Spazi, partecipazione e conflitto nella città neoliberale: trasformazioni in corso a Bologna

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Negli ultimi anni i contesti urbani sono stati un laboratorio di sperimentazione economica e politica di innegabile interesse. La città contemporanea, infatti, si manifesta e si produce continuamente attraverso una tensione tra i condizionamenti esercitati dai processi socio-economici e l’azione creativa e interpretativa di individui e gruppi che interagiscono e (spesso) si oppongono a queste dinamiche costruendo forme alternative di appartenenza, partecipazione e consumo. In un’epoca in cui i processi di urbanizzazione (3) rivestono un’importanza fondamentale, la gestione e organizzazione degli spazi diventa centrale.

La città neoliberale

Innanzi tutto, le città sono state il punto di caduta finale delle politiche di ridefinizione del welfare e di riduzione degli investimenti pubblici che negli anni della crisi hanno subito una radicale espansione; anche la funzione delle amministrazioni locali è stata ridotta, in molti casi, alla gestione degli effetti delle misure di austerità. Allo stesso tempo, le città sono diventate sempre più oggetto di interessi economici: dalle grandi opere urbane all’espansione del turismo, dagli investimenti immobiliari allo sviluppo del platform capitalism.

In tutte queste dinamiche gli spazi rivestono un ruolo fondamentale. Il consumo di suolo, inquadrando la questione all’interno della temporalità lunga del capitalismo, si è spostato sempre più dalla campagna alla città, favorendo meccanismi di rendita immobiliare e finanziaria. Già a partire dall’inizio degli anni ’80 si riduce l’intervento statale (4) nella forma della  pianificazione urbana come mediazione fra diversi interessi mentre lo sviluppo della città è affidato sempre più alla negoziazione tra istituzioni e grandi gruppi.

Oggi questa dinamica assume spesso il nome di “riqualificazione” o “rigenerazione”. Questi processi – che si prefiggono di recuperare luoghi abbandonati, inutilizzati o “degradati” – si accompagnano a fenomeni di gentrificazione (5): la “nobilitazione” degli spazi impatta sui quartieri e sui territori in maniera complessiva e porta a cambiamenti quali l’espulsione di alcune fasce di popolazione da determinate zone, l’aumento degli affitti, l’applicazione di ordinanze restrittive, etc…

Queste politiche di rigenerazione, inoltre, sono legate all’elaborazione di leggi e piani urbanistici. In tal senso, Bologna ha subito profonde trasformazioni infrastrutturali negli ultimi anni. Il caso di studio paradigmatico è sicuramente la Bolognina ma pensiamo anche al recupero delle caserme abbandonate (all’interno del quale si inserisce la vicenda del Làbas Occupato (6)). Oppure teniamo a mente grandi opere quali FICO Eataly World, il Passante o il People Mover, oggetto di opposizione da parte di comitati locali (7). La recente proposta di legge urbanistica regionale varata dalla giunta dell’Emilia- Romagna è stata fortemente contrastata a causa dei contenuti neoliberisti che si riverserebbero nella pratica urbanistica, tutti in favore dei privati e degli interessi particolari (8).

Al contempo le istituzioni cittadine combattono una guerra senza quartiere all’illegalità cosiddetta “di necessità” contrastando quelle pratiche – come ad esempio le occupazioni di spazi abbandonati – che sorgono da una serie di problemi irrisolti nel contesto urbano (diritto all’abitare, accoglienza, riduzione del welfare, mancanza di spazi di socialità). Esiste un legame tra queste politiche e la stagione degli sgomberi che si sta consumando da alcuni anni, specie a Bologna (9): per valorizzare gli spazi occorre espellere quei soggetti che non rientrano in dinamiche di valorizzazione (10).

Organizzarsi nella crisi

Queste politiche economiche, ovviamente, non possono non avere degli effetti più generali. Si registra una tensione fra politica e società che assume la forma di un doppio movimento di de- e ri- politicizzazione.

Il progetto neoliberista che punta a mercificare spazi e welfare (casa, socialità, servizi, educazione) porta a una restrizione della dimensione politica: si limitano i margini di azione collettiva a favore del mercato; si riducono le possibilità di confliggere e proporre alternative attorno a questioni basilari come la cittadinanza o la giustizia. Gli strumenti tramite i quali si operano queste forme di restrizione della sfera pubblica sono, da una parte, la logica emergenziale (11) e,  dall’altra,  i cosiddetti saperi tecnici.

