Sessismo & decoro: Nardella pessimo sindaco di Firenze

Con la mente ancora occupata dalla tragedia delle violenze sessuali accadute a Rimini, contro una donna polacca e una transessuale, violenze accompagnate da una campagna politica e mediatica razzista, apprendiamo la notizia di due studentesse americane che a Firenze accusano di stupro due carabinieri italiani.

Tragicamente la vicinanza tra le due vicende si presta a essere un ottimo caso di studio sul funzionamento della macchina mediatica, sul razzismo e sessismo di politici, giornalisti e cittadini, sul livello sempre più becero del dibattito pubblico, nei media tradizionali come nei social.

I violentatori di Rimini diventano immediatamente TUTTI GLI IMMIGRATI, da espellere senza distinzioni.

I due carabinieri accusati di stupro sono al massimo “DUE MELE MARCE”, che non possono infangare il buon nome dell’Arma.

Fin da subito, da come le notizie si rincorrevano, era evidente che nel caso di Firenze non si trattasse di una “bufala” e il passaporto statunitense delle donne impediva di insabbiare l’accaduto (dubitiamo che la notizia avrebbe avuto altrettanto risalto se le vittime fossero state nigeriane, o cinesi, e non iscritte a una prestigiosa università statunitense). La violenza degli uomini contro le donne è una realtà che avvicina Paesi anche molto diversi tra loro, accomunati dall’ordine patriarcale su cui ancora si reggono. Le lotte delle donne hanno cambiato rapporti di potere, aperto spazio di libertà e trasformato l’immaginario maschile e femminile; evidentemente non abbastanza se lo stupro sopravvive, prodotto di una cultura e di un ordinamento sociale che riducono ancora la donna al proprio corpo. In questo quadro, nello specifico di Firenze, la divisa indossata dai due indagati è sicuramente un’aggravante.

Tra le varie dichiarazioni che hanno fatto seguito, inaccettabili risuonano le affermazioni a caldo del sindaco Nardella: “è importante che gli studenti americani imparino (…) che Firenze non è la città dello sballo….”. Nemmeno troppo tra le righe il sindaco sembra più interessato al buon nome della città che alla violenza subita dalle due ragazze. Insomma, siano più morigerate queste studentesse oggetto della violenza e del fango che sta scivolando sul buon nome dell’Arma e della città.

Ma quale città sta costruendo il sindaco Nardella con le sue scelte? Una città che innaffia i gradini delle chiese per impedire che turisti possano mangiare un panino fai da te, che scatena la caccia ai venditori di poster e borse e cinture, come se fossero loro i responsabili dell’impoverimento generale, economico e culturale. Perché al sindaco probabilmente piacciono più i turisti che fanno shopping in via della Vigna Nuova rispetto a quelli che si chinano sulla merce esposta in piazza del Duomo.

Una città commerciabile e vendibile, colonizzata dalle corporations, che si trova al centro di un processo estrattivo globale nel quale gli “investitori” pretendono campo libero per le loro imprese, e di recinti dove i consumatori del lusso possano sentirsi al sicuro.

Una città amministrata in nome della sicurezza proprietaria e del decoro, che ha dimenticato le periferie e le marginalità sociali, trattate e gestite con metodi securitari e, perché no, facendo uso del Daspo urbano che, a detta dello stesso Nardella, finalmente fornisce armi più efficaci delle “pistole ad acqua” finora in mano ai sindaci.

Evidentemente, in nome del decoro (e del Mercato), il brand Firenze non deve essere appannato dall’emergere di episodi violenti. Che pure si manifestano anche nella famosa “Città del fiore” e che vanno riconosciuti, ammessi e combattuti dalle istituzioni, e non sminuiti. Tanto più se ne vedono protagonisti uomini in divisa.

A poco serve che il Comune di Firenze dopo prese di posizione del console Usa e critiche feroci da parte di singoli, associazioni e forze politiche, si sia infine costituito parte civile. Troppo tardi perché la decisione non appaia come un maldestro tentativo di rimediare a uscite infelici e rivelatrici di uno stile di governo. Pessimo.

perUnaltracittà – laboratorio politico