Un’analisi del decreto Minniti/Orlando: non vogliamo repressione, ma casa, lavoro, scuola e sanità

  • Tempo di lettura:14minuti
image_pdfimage_print

Come assemblea Cittadina Fiorentina nata dall’esigenza di dare una risposta popolare e unitaria contro il Decreto Minniti-Orlando, divulghiamo questo opuscolo informativo che vuole essere un primo punto riflessivo contro le politiche securitarie contro la guerra ai poveri, agli stranieri, agli incompatibili, contro la società della paura costruita ad arte da questo come dai precedenti governi.
Con lo scopo di iniziare a far chiarezza sul vergognoso ennesimo attacco alla libertà e ai diritti di tutti, riteniamo sia fondamentale rifiutare il crescente clima di paura, perché i nostri quartieri sono sicuri se la comunità se ne prende cura, perché è importante continuare a lottare per l’unica vera sicurezza di cui abbiamo bisogno: un lavoro degno, dove possiamo lavorare tutti e lavorare un po’ meno senza perdere il nostro salario, servizi sociali efficienti e per tutti, sanità pubblica accessibile, gratuita e di qualità, una casa sicura, una scuola e un’università che apra le menti, che metta al centro i bisogni degli studenti e non che formi i nuovi schiavi di domani. Si sta affermando, nei fatti, la società dell’emergenza, della paura e, quindi, della sicurezza, di cui anche questo ennesimo decreto si fa strumento.
Noi non abbiamo paura, se incominciamo a lottare.

Il Decreto Minniti-Orlando sulla Sicurezza Urbana e sull’immigrazione è stato convertito in legge dal Parlamento.
Di fatto, il nuovo Ministro degli Interni Marco Minniti, l’uomo forte del governo Gentiloni, attacca le fasce più disagiate della cittadinanza attraverso l’introduzione di dispositivi amministrativi punitivi, che sapientemente coordinati con quelli già da tempo esistenti, restringono ulteriormente gli spazi già ristretti delle libertà costituzionalmente garantite. Allo stesso tempo, il decreto del  Ministro della Giustizia Andrea Orlando, é mirato a disciplinare l’immigrazione e continua col privare i migranti delle garanzie minime anche dal punto di vista giuridico, facilitandone l’espulsione e smantellando i diritti anche per i permessi di soggiorno o per l’iter processuale.            

La strategia della paura: siamo in pericolo o in povertà? Perché nonostante un calo dei reati comuni negli ultimi anni (Fonte Viminale: omicidi -11,3%, rapine -10,6%, furti -9,2%) continuano a dirci che siamo in piena emergenza sicurezza? Per far crescere la nostra paura? Perché dobbiamo aver paura? Perché vengono dedicati interi servizi di telegiornali e carta stampata a tutto questo? Perché il problema è diventato la sicurezza e non la mancanza di lavoro, di servizi sociali efficienti per tutti, di accesso alla salute pubblica e di qualità, una casa, asili, scuole e università?

I termini chiave di “ordine”, “sicurezza” e “degrado”, utilizzati ogni giorno per alimentare la paura e l’odio fanno sì che il povero, l’emarginato, il mendicante e chi ruba perché non riesce a mangiare, diventino i mostri da combattere e nascondere e non una problema sociale da affrontare.

Il sistema capitalistico ha prodotto tutto questo con anni di politiche a garanzia delle classi più forti, con vantaggi solo per i politici, per le multinazionali e i potenti, il tutto a discapito delle fasce sociali più deboli che sono sempre più in forte difficoltà. Nelle difficoltà la competizione per la sopravvivenza cresce, ma invece di risolvere i problemi della disoccupazione, della sanità sempre meno pubblica, lenta e insufficiente, delle case popolari che mancano, delle scuole e università carenti, l’unica cosa che sono riusciti a fare è alimentare l’odio e la guerra tra poveri e a metterci gli uni contro gli altri.