In quest’ottica, i progetti partecipativi promossi dalle municipalità sembrano riconoscere parzialmente questo scollamento tra amministrazione e tessuto sociale e provano a ristabilire forme di legittimazione collettiva delle scelte politiche, ma assumono troppo spesso la forma di percorsi il cui esito è stabilito in partenza.

È però difficile limitare le trasformazioni urbane a processi unilineari; piuttosto, spesso sono oggetto di confronto fra visioni diverse e contrastanti. A fronte dell’acuirsi delle dinamiche di sfruttamento del territorio e degli effetti sociali ed ambientali che queste determinano a livello urbano, gruppi di cittadini e movimenti sociali provano ad esercitare un maggiore controllo sui processi decisionali che condizionano in maniera diretta le loro vite. Se da un lato le politiche urbane privilegiano gli interessi privati su quelli collettivi, le pratiche di auto-organizzazione rivendicano il diritto e la necessità di costruire spazi alternativi di convivenza (12). Si tratta perlopiù di esperienze che, facendo ricorso a pratiche di volontariato e mutualismo, istituiscono welfare di prossimità e comunità, reti di economia solidale, luoghi di  socializzazione.

Tali pratiche possono essere fatte risalire alla tradizione socialista e operaia di fine ‘800 e oggi assumono nuova vitalità. In comune tutte sembrano avere l’obiettivo di trovare nuove forme di organizzazione nella crisi e ricostruire solidarietà nei territori. Queste esperienze urbane forniscono modelli alternativi dentro e contro l’erosione del welfare pubblico e, tramite  il recupero di spazi, vengono a costituire un nuovo tessuto sociale all’interno della città.

Dall’analisi delle pratiche informali a quella degli usi temporanei degli spazi emerge una forma di socializzazione della politica: la partecipazione alla vita pubblica e democratica assume i tratti dell’impegno concreto e collettivo rispetto a bisogni specifici avvertiti all’interno del contesto urbano. Detto altrimenti, le nuove forme di attivismo e partecipazione – soprattutto a livello giovanile e metropolitano – non passano più per i canali tradizionali (come, ad esempio, i partiti) né si danno sulla base di scelte “ideologiche”, ma si esprimono prevalentemente attraverso pratiche di impegno sociale.

Il diritto di decidere

Resta però il problema del rapporto fra queste esperienze e le istituzioni. Gli strumenti a disposizione delle amministrazioni locali (nel caso di Bologna, i patti di collaborazione o il regolamento sui beni comuni) appaiono inadeguati rispetto al carattere aperto, fluido e partecipativo di tali pratiche.

Inoltre è difficile ridurre queste esperienze alla semplice fornitura di servizi, in quanto spesso pretendono di decidere sulle scelte politiche e urbanistiche della città. È in questa prospettiva che possono essere lette sia alcune tipologie attuali di conflitti urbani che esperienze come quelle neo- municipaliste (13)  le quali partono dalla contaminazione fra sociale e politico. La ristrutturazione del welfare e l’invenzione di nuovi processi democratici passano anche attraverso lo scontro con le politiche di governance e le dinamiche economiche di profitto.

Bologna negli ultimi anni ha vissuto in pieno queste contraddizioni. Da una parte, l’amministrazione ha investito in grandi opere e progetti di “rigenerazione”; dall’altra la città ha espresso un punto di vista autonomo sul suo futuro – anche tramite pratiche di liberazione di spazi e di vertenzialità metropolitana – che parla di accoglienza, socialità, mutualismo. Il grande corteo (14) #RiapriamoLàbas di sabato 9 settembre ha condensato in maniera fortemente tangibile questa potenza sociale autonoma.

Gli spazi urbani – concepiti non come semplici superfici fisiche ma come luoghi di relazioni sociali (15) – diventano dunque il punto di partenza per reinventare la politica come spazio pubblico: la ri- politicizzazione del sociale va intesa come allargamento dello spazio della decisionalità politica e inclusione di soggetti precedentemente esclusi o poco influenti.

NOTE

1   Il testo prova a restituire i numerosi spunti emersi durante il dibattito “Bologna oltre Bologna. Costruire la città dell’alternativa” tenutosi a Bologna il 27 settembre 2017 e a cui hanno partecipato Paola Bonora, Nicola De Luigi e Lorenzo Bosi. Ringrazio loro per disponibilità e Vito Giannini per il confronto sui temi trattati.

2 Dottore di ricerca in Politica, istituzioni e storia presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna e attivista del centro sociale TPO.

