Sanità: quello che Enrico Rossi non dice

Da qualche settimana si è acceso un dibattito intorno al rischio di un ritorno, quanto meno parziale, di mutue integrative o sostitutive di prestazioni che dovrebbero essere garantite dal Servizio sanitario nazionale.

Il problema non è nuovo. Già ci aveva provato il Governo Amato, negli anni ’90 dello scorso secolo (Ministro della sanità Francesco De Lorenzo…). Il tentativo abortì qualche anno più tardi con la correzione di un articolo di legge del 1992.

Nell’ultima convention della corrente renziana tenutasi al Lingotto è stato approvato un documento sulle politiche sanitarie in cui si afferma la necessità dello Stato di dover garantire un “pavimento di diritti” su cui si innestano successivamente diritti ulteriori “costruiti con la contribuzione individuale e collettiva”. Il progetto è chiaro: lo Stato passa solo un “pavimento” di diritti e solo con la “contribuzione” (mutue e assicurazioni evidentemente) si possono acquisire – cioè acquistare – ulteriori diritti fino a oggi contenuti nei Livelli essenziali di assistenza (LEA).

Precedentemente le organizzazioni sindacali confederali hanno firmato accordi per la nascita del “welfare aziendale” e il Governo ha defiscalizzato le relative spese.

A fronte di questo paventato rischio di “neomutualismo” o “mutualismo di ritorno” si sono registrate posizioni sostanzialmente negazioniste da parte proprio degli estensori. Negano quello che hanno scritto: aprono il testo con una premessa sull’universalismo del Servizio sanitario salvo poi auspicare che il Servizio sanitario nazionale si limiti a erogare “un pavimento di diritti” e il resto con la “contribuzione personale (assicurazioni?) e collettive (mutue?)”. Il programma politico è il neomutualismo ma si nascondono dietro una premessa di facciata. La conseguenza del disegno politico reale appare intollerabile: precari, disoccupati e, in generale, percettori di basso reddito non potranno accedere alle prestazioni ulteriori al “pavimento” di diritti garantito.

Nella proposta renziana siamo alla scomparsa del Servizio universalistico a favore di un servizio minimo.

Nel dibattito è intervenuto anche il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi in uno dei suoi primi interventi pubblici post scissione. In un articolo pubblicato dal manifesto il 6 aprile 2017, Rossi stigmatizza le politiche di privatizzazione che sottostanno al documento del “pd renziano”, contesta il paradigma neomutualista e la trasformazione della salute ridotta a merce.

Non troviamo una frase e un concetto con cui non essere d’accordo con il Presidente Rossi.

Ci domandiamo però se sia lo stesso Enrico Rossi che sul quotidiano Il Tirreno il primo ottobre 2012 dichiarava:
“non è escluso che si arrivi a chiedere un contributo responsabile a chi può pagare, in rapporto al reddito. E che si possa pensare che certe categorie di lavoratori possano fare un’assicurazione privata finalizzata a garantirsi specialistica e diagnostica. Servizi che ormai si trovano nel privato allo stesso prezzo del pubblico con i suoi ticket. I tempi cambiano, e in un quadro di crisi come quello attuale tutto gratis non può più essere”. Nel 2012 auspicava il neomutualismo, anzi peggio, l’intervento delle assicurazioni private, per garantire “specialistica e diagnostica”, prestazioni che oggi sono garantite dalla fiscalità generale.

Ci domandiamo inoltre se sia sempre lo stesso politico e uomo delle istituzioni – prima come assessore e poi come presidente – che ha avviato la costruzione e la realizzazione di ben quattro ospedali (Prato, Pistoia, Lucca e Massa) con la sciagurata tecnica finanziaria del project financing, che ha introdotto, per la prima volta in Toscana, forti elementi privatistici nella gestione degli ospedali per i prossimi venti anni e che peseranno fortemente proprio sulle risorse destinate al Servizio sanitario regionale. Recentemente l’assessore Stefania Saccardi ha esplicitamente ammesso di stare lavorando a un progetto per interrompere la concessione con la conseguenza di “ricomprare” gli ospedali in project, (La Nazione, cronaca di Pistoia, 6 marzo 2017). Con quali risorse e con quali conseguenze per le casse della Regione non è chiaro.

A Enrico Rossi si ascrive anche il progetto, mai realizzato per fortuna, di introdurre un ticket per i ricoveri ospedalieri e una gestione di favore verso le pubbliche assistenze proprio per la gestione di esami diagnostici e l’erogazione di prestazioni specialistiche.

Ci domandiamo, infine, se sia lo stesso Rossi che nel 2015 ha forzato i lavori nel Consiglio regionale per approvare prima di Natale, per evitare una consultazione referendaria forte di oltre 50.000 firme, la contestata riforma del Servizio sanitario regionale toscano, passaggio su cui eravamo già intervenuti con un articolo specifico su questa Rivista. Ebbene sì, è lo stesso Enrico Rossi dell’articolo del manifesto.

Il riposizionamento fuori dal Pd può anche portare al pentimento delle scelte fatte in questi anni da amministratore e, in questo caso, potrebbe mettere in atto delle politiche correttive. Rossi invece tace sull’operato suo e della sua Giunta e non mostra alcun segno di ripensamento delle politiche poste in essere fino ad oggi. Ecco allora che l’articolo pubblicato sul manifesto sembra che abbia più la finalità di smarcarsi dalle politiche nazionali annunciate nelle convention renziane, salvo poi predicare e praticare le stesse politiche a livello locale.

Anche le annunciate iniziative contro la libera professione dei medici, con la strutturazione di un disegno di legge teso al superamento di questo istituto, sembrano un gioco delle parti nella guerra scissionista: a un anno dall’annuncio nessun disegno di legge è stato presentato.

Non sembra, quindi, che la coerenza sia la maggiore delle qualità di Enrico Rossi.

*Luca Benci