Non sarà mica perché se ci odiamo siamo tutti divisi, più deboli e più facili da controllare? Creando il mostro da combattere si giustificano sia l’odio che i gravi interventi repressivi e di controllo, in quanto queste categorie accedono direttamente a quella dimensione emotiva e irrazionale che caratterizza ognuno di noi.
Così facendo prende il sopravvento la subdola tentazione di pretendere la tutela da parte di chi ha il compito di garantire l’ordine pubblico. Infatti paradossalmente quello che emerge dall’opinione pubblica generalizzata è la richiesta di più polizia e più controlli ovunque, dimenticando che quella polizia è la solita che produce quotidianamente abusi e violenze su chi tenta di ribellarsi a tutto questo. Un meccanismo di abusi di potere che si può riversare non solo verso chi lotta, ma contro chiunque, come ci ha dimostrato, proprio nella nostra città, il caso di Riccardo Magherini, morto in San Frediano mentre chiedeva aiuto in un momento di grave difficoltà.

La mostrificazione degli individui in difficoltà, i cosiddetti impresentabili, non serve ad altro che ad alimentare questa esigenza securitaria, con la finalità di giustificare la “bonifica” delle città da tutte quelle categorie della collettività che non si adattano al modello di una società fondata sulla diseguaglianza fra le classi sociali e sulle belle e vuote apparenze.

Se nascondi la polvere sotto il divano hai pulito casa? Se dai il DASPO o il foglio di via ad un senza tetto per allontanarlo dai centri urbani hai risolto il problema della mancanza di una casa per tutti? La povertà in Italia è una problematica seria che colpisce 1 milione e 582 mila famiglie e quasi 5 milioni di individui che sopravvivono in condizioni di “povertà assoluta”: è nascondendo i poveri nelle periferie che risolveremo il problema della povertà? La povertà è davvero un problema di ordine pubblico che richiede più sicurezza?

La scusa dell’emergenza diventa giustificazione propagandistica per la limitazione in forma legale e pratica della riduzione degli spazi di libertà. Le problematiche ormai strutturali della nostra società come la povertà, vengono trattate come un’emergenza continua, ma di fatto non lo sono, non si tratta di terremoti o alluvioni ma di problematiche che per essere risolte necessiterebbero la dissoluzione del sistema stesso che le ha generate.

In quei momenti in cui l’emotività sembra prendere il sopravvento, si rende necessario uno sforzo prima di tutto intellettuale, necessario quando siamo tentati di dar contro al “immigrato che ci ruba il lavoro” o al “ambulante abusivo che deturpa il territorio”, invocando un intervento repressivo. Dobbiamo perciò rompere lo schema che ci tiene chiusi in questa forma di individualismo che ci impone il “pensare per sé”. Dobbiamo capire che queste “categorie deboli” vengono utilizzate come strumento, per poter normalizzare la vita di TUTTI gli individui, non solo degli indesiderati del momento e per immobilizzare il percorso di rivendicazione dei diritti che permetterebbe loro un avanzamento. I meccanismi repressivi volti a minimizzare i conflitti sociali e tenere a bada tutte le forme di dissenso e di protesta si attivano proprio per questo, sia dal punto di vista culturale e mentale, sia da quello fisico e di limitazione delle libertà personali. Ieri il DASPO toccava agli Ultras allo stadio, oggi il DASPO urbano può toccare a tutti in città.

Il destino di chiunque altro si trovi in una condizione di subalternità rispetto al potere è legato a quello di tutti gli altri e non dobbiamo dimenticare che solo noi stessi possiamo aiutare chi ci circonda con l’arma della solidarietà, con il senso di responsabilità collettivo nelle lotte di tutti i giorni e  garantendo con l’autocontrollo popolare la presenza attiva di tutti nelle problematiche che il sistema stesso ha creato e che non vuole risolvere. La battaglia va condotta contro il vero nemico, non tra immigrati, disoccupati, operai sfruttati, manifestanti politici e Ultras: quelli devono stare dalla stessa parte, perché sono in conflitto con lo stesso sistema di potere.

