio, quasi sventato, per poi assumere, nell’economia dei fatti il carattere di evento la cui tragicità si stempera nel lieto fine. Cronaca e affabulazione si mescolano così in maniera naturale tanto da non farci pesare le oltre 600 pagine del libro.

Il tempo è resistenza. Non farsi afflosciare nel tempo. Gli episodi, i fatti si susseguono e si ripetono, ma la presenza è salda nel tempo. Il nemico ha provato a scoraggiare a infastidire, a reprimere e una multa (poi contestata e restituita) richiama alla memoria ancora una resistenza. Quella di un episodio avvenuto in valle all’inizio del secolo scorso, nel quale ad un gruppo di operai era stata elevata una multa per corteo non autorizzato, multa che fu pagata tramite una colletta immediata che raccolse una cifra bastante per la multa, ma anche per l’acquisto di una certa quantità di vino a rallegrare il ritrovo e al poter continuare a manifestare il loro dissenso.
Il tempo è resistenza: «la concretezza dell’utopia si misurava nella capacità di sottrarsi alla tempistica del potere, di rallentare la catena di montaggio sociale, di sospendere la routine. […] l’elemento più importante non era il “qui” – una piazza, una scuola occupata, un prato, una casa sull’albero – ma il “finché vorremmo”. Era la rottura del tempo a dare senso allo spazio» (pp. 178-179)
Il tempo è resistenza: i comunardi avevano sparato agli orologi di Parigi; quest’anno, sempre in Francia «dopo lo sciopero generale del 31 marzo, la lotta sarebbe proseguita il 32, il 33, il 34… ecco quel che i denigratori dei No Tav non riuscivano a capire: anche i valsusini si erano ripresi il tempo».

Le GOII e lo spezzatino. Una strategia adottata per la Torino-Lione, ma anche per la Venezia Trieste era quella di spezzare in più tronconi il progetto come a nascondere il quadro di insieme e quindi le magagne complessive, ma anche di impedire il costituirsi di un’opposizione unitaria al progetto complessivo (cfr pag. 301). Una strategia che richiama ancora una volta quella che è possibile definire una situazione kafkiana, peraltro già da noi segnalata, si tratta del racconto di Kafka sulla costruzione della Grande Muraglia: leggi qui. (In particolare a partire dalla frase: «Perciò fu scelto il sistema delle costruzioni parziali… »)

Andare a zig zag. Durante un processo si contesta ad una delle imputate di aver compiuto un repentino cambio di direzione provocando così al suo inseguitore una lieve distorsione. In parole povere: andava a zig-zag. Ecco il commento «[…] Uso la categoria del “sublime” per due motivi. Intanto perché in un’immagine racchiude la forza principale del movimento No Tav. Basta pensare agli spazzini che chiudono ogni corteo, per lasciare pulite le strade su cui si sfila. È un’immagine totalmente spiazzante. Guardandoli, i passanti sono costretti a chiedersi: ma costoro sarebbero i terroristi di cui parlano i giornali? Questo è andare a zig- zag. Sorprendere, spiazzare, stupire. Il secondo è che la magia fa esattamente lo stesso: sorprende, spiazza, stupisce». E il libro è un po’ cronaca, un po’ storia, un po’ magia.

Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve – Venticinque anni di lotte No Tav, Einaudi, Torino 2016, pp. 664, € 21.00.

*Gilberto Pierazzuoli

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Gilberto Pierazzuoli

Attivista negli anni 70 . Trasforma l'hobby dell'enogastronomia in una professione aprendo forse il primo wine-bar d'Italia che poi si evolve in ristorante. Smette nel 2012, attualmente insegnante precario di lettere e storia in un istituto tecnico. Attivista di perUnaltracittà.

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