Ape volontaria, Ape social. La storia di Lorella e di un diritto negato

“Buongiorno,
la sua domanda di verifica per il diritto alla pensione come precoce è stata esaminata, ma non ne ha diritto in quanto per l’ultimo rapporto di lavoro non ha lettera di licenziamento perché si trattava di contratto di lavoro a tempo determinato.
Seguirà lettera.”

Ah, “cordiali saluti”.

Lorella. Legge e rilegge quelle quattro righe, che rimbombano ovunque inondando la stanza. Il cuore batte forte fortissimo poi si ferma. No, continua a battere in realtà, le sembra soltanto. Come le sembra anche di avere sempre qualcosa di traverso nel deglutire, da qualche anno a questa parte. Qualcosa alla gola, che non va né giù né su. Per le analisi non c’è nulla. Per il dottore è ansia. Per me, cara mamma, è il sistema.

Leggi l’introduzione di questa testimonianza a cura dei Clash City Workers Firenze

 

Ma andiamo con ordine. 2014. Valdarno, provincia di Firenze. Lorella, 56 anni. Sa che l’azienda, pardon, la cooperativa Legnaia per cui lavora non va benissimo, son calati i famosi profitti. Così l’azienda, pardon, la cooperativa vende ad un’altra azienda (Georin S.r.l) garantendo che tutto rimarrà come prima. E invece no: un bel giorno di fine primavera le arriva una lettera che le dice, a lei e ad altri 8 colleghi, “arrivederci e grazie”. Così, senza preavviso, senza spiegazioni. Da domani non venire più. Anzi no, facciamo dopo domani dai. Dopo 13 anni di contratto a tempo indeterminato. Tanto nessuno dice niente e i colleghi si rifiutano di fare il giorno di sciopero in solidarietà richiesto dai sindacati.

Eppure è un licenziamento collettivo evidentemente illegale perché non rispetta nessun punto della procedura prevista dalla legge, ma che la legge Fornero (legge 28 giugno 2012, n. 92 ) rende possibile, stabilendo eventualmente un risarcimento economico tra le 12 e 24 mensilità per mancato rispetto della procedura sindacale e addirittura il reintegro nel posto di lavoro per violazione dei criteri di scelta (art. 1, comma 46, Legge Fornero) Lei è a 3 anni dalla pensione ed ha la 104 per la madre anziana non autosufficiente. La mossa più semplice sarebbe quella di reintegrarla e metterla in aspettativa per due anni, in modo da accompagnarla comunque alla pensione. Ma la ditta si rifiuta. Lei, insieme ad altri due ex colleghi (gli altri lascian perdere) si ostina, si incasina, pressa l’avvocato, va fino a Pisa dove ha sede legale la ditta e dove avviene il processo e infine ottiene 8 rate da 750 euro. Seimila euro. È una cifra simbolica, l’avvocato dice di accettare, è il massimo che si può ottenere secondo lei.

E poi? Silenzi, diceva Renato Zero, e lei lo sa bene perché è una sua grande fan. Porta CV ovunque, ma niente. Una volta sembra che, forse alla mensa di una scuola a servire pasti ai ragazzi… Ma poi le dicono di no perché cercano gente in mobilità, per via degli sgravi fiscali previsti dalla Legge. Trova qualche lavoraccio sotto pagato a nero, ma poi al Sindacato le dicono di lasciar perdere perché ha bisogno di contributi per ottenere la pensione che le spetta. Lei tentenna perché quei quattro spicci le fanno comunque comodo, ma quando la chiamano la sera per dirle di andare a lavoro la mattina seguente di 1° maggio, manda tutti al diavolo. Solo un anno e mezzo dopo la prendono per una sostituzione ad una donna in congedo matrimoniale, in una fabbrica di pelle. È stato il suo primo lavoro, a 14 anni. Ma ne son passati tanti da allora e accetta per disperazione, ma con scarsa fiducia di potersela cavare.

E invece è brava. Riprende subito il ritmo, la manualità. Il primo giorno però sviene. Il padrone sorride dicendo che è normale : lì tutti svengono il primo giorno, poi ti abitui. È un capannone nella zona industriale, senza finestra e con i condizionatori rotti. È agosto. Agosto 2015. Le fanno fare tutto un mese, con tanti complimenti e l’invito alla cena aziendale esteso pure a lei,che è appena entrata. La donna in viaggio di nozze pare voglia fare un figlio subito. “Vedrai ti richiamano presto” le dicono le colleghe. Finito il mese, non la richiamano più. Saprà poi che hanno preso una molto più giovane di lei.

Lorella. Che a 14 anni entra in fabbrica, qualche anno dopo nel consiglio di fabbrica. Lorella che da bambina va ad aiutare il babbo dal cuore debole in vetreria, che da ragazzina si iscrive al PCI. Lorella che quella volta spaccasti la testa a quel ragazzo, ma l’avevi avvisato che se continuava ad importunarti con la cerbottana l’avresti fatto eh. Lorella che si sposa per far contenti genitori e suoceri, ma in comune, con sandali di sughero e una gonna gialla con palme di pallettes. Lorella che mi scendevi davanti ai bar e mi dicevi “se vuoi la merenda compratela” per costringermi a vincere la mia enorme timidezza. Lorella che a Roma, quella volta, quando mi macchiai i pantaloni e mi prese lo sconforto, mi rassicurasti anche se eri la prima a non essere sicura (ero ad una manifestazione nazionale e dormivo alla Sapienza occupata). Lorella che non stava mai a casa, ma si prendeva la macchina e si andava. Lorella ora casalinga, che pulisce, cucina, stira e sta ai comodi di tutti, tanto “non hai nulla da fare, non lavori”. Lorella licenziata da un contratto a tempo indeterminato a 56 anni, nei 3 anni e mezzo successivi un solo contratto a termine della durata di un mese per sopravvivere e trovare in qualche modo i soldi per pagarsi i contributi e andare almeno in pensione, visto che siamo “carne da macello” dice lei e che “tutta la mia esperienza non conta nulla”. Lorella ora è stanca, si sente umiliata, desolata, sconfitta.

Oggi sono passati 3 anni e mezzo dal licenziamento collettivo illegale. Lorella è alla soglia dei 60 anni, non ha reddito da anni e riceve una lettera dall’Inps che l’avvisa di non aver accettato la sua richiesta di pensione per lavoratori precoci- che al Sindacato erano sicuri al 100% che l’accogliessero- perché ha tutti i requisiti tranne uno: non è stata licenziata ma le è semplicemente scaduto il contratto a termine di un mese. Al Sindacato le hanno detto di lasciar perdere ché non c’è più niente da fare: è andata così. Alla Camera popolare del lavoro di Firenze le hanno detto “lottiamo”, con un sorriso incoraggiante e gli occhi puri di chi non si tira indietro mai. La speranza di vincere, certo, è flebile, ma il non sentirsi più così sola e così arresa la restituisce un poco a se stessa. E alla sua fiera dignità di lavoratrice e di donna.

Lorella, cara mamma, quel fastidio alla gola che non ti va né giù né sù, vorrei tu riuscissi a sputarlo fuori tutto d’un fiato sulla spinta della rabbia che ti porti dentro, in faccia a chi questo sistema incarna e sostiene.

Maledetti.

Vanessa T., figlia di Lorella