Entrando nei dettagli del decreto:

  • CITTA’ COME CURVE DEGLI STADI A partire dal primo articolo viene resa esplicita la “necessità” di questo decreto per rivalorizzare la città e liberarla dalle così dette “zone di degrado e malessere”, riproponendosi inoltre di riqualificare anche gli elementi ghettizzati, e non si parla solo luoghi, ma anche di cittadini.Con il decreto Minniti, dopo anni di allenamento nella palestra della repressione che nel tempo hanno rappresentato le curve degli stadi, il DASPO fa il suo ingresso a gamba tesa nel centro delle città da cui i soggetti già marginali, oggi “indecorosi”, potranno essere allontanati per ordine del Sindaco. Una libertà fondamentale e costituzionalmente garantita, la libertà di movimento, sarà dunque a totale appannaggio del potere incontrollato dell’organo amministrativo che a fronte di una crescente richiesta di diritti socialie e welfare, in un contesto di crisi economica strutturale, sarà invece legittimato a rispondere con la forza di un provvedimento temporaneo che è già sanzione e che contribuisce non poco a distorcere la natura politica dell’organo in funzione sempre più marcatamente repressiva. Senzatetto, prostitute, alcolisti, mendicanti; gli stili di vita o lo sfruttamento rappresenteranno al tempo stesso il sintomo e la prova della colpevolezza, in un meccanismo punitivo dove non è più neanche richiesta la commissione di un fatto di reato; per la condanna all’esilio dal centro della città o dalle altre zone urbane individuate come strategiche basterà offrire una brutta impressione di sé incompatibile con l’estetica del contesto, del “decoro urbano” la cui elevazione normativa a bene giuridico da difendere e tutelare rende sufficiente un’impressione sgradevole per legittimare l’allontanamento coattivo.
  • LA LOGICA DEL NEMICO INTERNO L’approvazione del decreto Minniti fa sì che la retorica del diverso, dell’emarginato, di chi “se l’è andata a cercare” venga ad essere ancora di più rafforzata e “legalizzata”. Si tratta della stessa retorica che in questi anni è servita a giustificare e/o occultare i numerosi episodi di abusi e violenze commessi ai danni dei cittadini da parte dello Stato, garantendo – spesso – l’impunità agli autori in divisa di tali abusi. Stefano Cucchi era un tossicodipendente, Federico Aldrovandi un ubriaco violento, Francesco Mastrogiovanni un maestro sovversivo e così via; si tratta di un’operazione di criminalizzazione utile a un doppio obiettivo: svuotare le istanze di verità e giustizia provenienti dai familiari delle vittime degli abusi di Stato ed alimentare la paura verso un “nemico” tutto interno, per il quale non valgono le stesse regole e garanzie che esistono nei confronti degli altri cittadini “perbene”. Sembra quasi crearsi un ghetto normativo, dove la sospensione dello stato di diritto è giustificata in partenza. Nella prassi nessuno dei dispositivi previsti dal decreto Minniti sulla sicurezza urbana è nuovo all’armamentario repressivo già presente nell’ordinamento giuridico italiano. Si pensi, ad esempio, l’emendamento circa la previsione dell’estensione dell’arresto in flagranza differita ai reati compiuti “in presenza di più persone o in occasioni pubbliche”.
    Questo strumento non è stato inventato per l’occasione. Anzi, anche in questo caso il “prestito” proviene dal mondo del calcio, dove era già prevista la facoltà di procedere all’arresto nelle 48 ore successive ai fatti se, dal materiale fotografico o videoregistrato raccolto, fosse stato possibile avanzare rapidamente all’identificazione dei responsabili di reati compiuti con violenza contro cose o persone, con l’obbligo di procedere ad un processo per direttissima. La gravità, se mai ci fosse bisogno di sottolinearlo, sta proprio nel fatto che questo istituto è stato esteso non solo più per giustificare gli ingiusti arresti degli Ultras ma, così come previsto, potrà essere utilizzato in una serie di situazioni ben più varie. La logica che sottende la presenza nell’ordinamento dell’arresto in flagranza di reato è di interrompere un comportamento a fronte della sua pericolosità immediata e contemporaneamente, a causa della stessa, di legittimare la privazione della libertà (o tutt’al più quella di inseguire chi – da elementi di fatto evidenti – appaia quale autore di un reato o perché abbia su di sé tracce del reato, c.d. quasi flagranza). Da qui, la domanda: quale sarebbe la logica che accompagna l’arresto in flagranza differita se la pericolosità del gesto si è completamente esaurita? Cosa dovrebbe interrompere l’intervento delle Forze dell’Ordine a distanza di due giorni dai presunti fatti di reato? Presunti – sotto il profilo sia della corretta identificazione dei sospettati – in quanto spesso effettuata attraverso la frettolosa e fantasiosa visione di materiale foto/video, sia dell’esatto inquadramento giuridico dei comportamenti che, in così poco tempo, sarebbero per prassi e per comodità elevati a quello più grave, a fronte della necessità di giustificare l’utilizzo di uno strumento immediatamente privativo della libertà.
  • INTIMIDAZIONE DEL DISSENSO Anche su questo punto il Decreto Minniti non cela l’intenzione marcatamente intimidatoria del dissenso, attraverso l’estensione alla piazza di uno strumento investigativo parziale e decontestualizzato da un lato e il rispolvero di vecchi arnesi repressivi mai espunti dall’ordinamento.
    I fogli di via piovuti a pioggia su tantissimi attivisti politici nelle ultime settimane ne sono il plastico esempio. Le misure di prevenzione utilizzate in occasione del vertice UE a Roma lo scorso 25 Marzo, rappresentano ancora oggi un unicum tutto italiano, un complesso articolato di provvedimenti e sanzioni che conferiscono, al Questore prima e all’autorità giudiziaria poi, la possibilità di privare della libertà gli individui sulla base dei soli elementi di fatto (non prove e neanche indizi, ma caratteristiche sintomatiche come felpe con cappuccio e sciarpe), stabilite a prescindere dalla commissione di reati.
