Corpi mutanti

Dapprima una suggestione. Un gioco – che non è una polarità – tra istinto e istituzioni; tra animalità e umanità. In teoria l’uomo non ha ambiente, l’uomo ha mondo. Quando riceve da Atena e dagli altri dei un numero limitato di “buone qualità” da distribuire saggiamente fra tutti gli esseri viventi, Epimeteo, senza pensarci troppo, cominciò a distribuire le qualità agli animali ma si dimenticò degli uomini. L’uomo in origine è dunque senza qualità, senza tracce, senza istinti; ma questa mancanza si paventa come un’apertura. L’uomo ha la tecnica: Prometeo gli restituisce il fuoco che Zeus gli aveva sottratto. Tecnica e capacità di linguaggio. Appunto: l’uomo non ha il linguaggio, ma una potenzialità, che rimanda egualmente a una mancanza. Il termine dynamis indica una lacuna e infante significa letteralmente non parlante. L’uomo nasce incompiuto, Virno parla di neotenia.

Tanto più è lungo il processo di autonomizzazione, tanto più l’addomesticamento sarà intensivo e minuzioso. Nell’intento di svicolare dal corpo primo, quello animale, il corpo secondo teso verso il sociale, codici antichi vengono impiegati per scrivere e segnare ogni espressione del cucciolo dell’uomo, il comando, la fame, la paura e la morte ne costituiscono il messaggio essenziale (p. 22).

L’uomo non ha un suo ambiente: ha la capacità di adattarsi a più ambienti, con anche la possibilità di modificarlo, l’ambiente. L’uomo produce territorio perché non ha un territorio di appartenenza. E questa reminiscenza attraversa il sapere occidentale, tantoché, in ambito rinascimentale si torna a parlare di indeterminatezza. Una mancanza che apre a più possibilità.

Perciò accolse l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo, così gli parlò: non ti ho dato, Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai […]. Non ti ho fatto né celeste, né terreno, né mortale, né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto.

Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate

Muta. Le carenze umane rimandano allora a una eccedenza: La creazione di ambienti “artificiali” sempre più sofisticati, efficienti, vincenti. Tutto però a discapito dei corpi. Nessuno calcola le fragilità. La dimensione umana si trasforma continuamente; si determina all’interno di un processo storico che avviene nell’ambiente mondo, in contatto cioè con le altre specie. Con la domesticazione di parti di esse, animali e vegetali, sino alla coevoluzione con alcune di queste. Sicuramente il rapporto con il cane è un rapporto sui generis. Il cane domesticato e quello non domesticato, alleato o nemico, si può appunto presentare solitario o “in compagnia” nel branco o nella muta. Muta, parola ambigua che rimanda ai comportamenti sociali dei canidi, ma anche alle mutazioni, a quel mutante del titolo del saggio. Prima di designare una banda di cani che predano, il termine muta si riferiva ad un comportamento umano, designava infatti una sommossa, una sedizione, una rivolta. La muta è prima umana e sociale per poi divenire animale che caccia. E la nostra natura coincide ormai con la dotazione organica che ci diamo. «La dotazione organica, il potenziamento delle protesi modificano non tanto i singoli individui, quanto i gradi di performatività complessiva della muta, descrivendo una dimensione sociale che pur restando fortemente parcellizzata obbedisce però al comando dell’attacco, riorientando le funzioni della paura verso altre mute in attacco» (p. 25).

Il corpo mutante è il perno attraverso il quale si scatena il perturbante che agisce quando qualcosa di conosciuto mostra un aspetto diverso e inaspettato. Quando qualcosa disturba il riconoscimento. Il perturbante (Villani parla invece di inquietudine) è, per noi, una forma di apertura, un ingresso e una soglia tra assoggettamento e liberazione.

Questo il retroterra culturale sul quale si innesta il lavoro di Tiziana Villani. Un libro sulla muta, le mutazione e i corpi. Corpi indefiniti, in perenne muta, che formano aggregazioni, di nuovo mute, che si ricompongono e si scontrano. Ma non in astratto. Qui ed ora in un tempo storico nel quale il capitale mette a “profitto” tecnologie della governabilità, alla ricerca di interstizi e contraddizioni sul piano dell’assoggettamento. Con un soggetto in divenire (mutante) che mette in campo nuove immagini di sé cariche anche di istanze liberatorie. Villani parla di fantasia e immaginazione, che rientrano comunque nelle “libertà” che il soggetto indeterminato può usare. «L’addomesticamento, le ibridazioni, la sottomissione, la rivoluzione, la mutazione, il deperimento coesistono nel multiforme divenire, l’esercizio di individuazione consiste nel non accettare il predefinito, il già narrato, ma nella capacità di far irrompere nuove narrazioni, frutto sempre di molteplicità che si concatenano» (p. 13).

