Pop Power

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L’ottima iniziativa Potere al Popolo che si propone di unificare lotte salariali, esperienze di accoglienza e comitati per la difesa del territorio in un’unica risposta delle classi subalterne, come d’altronde unico è l’attacco delle classi dominanti, suscita in me molta simpatia: mentre scrivo sto smaltendo un virus che inganna il mio sistema immunitario facendo finta di non essere più qui, o di non esserci mai stato, esattamente come la classe dominante che nega la realtà della lotta di classe o la definisce superata nel momento stesso in cui combatte e vince quasi senza incontrare resistenze.

Ma insieme a qualche scampolo di febbre si affacciano due perplessità. La prima: Potere al Popolo non spiega come intende prendere il potere. Meglio certo essere un po’ spensierati e sperimentare subito il cambiamento che si cerca di attuare, invece di ostentare tutto l’anno il pallore dei cospiratori di professione che per abbronzarsi aspettano il sol dell’avvenire.

I ragazzi di Potere al Popolo danno l’impressione di essere pieni di vita (Pasolini avrebbe detto “di grazia”). Questa vitalità che si sprigiona e che si sente li distingue in positivo rispetto a tutti i Carusi che li hanno preceduti, anche i Migliori. Però se quella fatidica domenica mattina vogliono che ci alziamo e che li andiamo a votare, ci forniscano almeno una road-map e non solo l’indirizzo della scuola che ospita il seggio.

La seconda perplessità è questa: il soggetto che dovrebbe prendere questo potere, il popolo, sinora non sembra aver fatto domanda. Non c’è bisogno di Lenin per capire che non esiste uno sportello a cui si lascia la richiesta di affrancamento dalle logiche capitalistiche, ci arrivo da solo.

Ho visto anche Taxi Driver e so che “Noi, il popolo” è diverso da “Noi il popolo”, che poi sarebbe il popolo delle tredici colonie americane, mentre il popolo a cui pensa Potere al Popolo è “tutti i popoli”, o una fascia di popolazione trasversale a ciascun popolo.

Però chi vuole essere libero in qualche maniera lo dimostra, o come direbbero gli psichiatri che vanno in tv, se ci si pone in ascolto la domanda emerge. Come si fa a capire se emerge? E se qualcosa dovesse venir fuori, come si fa a distinguere l’ansia di liberazione dalla sete di potere?
Come si fa a immaginare la politica scrutando nel preolitico?

Noi che non abbiamo più maestri e non ne vogliamo altri, come facciamo a trovare l’alba dentro l’imbrunire? Scartabellando tra i ricordi salta sempre fuori qualche esempio di comportamento prepolitico che autorizza a pensare che una risposta politica a una domanda di liberazione troverà positivo accoglimento nella società e nelle urne, eccone qualcuno tratto dal mio campo di indagine empirica, i trasporti.

Ho scelto questo settore perché l’uomo trasportato o in attesa di trasporto è disponibile in milioni di esemplari ogni giorno con il sole o con la pioggia. E’ una materia di studio che ha antecedenti illustri (potrei citare Verne, Kipling e i grandi russi) e si presta bene ad un approccio interdisciplinare come quello di questa rubrica.

Dunque, osserviamo questo essere umano, potresti essere tu.

Mettiamo che la tua strada sia cinta da una doppia cerchia di lavori, ma ti rimane una passerella traballante per raggiungere una deprimente stazioncina periferica, che fai? Se vuoi restare schiavo, ti lamenti a mezza voce quando passa il treno merci così non ti sente nessuno, anche se si vede che ti stai lamentando da come tiri fuori gi occhi dalle orbite e dalla faccia a masticatore di fiele.

Se vuoi essere libero, prendi il primo treno, scendi a una stazione appena più grande e ti muovi in vagone per tutta la città, paghi quanto pagheresti in autobus e mentre il traffico è congestionato dalle grandi opere tu sfrecci che è una bellezza.

Se vuoi essere libero e in stazione centrale ti dicono che la biglietteria è solo per le frecce, tu insisti, rispondi alle frecce con strali e stoccate (verbali) finché non ti fanno il biglietto per Montelupo Capraia, te lo faranno. Credimi, per qualche oscura ragione o per qualche antico torto subito, te lo faranno.

Se senti un commento razzista su un passeggero, e ti aggiusti le cuffie per isolarti meglio, sei schiavo, lasciatelo dire. Se gridi la tua rabbia al mondo senza nemmeno capire da chi viene il commento, sei un plebeo tirato su a pane e circo. Se rispondi con la fermezza di Rosa Park, di Baldwin o di qualche altra persona gialla o marrone discriminata perché “nera”, sai che essere libero è tuo diritto e ne hai la facoltà.

Significa che sei già libero?

Ci vuole ben altro per diventare liberi e uguali, ma si capirà che vuoi esserlo davvero e all’Ufficio Rivoluzioni prenderanno in considerazione la tua richiesta

*Massimo De Micco

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Massimo De Micco

Massimo de Micco, 1972, fiorentino, essendo cresciuto negli anni Ottanta e Novanta si ritrova una formazione psicologica, una partita iva e una ricca e variegata esperienza professionale nel campo della formazione, ma è anche illustratore,fumettista e cartoonist. Ha partecipato a iniziative culturali, sociali e politiche di varia natura, a condizione che fossero libere, solidali e auto-organizzate, dagli Studenti di Sinistra a Kykeion, da Violetta van Gogh a Black Notes, da Fuoribinario a Radio Cora. E' tra i fondatori del gruppo Palazzuolo Strada Aperta che ha dato vita in questi anni alla Book Bike e si appresta ad aprire a Firenze la Biblioteca Riccardo Torregiani.

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