    Anche in questo caso saranno l’estetica o la provenienza ideologica a suggerire la pericolosità sociale, categoria tanto ampia e indeterminata da contenere ogni forma di diversità e opposizione sociale e consentire per questo discrezionalità e abusi.
    La conversione definitiva dei decreti Migranti e Sicurezza Urbana accompagnata dall’utilizzo massivo di misure di polizia rende palese la volontà politica di criminalizzare le crescenti istanze di giustizia sociale contribuendo non poco ad alimentare quel sentimento di impunità e strapotere che da sempre caratterizza l’azione degli organi di Polizia di questo paese.
  • AGENTI ANCORA SENZA NUMERO IDENTIFICATIVO Non è un caso che dalla legge di conversione del decreto Minniti sia stato espunto l’emendamento che avrebbe potuto introdurre il numero identificativo di reparto per le F.O. impegnate nell’ordine pubblico, né appare casuale la galvanizzazione di cui gli stessi agenti sembrano protagonisti da quando il ministro Minniti ha preso funzioni.
    Il comportamento delle Forze dell’ordine, che risulta sempre più esasperante e punitivo durante le manifestazioni di piazza, si camuffa continuamente sotto forma di “eccesso colposo”, quando invece risulta evidente una volontà preordinata e cosciente di infliggere lesioni.
    Così, mentre alcune delle vittime delle violenze a Bolzaneto e alla Diaz patteggiano per sfinimento, mentre i familiari delle vittime di abusi in divisa lottano nei tribunali perché la verità venga fuori, mentre l’Europa commina ancora sanzioni per la mancata introduzione del reato di tortura, altri due provvedimenti legislativi aggiungono ostacoli al cammino da fare.
  • FIGURE AUTORITARIE CON POTERE DECISONALE Uno Stato fondato sul controllo sociale si struttura tramite la militarizzazione a livello cittadino e tramite leggi repressive speciali.
    Con il decreto Minniti, vengono introdotti alcuni pericolosi dispositivi: uno è sicuramente legato ai poteri ed al ruolo dei sindaci e dei rappresentati pubblici in generale:
    Il Sindaco: diventa tutore dell’ordine, compiendo ancora un passo nella direzione già intrapresa in questo come in altri settori: i comitati per l’ordine, il preside sceriffo, i dipendenti di cooperative come guardie per gli immigrati o vigili urbani e controllori degli autobus usati come forze repressive.
    Così facendo i sindaci privati da anni di poteri reali sulle loro comunità, cui vengono tagliati fondi su fondi dalle scuole alle strade, diventano improvvisamente tutori dell’ordine, ritrovando un ruolo nella repressione e     nell’esercizio delle azioni penali.
    Sindaci e città vedono aumentati i loro poteri, grazie anche all’istituzione di comitati metropolitani per la sicurezza, autorizzati a dare multe e daspo urbano fino ad un massimo di 5 anni di allontanamento. Inoltre, viene data loro la possibilità di favorire l’ingresso di enti non economici e soggetti privati, che si vanno ad aggiungere alle centinaia di istituti di vigilanza privata che popolano le nostre città.
    Il Prefetto: rappresentante territoriale del Governo, assume un potere sempre più autoritario, partecipando al “nuovo” comitato per la sicurezza, scegliendo modalità, tempi e priorità degli sgomberi e intervenendo in maniera preventiva sull’occupazione di edifici pubblici.
  • MIGRANTI, NON PIÙ ESSERI UMANI Il decreto Orlando riguarda la protezione internazionale e il contrasto dell’immigrazione illegale, i cui capisaldi vertono sul maggiore sfruttamento dei migranti e ne facilitano la loro espulsione. Anche dal punto di vista processuale ci sono grandi cambiamenti come l’abolizione dei gradi di giudizio, del principio del contraddittorio, creazione di giurisdizioni speciali.
    Nello specifico, si tratta di:
    Lavoro gratuito: il richiedente asilo come gesto di retribuzione e di integrazione al tessuto sociale, dovrà svolgere attività lavorative socialmente utili totalmente a titolo gratuito. Questa sorta di binomio lavoro-integrazione non è altro che una forma di declassamento della figura del migrante che più che integrato è sfruttato e deve sottostare ad un regime di schiavitù. Chi rifiuta questa forma di schiavitù, inevitabilmente, per l’opinione pubblica, assume la figura del migrante cattivo e del possibile delinquente di quartiere;
    Giurisdizione speciale: Con la scusa di facilitare e alleggerire il procedimento, viene istituita una giurisdizione speciale che si occupa esclusivamente di richieste d’asilo e protezione internazionale. Si introducono le audizioni videoregistrate come unico riferimento per la decisione finale e viene abolita la possibilità di ricorrere in appello e contestare la prima sentenza;
    Centri di Permanenza per il Rimpatrio: I vecchi Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) diventano da quattro a dieci, su tutto il territorio nazionale, e sono rinominati Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR). I nuovi centri saranno piccoli, con una capienza di cento persone al massimo, sorgeranno lontano dalle città e vicino agli aeroporti; anche nella “democratica” Toscana, sorgerà un CPR vicino Campi Bisenzio o Pisa. La permanenza in queste strutture di fatto, come negli ex-CIE, corrisponde ad una vera e propria detenzione, poiché chi è recluso viene privato della libertà personale ed è sottoposto ad un regime di coercizione che, tra le altre cose, gli impedisce di ricevere visite e di far valere il diritto alla difesa legale. Il funzionamento dei CPR è di competenza del Prefetto, che affida i servizi di gestione della struttura a soggetti privati, responsabili del rapporto con i detenuti e del funzionamento materiale del centro.