Se il corpo è mutante, la messa al lavoro non riguarda uno dei corpi (prima e dopo la muta): è il vivente che viene messo al lavoro. E la “misura” del vivente, ciò che interessa, non è spaziale, non è la forma, ma è il tempo, quel tempo attraverso il quale (Villani cita Musto) Marx, nei Grundrrisse, determina il valore come forma della ricchezza: «il valore è costituito dal consumo di lavoro umano nel processo di produzione, misurato su scala temporale» (p. 17). E qui il capitale mostra di aver compiuto il proprio capolavoro: la messa al lavoro dell’intera esistenza, riuscendo invece a remunerare (estraendoci comunque anche un profitto da plus lavoro) soltanto il tempo lavorativo. In questo contesto anche l’individuazione avviene senza riuscire ad avere dei punti di riferimento con l’impossibilità di costruire istituzioni adatte ad una situazione di per sé caotica, portando quindi a una polverizzazione delle soggettività. «L’ambiente ampio delle relazioni, degli affetti, delle invenzioni, dei sogni, degli umori, delle intimità viene trasformato in una voragine tritacarne che restituisce in forma pornografica, ammantata di giustificazionismo, il latrare delle mute sorvegliate» (p. 53).

Su questo soggetto opera il dispositivo della paura che costringe ad una forma di accortezza che richiama il sospetto e i timori delle reazioni proprie o degli altri, reazioni incontrollate, volte soltanto a produrre un adeguamento. Si instaura il regime del terrore che usa la paura. Una paura non di questo o di quello, piuttosto una paura generalizzata «Paura della mega macchina burocratica e della sua tirannica “ragionevolezza”» (pp. 19-20) che si accontenta di carnefici usuali, piccoli amministratori della “banalità del male”. Una violenza meno apparente che si veicola nella comunicazione, che crea esclusione, segregazione, umiliazione. È qui che salta quel meccanismo di individuazione che guardando l’altro, verificando le differenze, ti individua in una moltitudine senza identità. Adesso è proprio la «consuetudine rassicurante dell’adesione all’identico» come risposta alla paura che invece viene così riprodotta e rigenerata. L’identico ha paura delle differenza. Riprendendo Spinoza, i corpi si distinguono dal loro agire, lentezza, velocità riposo, niente a che vedere con la sostanza. Ma la moltitudine testimoniata dalla complessità spesso non riesce a raggiungere una sintesi perché le mute sono asservite in forme le più variegate, caratterizzate dalla disgregazione e atomizzazione del sociale. Vengono allora, di nuovo prodotte, società risentite, impaurite. Eppure è proprio in questo particolare momento che le mute possono ricominciare a latrare ed è qui che occorre inserire la possibilità rara che è però la più urgente, quella di fare branco, perché il branco non si limita a latrare, ma è pronto alla lotta.

Nostalgia di un antico paradiso terrestre, è questo un dispositivo narrativo del nuovo inganno. L’Eden è perduto non resta che cercare «almeno un riparo, almeno il quieto vivere, il far parte di un apparato, concorrere per il nutrimento, per un poco di salute, per una dilazione, per una appartenenza che se anche frammentata riesce a sconfiggere i terrori dell’abbandono, della perdita di senso, della nientificazione degli affetti» (p. 62).

