Nato colpevole, l’ultimo libro di Carmelo Musumeci

“Nato colpevole” è l’ultimo libro di Carmelo Musumeci. In copertina c’è una foto segnaletica, la prima di una serie. Lo scatto risale al suo primo arresto, quando era ancora minorenne. Oggi è un ergastolano in regime di semilibertà a Perugia. Condannato nel 1991 per omicidio, associazione mafiosa, delitti contro il patrimonio e spaccio di cocaina, si è fatto anche cinque anni di 41bis, il regime che per la sua durezza ha messo l’Italia nel mirino del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura e della Corte europea dei diritti umani.

Carmelo è entrato in carcere con la quinta elementare. In cella, da autodidatta, si è laureato in Scienze Giuridiche, Giurisprudenza e Filosofia. Ha un blog personale e i suoi testi, appassionati e coraggiosi, soprattutto contro l’ergastolo ostativo, li trovate sui più disparati siti. Un altro libro che raccoglie i suoi diari, sulla società in generale e su quella carceraria in particolare, è in uscita per i tipi di Edizioni Piagge.

In “Nato colpevole” scrive poco di carcere, ma è un formidabile contributo per capire come ci si entra, come si arriva ad essere privati della libertà. Carmelo era alla testa della lotta tra i clan che ha infiammato la Versilia tra gli anni Ottanta e Novanta per il controllo del gioco d’azzardo e dello spaccio. Nel libro il Carmelo adulto, quello di oggi, guarda e racconta il Carmelo di ieri e ne scrive, senza vergogna, senza vanto, senza compiacimento, con garbo. Descrive l’amore, descrive il dolore, descrive le scelte fatte, il male subito, quello imposto. Con onestà.

A tratti la lettura di “Nato colpevole” può essere fastidiosa. Non c’è filtro: se è “facile” leggere di un bambino maltrattato, meno facile è entrare nella storia di quel bambino che, una volta ragazzo, arriva prende a pugni una donna o a uccidere un uomo. O, ancora, dell’adolescente che a quindici anni è stato legato a un letto di contenzione per una settimana. Come mi ha detto Carmelo «sono sì nato colpevole, poi io ci ho messo del mio a diventarlo». Ma, anche, ci ha messo del suo a uscire, a far uscire la sua voce, a esistere.

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