Le parole della politica: comunità, sovranità, popolo

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Comunità. Contrariamente al senso comune che fa riferimento a identità, soggetti definiti e quant’altro, il senso originario (cum munus) rimanda ad un termine (munus) che richiama le obbligazioni riferentesi a doni ricevuti, a debiti contratti. 

La comunità non ha dunque niente di proprio. Questa è una distorsione che si fa strada a partire dal basso medioevo per espandersi in età moderna e giungere sino a noi. La comunità del dono o del debito non è un oggetto pieno, ma è proprio quel vuoto, quel meno, quella mancanza derivata dall’essere in debito. La sostanza è soltanto relazionale. Lo spostamento verso il proprio è espressione di una forma di estraneità alla relazione comunitaria; estraneità che si determina al compimento di un processo di immunizzazione dalle relazioni dono-restituzione che diventano invece ritenzione e accumulazione. 

Il contemporaneo è farcito più di immunitas che di communitas. Se communitas è in qualche modo vincolata all’altro, l’immunitas ci dispensa dagli obblighi relazionali. L’individuazione è un’operazione che riguarda l’immunitas e non la communitas. Ancor più grossolanamente: la prima è di destra, la seconda è di sinistra.

Sovranità. Sovranità è semplicemente la facoltà che permette di dichiarare lo stato di eccezione.
Il rapporto tra comunità e proprietà, tra comunità e individualizzazione di ciò che si vuole essere il proprio, l’identità, è il frutto di una distorsione di destra. Schmitt, nel tentativo di territorializzazione della legge, scopre una forma di appropriazione della terra facendo, secondo noi, una forzatura di interpretazione linguistica del termine greco “nomos”. 

Ma, come è facilmente dimostrabile, nomos rimanda ad una serie di termini che hanno a che fare con un uso della terra non proprietario; c’è un rimando alla pastorizia, a comportamenti anche nomadi, all’uso comune delle terre non recintate. Più che appropriazione (Schmitt) il senso che se ne deduce è quello di distribuzione. Se ne ricava così anche un corollario: l’appropriazione chiama una sovranità da esercitare anche in difesa dei confini, ma se la territorializzazione rimanda al pascolo, al nomadico, alla non recinzione, la sovranità si dovrà esercitare non sul proprio (sulla proprietà protetta da specifici confini), ma sulla relazione che costituisce la base del fare comunitario. Quello che fa impazzire il pensiero di destra è la figura del pirata proprio perché è un nemico del quale non sono definibili dei territori sui quali egli eserciti una qualsivoglia forma di sovranità.

Criticare le forme di potere sovranazionale (Unione Europea) non significa essere tifosi della sovranità nazionale.

Popolo. Come per il concetto di comunità, c’è un’interpretazione del senso di popolo che lo assimila a quello di nazione e quindi ad una serie di percorsi identitari. Il concetto fondamentale nasce nel XVII secolo da una serie di dispute che lo vedevano opposto a quello di moltitudine. I padrini erano Hobbes per “popolo” e Spinoza per “moltitudine”. Per Hobbes il concetto di popolo è strettamente connesso con quello di Stato. Il popolo sono i molti che è possibile pensare come uno: «Il popolo è un che di uno, che ha una volontà unica e cui si può attribuire una volontà unica». Fuori dello Stato è possibile pensare i molti, nello Stato, invece, c’è il popolo-uno. Il non uno non trasferisce i propri diritti al sovrano, la moltitudine, i molti in quanto molti, non convergono in quell’unica scelta che coincide con il concetto di Stato, cioè per quel monopolio della decisione politica che è appunto lo Stato. Il popolo è la volontà generale incarnata nello Stato. 

Popolo e comunità sono legati a uno spazio circoscrivibile, alla presenza di un dentro determinato. Un dentro che è riparo e argine contra la paura, contro l’angoscia del fuori, del trovarsi lontano dalle abitudine condivise. Essere popolo è dunque essere esso stesso riparo. La paura è fabbricatrice di popolo. Il popolo si alimenta allora di paura. Ma la comunità composta dalla relazione che intrattengono i molti non riesce a consolidare delle abitudine condivise – a farle diventare proprie -tali da poter alimentare la paura dell’allontanamento da essa. La comunità della moltitudine ha meno ragioni per avere paura.

*Gilberto Pierazzuoli

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Gilberto Pierazzuoli

Attivista negli anni 70 . Trasforma l'hobby dell'enogastronomia in una professione aprendo forse il primo wine-bar d'Italia che poi si evolve in ristorante. Smette nel 2012, attualmente insegnante precario di lettere e storia in un istituto tecnico. Attivista di perUnaltracittà.

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