Lorenzo e la sua gente

Faccio fatica a crederci. E’ troppo dura da mandare giù. Lorenzo Bargellini, alias “il Capellone”, alias “il Mao”, non c’è più.
A 58 anni non si può morire così.
Quando lo conobbi avevo 15 anni e lui 18.
Una vita spesa per un altro mondo possibile, una vita che rende nobile l’essere umani.
Non viveva solo per la sua gente, viveva con la sua gente. Sfrattati, senza casa, italiani e migranti. La sua intera vita era lì, a fianco degli ultimi, che difendeva con la sua dialettica, con la sua presenza, con il suo corpo, con tutto il suo tempo disponibile, e le numerose denunce per le occupazioni che negli anni aveva accumulato per me sono un curriculum di valore. Alla persona, alla coerenza, all’onestà, alla determinazione. Alla giustizia sociale.

Al senso di dignità ribelle e di orgoglio che dava a chi era destinato a subire e chinare il capo.
Dignità e orgoglio di classe, questo va detto con forza e a voce alta.
C’era sempre, non solo ad organizzare la sopravvivenza delle migliaia di persone passate per le occupazioni del Movimento nel corso dei suoi 28 anni di esistenza organizzata, ma anche a risolvere i problemi di convivenza, le discussioni fra inquilini occupanti, le tragedie familiari.
E a condividere le gioie, rare, ma importanti.
L’hanno fatta lui e il Movimento la vera accoglienza ai senza casa, altro che istituzioni!
Basta pensare a cosa sarebbe stata Firenze, una città regina degli sfratti, se tutte quelle famiglie non fossero state accolte nelle occupazioni ma lasciate in strada, perché quello sarebbe stato il loro destino. Ci sono sempre state tante cose in Lorenzo: rivoluzione e solidarietà, generosità infinita e incazzatura naturale, disponibilità illimitata e capacità di mediazione, ironia e capacità di sdrammatizzare. Cose che ne facevano un personaggio unico, sempre in prima linea e sempre pronto a proteggere e promuovere la sua gente. L’ultimo fiorentino illustre.
Domenica pomeriggio eravamo in tanti davanti a casa sua, mentre il medico legale faceva gli accertamenti di rito, increduli, disperati, allucinati da una notizia incomprensibile e indigeribile.
C’era la sua gente, c’erano i suoi vecchi e nuovi compagni, c’era chi, come me, lo conosceva da quarant’anni, chi da di più e chi da poco, tutti con le stesse lacrime, dentro e fuori. C’erano tante lingue del mondo a salutarlo.

Probabilmente esulteranno gli speculatori, faranno lacrime di coccodrillo le istituzioni, si sentiranno sollevati i fautori dell’apartheid sociale e quelli che si trincerano da sempre dietro l’alibi della “legalità”: a tutti costoro un sonoro andate al diavolo, una volta per tutte!
Per me se n’è andato un pezzo importante della mia vita, si è creato un buco nero nella storia di Firenze, un concentrato di tutto quanto rappresenta il meglio di una società possibile. Ma non me la sento di dire addio, perché Lorenzo è anche dentro di me e dentro tutti quelli che lo hanno amato. E ci rimarrà.

Dopo che fondammo Fuori Binario, nel 1994, tutte le volte che lo incontravo mi diceva, ironico, con quel suo sorriso ampio e accogliente: “Ecco la voce dei senza voce!”. E io di rimando: “No, sei te la voce dei senza voce, sei sempre stato te l’esempio”.

Ecco, lui era la voce della sua gente.
Era la voce di una Firenze vera e viva, che spaziava dai diritti per tutti alla fede viola.
Ed è soprattutto la sua gente che oggi è orfana, la sua gente che non deve rimanere sola.
La sua gente intorno alla quale bisogna stringersi, la sua gente che dobbiamo supportare con sempre più forza.
Perché è il miglior modo per ricordarlo vivo e presente nelle strade della sua città.

*Alessandro De Angeli