3   Da una parte nei termini di divenire globale delle città (cfr. Saskia Sassen, The Global City, 1991), dall’altra in quelli del farsi metropoli del globo (Neil Brenner, Implosions/Explosions: Towards a Study of Planetary Urbanization, 2014).

4   In una recente intervista, David Harvey ha dichiarato: «Quando lo Stato ha iniziato a ritirarsi dalla fornitura di servizi sociali, il progressivo declino del welfare state, si sono aperte una serie di questioni rispetto a chi e come si dovesse sviluppare la distribuzione dei servizi sociali. E uno dei modi coi quali lo Stato si è relazionato a tale problema è stato quello di ributtare tutte queste funzioni addosso ai governi delle città dicendo: “non è un mio problema, risolvetevela voi”. E chiaramente a quel punto non è che lo Stato ha inviato maggiori risorse alle città, nonostante queste stessero affrontando un numero crescente di problematiche come il social housing, l’aumento delle povertà ecc… Le municipalità vennero abbandonate, dovendo cominciare a trovare le risorse in maniera autonoma. È quello che ho definito come il passaggio da una forma manageriale del governo locale a una governance urbana di tipo imprenditoriale. A quel punto il tema dello sviluppo urbano è divenuto centrale, con un peso sempre più rilevante acquisito dai developer, di fatto gli unici soggetti a garantire un gettito fiscale per il bilancio delle città per poter affrontare i problemi sociali. Purtroppo ciò ha prodotto uno spostamento netto delle risorse, che sono andate sempre meno a coprire i costi necessari per il sociale e sempre più a sussidiare le corporation, proprio mentre i fondi statali diminuivano. E nessuno si oppose a ciò. Qualcuno disse che si poteva costruire una città in cui i bisogni sociali sarebbero stati affrontati col gettito proveniente dallo sviluppo urbano» (Niccolò Cuppini, L’effetto contagio dei movimenti urbani globali. Intervista a David Harvey, 2017).
Cfr. anche David Harvey, From Managerialism to Entrepreneurialism: The Transformation in Urban Governance in Late Capitalism, 1989).

5   Cfr. Giovanni Semi, Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, 2015.

6   Cfr. https://labasoccupato.com/2014/08/18/occupare-ed-auto-organizzarsi-per-una-nuova-democrazia-urbana/ e http://www.glistatigenerali.com/cdp_turismo/cdp-il-capitalismo-di-stato-fa-acqua-su-immobili-e-turismo/

7     Rispettivamente   La   foglia   di   fico    (https://fogliadifico.noblogs.org/),   Passante   di   Mezzo    –   No         grazie!
(http://www.passantedimezzonograzie.it/index.php) e No People Mover (https://nopeoplemover.wordpress.com/)

8  Cfr. Ilaria Agostini (a cura di), Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna, 2017, il pdf del libretto è scaricabile a questo indirizzo: http://www.officinadeisaperi.it/eventi/cerano-una-volta-i-comuni-rossi-dellemilia/

9  Ad esempio, sul rapporto fra trasformazioni urbane in Bolognina e minacce di sgombero al centro sociale XM24 si veda http://www.eddyburg.it/2017/04/a-bologna-la-rigenerazione-si-fa-congli.html

10  Cfr. Saskia Sassen, Expulsions, 2014.

11  I processi di securitarizzazione che perimetrano e neutralizzano lo spazio pubblico – ad esempio, tramite i decreti di sicurezza urbana – sembrano rientrare in questo tipo di logica basata sull’urgenza e lo stato d’eccezione della misura applicata, oltre che sulla presunta pericolosità dei soggetti da disciplinare.

12  Cattaneo e Engel-Di Mauro, Urban squats as eco-social resistance to and resilience in the face of capitalist relations. Case studies from Barcelona and Rome, 2015.

13  Bertie  Russell e Oscar Reyes,  Fearless Cities: the new  urban movements, 2017:
http://www.redpepper.org.uk/fearless-cities-the-new-urban-movements/

14 https://www.facebook.com/events/1396308287155571/

15 Henri Lefebvre, La producion de l’espace, 1974.

*Maurilio Pirone

Il testo prova a restituire i numerosi spunti emersi durante il dibattito ‘Bologna oltre Bologna. Costruire la città dell’alternativa’ tenutosi a Bologna il 27 settembre 2017 
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Maurilio Pirone

Dottore di ricerca in Politica, istituzioni e storia presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna e attivista del centro sociale TPO.

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