Ancora il MoSE, e l’alternativa

A Venezia, il 29 ottobre con i 156 cm. sopra il livello medio del mare, l’acqua alta segna il quarto valore assoluto dopo i 194 cm. della cosiddetta aqua granda del 4 novembre 1966 che aveva sconvolto la città, la Laguna e il suo hinterland terrafermiero in contemporanea con il grande alluvione di Firenze.

Allora un disastro ambientale (e sociale) localizzato, che quasi non aveva precedenti nella modernità postbellica, imputabile a eccezionalità metereologiche ma soprattutto alle incurie e già pesanti modificazioni dei territori. Oggi, da noi a Venezia e nel nord dal Veneto alla Lombardia ma anche nell’intero Paese, la più significativa riprova dei cambiamenti climatici aggravati dai dissennati consumi e modifiche fisiche dei suoli.

Nel mezzo secolo trascorso tra questi eventi naturali indotti da mutamenti antropici, la ricaduta locale della nuova congiuntura planetaria, mascherata dal chiacchiericcio strumentale che inquina le analisi più serie, stenta a produrre concretamente l’inversione delle politiche d’intervento necessarie ad ampie salvaguardie.

Ripercorrere sommariamente la torbida storia del MoSE, che va ben oltre alla ormai provata corruttela di 1.000 milioni, sollecitati oggi dalla riattualizzazione che strumentalmente tenta di utilizzare il nuovo shock territoriale causato dalle acque per un rilancio dell’intera opera, si ricavano utili indicazione per decidere quale percorso imboccare con un’opera in gran parte realizzata in spregio di ogni regola – non è mai stato approvato neppure un progetto esecutivo generale dell’intera opera – senza alcuna verifica sulla sua fattibilità e efficacia.

All’alluvione del ’66 segue nell’intero Paese, ma anche a livello mondiale, un lungo e difficile dibattitto sul da farsi per Venezia. Gli avvenimenti hanno reso evidente il pericolo reale di perdere la città ma non sono stati sufficienti a far comprendere appieno la sua fragilità e il suo legame strutturale con la Laguna che ne determina l’effettiva unicità. Solo dalla la storia di questo legame possono scaturire le indicazioni necessarie e le specifiche modalità d’intervento per una efficace salvaguardia. Per secoli un ambiente di tera e aqua instabile e profondamente antropizzato, è stato salvaguardato consentendogli di arrivare fino a noi, sottoponendo tutti le trasformazioni, necessarie alle comunità che lo abitavano, al vaglio di tre regole fondamentali: la sperimentazione, la gradualità, la reversibilità. Regole antiche la cui validità è rappresentata proprio dall’esistenza ancor oggi di una laguna che per sua natura è effimera.

Recuperando questi principi e con l’approfondimento di molti saperi, si sono costruite socialmente delle proposte sostenute da una mobilitazione molto estesa e combattiva ma che non ha avuto la forza di imporre l’unica vera alternativa al MoSE: le opere che avrebbero potuto ridurre da subito tutte le maree fino a 28 cm. diminuendo lo scambio acqueo mare-laguna e l’officiosità delle bocche di porto. Opere che prevedevano il restringimento delle aperture delle tre bocche di porto (Lido, Alberoni, Chioggia) e il rialzo dei fondali delle stesse bocche. Un programma di interventi tutti rispettosi della Legge Speciale per Venezia, che nel frattempo era stata approvata e che aveva pure messi in norma i tre principi di responsabilità: sperimentazione, gradualità e reversibilità.

È passata invece la “grande opera” ingegneresca che avrebbe dovuto essere salvifica. È passato il MoSE: sistema artificiale di sbarramenti alle 3 bocche di porto costituiti da 78 enormi paratoie cave, giacenti orizzontalmente sui fondali marini e a essi incernierate, che si dovrebbero rialzarsi, riempite d’aria, a contrastare, quando serva, l’entrata eccessiva del mare in laguna. Opera che ha avuto una Valutazione d’Impatto Ambientale totalmente negativa e che, invece di essere modificata e riverificata, è stata approvata con un atto d’imperio solamente politico. Nel 1981 doveva costare 1.470 milioni di lire e, oggi, è già costata 5.500 milioni di euro. Iniziata nel 2003, doveva essere completata nel 2014 e, oggi, “si dice” che sarà terminata nel 2021. Il suo costo di esercizio e di manutenzione doveva essere di 10 milioni all’anno e invece sarà di 100-130. Per essere prescelta e consegnata a un concessionario unico, il Consorzio Venezia Nuova, per gli studi preliminari e definitivi, per la realizzazione delle opere e le verifiche finali (unificazione dei compiti in un unico soggetto contraria a ogni norme, anche europea) ha sottratto più 1.000 milioni per tangenti e malaffare. Sulla funzionalità non esiste ancora alcuna verifica e si lascerà comunque invariato l’allagamento della Piazza san Marco. Opera per la cui realizzazione l’Impresa di riferimento Coge-Mantovani (Consorzio Venezia Nuova) non potrà più partecipare pur con i lavori oggi sostanzialmente fermi.