L’uomo, in origine, è dunque senza qualità, senza tracce, senza istinti. Ma questo è l’infante, l’uomo adulto evolve attraverso una disponibilità ad apprendere che diviene una disponibilità a correggersi. Ad abbandonare l’animale che dunque siamo attraverso un continuo esercizio. È un processo di adeguamento al quale si è sottoposti da parte delle macchine burocratiche di addomesticamento che operano in direzione di una accondiscendenza, di un assoggettamento, di un rallentamento del moto dei corpi, anche di una stanzializzazione. «La stanzializzazione è necessariamente coercitiva e la città normativa» (p. 76). Una via di fuga consiste nel mantenersi nomadi. Questo non vuole dire non fermarsi, «i nomadi non sono coloro che si spostano come i migranti, al contrario sono coloro che non si spostano, e che praticano il nomadismo per restare allo stesso posto e sfuggire ai codici» (Villani cita Deleuze – p. 77). Il nomade si scontra con i codici, contro quei codici che sottraggono territori materiali ed esistenziali; si scontrano «con la tirannia della perimetrazione degli spazi e delle vite» (ivi). Enclosures territoriali e cognitive. È attraverso le enclosures territoriali che il capitale ha potuto esercitare l’accumulo originario ed è attraverso la cattura del sapere (enclosures cognitive) che il capitale può convertirlo in “capitale umano”. Nomade è una delle accezioni che derivano dal termine greco nomos. Termine con un’etimologia e un’evoluzione complessa. Una componente rimanda ad una territorializzazione, l’altra alle consuetudini prima, e alla legge poi, e si intreccia con altri termini. Per Varrone, il termine territorio indicava delle terre di uso comune, successivamente il termine territoria rimandava invece a luoghi interni all’impero ma occupati da barbari. Ma il punto in cui il nomos diviene il paradigma della governamentalità, quando cioè il campo semantico vira verso l’ambito del diritto, si svela una delle accezioni etimologiche del termine che rimanda al concetto di “pascolo”. Il governo pastorale non regna su un territorio, ma su una molteplicità di individui (citazione da Foucault) o, meglio ancora, sui loro legami, sia quelli tra di loro, sia tra questi e le cose, territori compresi. La connessione tra territorio e diritto è stato un accidente sul quale ha giocato ampiamente il pensiero di Carl Schmitt. Il rapporto tra comunità e proprietà, tra comunità e individualizzazione di ciò che si vuole essere il proprio, l’identità, è il frutto di una distorsione di destra. Schmitt, nel tentativo di territorializzazione della legge, scopre una forma di appropriazione della terra facendo, secondo noi, una forzatura di interpretazione linguistica del termine greco “nomos”. Ma, come è facilmente dimostrabile, nomos rimanda ad una serie di lemmi che hanno a che fare con un uso della terra non proprietario; c’è un rimando alla pastorizia, a comportamenti anche nomadi, all’uso comune delle terre non recintate. Più che appropriazione (Schmitt) il senso che se ne deduce è quello di diritto d’uso, d’uso comune. Nella terra disappropriata, resa al comune, corpi nomadi si configurano sulle abitudini. Su questa terra non sono incisi i confini, le tracce sono degli attraversamenti, delle soste che disegnano i tratti consuetudinari sui quali si modellano i corpi. Ma le incisioni non sono profonde, si cancellano ad ogni passaggio; i corpi allora si rimodellano pronti a lasciare nuove tracce che cancellano e ingarbugliano il disegno. Vie di fuga, resistenza agli attrattori. Il capitale è debito infinito. Il debito è un attrattore potentissimo che provoca il proliferare di macchine asservite. Macchine come espansione dei corpi, corpi addomesticati, messi al lavoro.

Angoscia. Anche Villani mette in uso alcuni concetti di Simondon. Il campo sociale si produce come istanza tecnica, propone ruoli e figure cui destinare lo sforzo di vita. Forgia le individualità in un processo in divenire che non esaurisce le potenzialità originarie. Le facoltà in potenza, l’inespresso, questa sospensione o incapacità di mettere in atto tutto il “pre-individuale” porta all’angoscia. Un sentimento e un’emozione che partono dalla sensazione di indefinitezza. Occorrono ambienti conosciuti, ripari. «Dispositivi, protesi, connessioni danno forma ad ambienti che sono ambienti di sospensione dagli affetti, dagli istinti, da un fuori percepito come minaccioso. […] Non più masse ma mute disaggregate, sempre pronte a competere per forme minime di esistenza» (pp. 86-87). Ricombinazioni e configurazioni rassicuranti per sconfiggere l’angoscia. Dispositivi di crisi, fede, colpa, credito e debito: «Il prezzo dell’angoscia viene così pagato con il sistema del debito infinito» (ivi).

Corpo di Donna. Occupa un lungo capitolo rispetto al quale segnalo due o tre esempi di come “il corpo mutante” usato come strumento di lettura mostra tutta la sua efficacia epistemologica. Ogni divenire va verso il molteplice. L’individuazione si nutre di differenze. Il divenire donna è fortemente governato attraverso un potente processo di domesticazione, perché il pre-individuale rimanda a una concezione radicalmente altra della vita. Per questo il divenire donna non è riducibile al solo divenire animale, quanto alla destrutturazione delle culture che hanno sacrificato il molteplice a processi identitari. L’addomesticamento ha prodotto i ruoli, le funzioni, la sessualità, la capacità generativa come qualità. Generare è stato subito connesso a “produrre eredi” e così propagare l’ordine costituito. Riprodurre è l’imperativo. La stanzialità e il conseguente regime proprietario, rispondono all’esigenza di tramandare il possesso dei beni, dove la donna, dice Villani, fa parte del bottino. I corpi mutanti, le altre configurazioni, i cyborg, i trans, l’animale, il queer, sono invece modi di reinventare il presente a partire proprio da quei margini nei quali erano confinate/i.

La metamorfosi e l’anima-carne. «L’anima-carne, la donna e l’animale, l’animale e il territorio, il territorio e le sue tecno metamorfosi eccedono ormi la polis e la filosofia che ne ha custodito le Leggi. […] l’individuazione dei corpi concerne passioni, storie, affetti e relazioni che producono scritture che appartengono a momenti, fasi, epoche che rimandano a dei contesti dai quali non si può prescindere (pp. 105-106).

Tiziana Villani, Corpi mutanti – Tecnologie della selezione umana e del vivente, Manifestolibri, Roma 2018, pp. 124, € 15.00.

*Gilberto Pierazzuoli