Alla luce di tutto questo riteniamo fondamentale lo scopo di quest’opuscolo esplicativo in modo tale che tutti possano essere informati e capire fino in fondo quello che sta succedendo in Italia. Ai nostri occhi risulta lampante come questi decreto-legge di natura fascista altro non siano che la punta dell’ iceberg di un sistema repressivo estremo che, tramite la legittimazione del meccanismo del controllo sociale e degli abusi di potere, ormai da anni, stringe la sua morsa intorno a chi lotta per una società più giusta e che allo stesso modo marginalizza e criminalizza quei settori sociali che risultano ai più, tanto “indesiderabili” e “indecorosi”. Una mobilitazione cittadina dal basso contro questa barbarie securitaria è più che un obbligo un dovere, è compito di tutte e tutti fare quello sforzo necessario a riaprire il campo, a riprenderci l’agibilità che ci vorrebbero sottrarre, nelle lotte di tutti i giorni.

Diamo il DASPO a Minniti e il Foglio di Via al razzismo, NOI NON ABBIAMO PAURA!

*Assemblea cittadina contro il decreto Minniti/Orlando

The following two tabs change content below.

Redazione

Il gruppo di redazione della rivista edita da perUnaltracittà

1 commento su “Un’analisi del decreto Minniti/Orlando: non vogliamo repressione, ma casa, lavoro, scuola e sanità”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Captcha *