Non ancora finita ha già avuto buchi nelle tubazioni e negli impianti, e il camminamento subacqueo è stato già allagato da una mareggiata. Ma ciò che più preoccupa e che, sulle paratoie mobili -cuore tecnologico dell’intero sistema-, Principia (una delle più serie società specializzate del mondo) che le ha esaminate per conto del Comune di Venezia, ha certificato, fornendone la documentazione scientifica, che, in alcune particolari condizioni di mare e di vento, non e possibile garantire la loro stabilità col rischio di collasso dell’intero sistema.

Con la recente acqua alta di fine ottobre, dopo un lungo periodo di silenzio perché sommerse dallo scandalo del malaffare e per un nuovo convincimento sociale sempre più scettico sulla qualità dell’opera e sulla sua necessità, voci interessate ad un nuovo possibile “affare”, riemergono per chiedere di completare l’opera come se tutta la sua inquietante storia non fosse mai esistita.
Ma, aldilà di queste spudorate richieste, assumendo la Laguna come bene comune è assolutamente legittima la domanda se valga la pena di completare un’opera che è già costata quasi 6.000 milioni di euro. La risposta non può peraltro prescindere dalla prefigurazione di un possibile scenario alternativo basato sull’attuale stato di fatto dei lavori, su tutte le conoscenze frutto degli approfondimenti scientifici maturati e di quanto i conflitti hanno posto all’attenzione.

I recenti fenomeni estremi riguardanti il clima, registrati anche dai nuovi approfondimenti del 4° rapporto IPCC (presentato a Parigi il 1° dicembre 2105), rappresentano uno scenario effettivamente nuovo che va preso in carico. Ne consegue che insistere sul MoSE (oltre che per le sue pericolosità non risolte) o altro sistema di sbarramento fisso comporterebbe un numero di chiusure annue talmente elevato che la Laguna non potrebbe assolutamente sopportare anche per la carenza di ricambi d’acqua col mare.

Cessando gli ulteriori finanziamenti al MoSE e stornandoli a queste opere alternative è possibile realizzare da subito per le acque medio-alte:
– il rialzo dei fondali, differenziato per ogni bocca di porto in ragione del loro diverso utilizzo, ottenendo anche la ricaduta virtuosa di lasciare fuori dalla Laguna le grandi navi con essa incompatibili
– la costruzione fissa di un restringimento di ogni bocca d’ingresso per ridurne l’officiosità
– il posizionamento rimovibile (solo nel periodo autunnale di maggior frequenza delle alte maree) di pontoni galleggianti affondabili contenenti paratoie “a gravita” che, funzionando con sollevamento ottenuto con la forza dal flusso entrante di mare (e non contro, come nel MoSE), non abbisognano di fondazioni e non presentano tutti i pericoli d’instabilità di quell’opera e che potranno chiudersi parzialmente per le maree medio-alte e totalmente per quelle maggiori garantendo così i necessari ricambi acquei mareali.

Tutte queste opere ridurranno anche la perdita in mare dei preziosi sedimenti dei fondali che stanno trasformando la laguna in braccio di mare interno, ma, risolvendo l’emergenza maree, consentiranno soprattutto di utilizzare i prossimi anni per approfondire le possibilità di modificare il rapporto tra il livello marino e il suolo mediante il sollevamento del suolo stesso (iniezioni fluidi in strati geologici profondi) con cui far fronte, in un contesto territoriale più allargato, alle maree estreme.

Questo scenario è di fatto una sostanziale variante al MoSE come è stato fino ad ora concepito. Ne rappresenta il vero costo da pagare per gli errori, le omissioni e le corruttele passate anche se sarà in parte compensato da un grande risparmio sui 100 milioni annui previsti per la manutenzione. (La vita del MoSE è stata prevista in 100 anni con un costo gestionale-manutentorio, complessivo nel periodo, di 10.000-13.000 milioni che potranno essere abbondantemente recuperati). Propone un percorso sicuro per la Laguna, per i suoi centri abitati e congruo ai prossimi mutamenti climatici evitando di proseguire con un progetto comunque fallimentare, pericoloso, costoso ma soprattutto inutile.

Per concludere, lasciando ad altri valutare se è solo macabra ironia, credo si possa valutare l’efficienza del MoSE per la protezione che offre alle acque alte anche solo ricordando che, se anche funzionasse perfettamente ma rimanesse chiuso per più giorni (evento probabile), l’acqua continuerebbe ad entrare tra le aperture presenti tra i portelloni (spazio intraferri) portando il livello interno della laguna in pari con quello esterno del mare oppure che, in certe congiunture di vento, il livello interno della laguna tra la parte a nord e quella a sud, a MoSE chiuso, può essere diverso anche di 30-40 cm per cui Venezia potrebbe rimanere asciutta e Chioggia andrebbe sotto acqua o viceversa. Ma in ogni caso avremo sostenuta una spesa maggiore ai 6.000 milioni di euro.

*Cristiano Gasparetto