Firenze e il suo Novecento invisibile

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900In questo nuovo appuntamento con la rubrica Cultura sì, cultura no parliamo di musei che non ci sono e di patrimonio nascosto e negato, cominciando col dare atto nuovamente che il Museo Novecento ha il vantaggio di esserci e di aver reso di nuovo fruibili tante opere di cui la città era stata privata per lungo tempo. Ma ci sono altre situazioni dove non si è fatto neppure questo sforzo minimale e queste situazioni riguardano ancora proprio i tempi a noi più vicini.

Firenze ha un ventre inutilmente colmo di modernità: parlo della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, che, serve forse ricordare, a partire dal 1914 è retta da una Convenzione stipulata fra Stato e Comune e gestita, per gli atti di maggior valenza, da una Commissione mista.

La questione è saltata agli occhi dei fiorentini increduli con l’apertura al pubblico della Mostra “Luci sul Novecento”, attualmente in corso, che altro non è che un piccolo assaggio della consistenza di ciò che giace nei depositi in attesa di andare a completare il ciclo cronologico della Galleria d’Arte Moderna ad oggi sostanzialmente fermo alla fine dell’Ottocento. Peccato che giaccia da oltre un secolo e che non ci siano tempi e modalità certe per la sua definitiva uscita allo scoperto. Dell’alto livello qualitativo di questo materiale si può rendere conto chiunque visiti la mostra; e ne vale davvero la pena, perché sono esposte opere (alcune scelte fra le più belle della loro produzione) di artisti come Giorgio Morandi, Carlo Carrà, Gino Severini, Giorgio De Chirico, Primo Conti, Ardengo Soffici, Felice Casorati, accompagnati in felice armonia da una serie di stupende sculture, fra cui una di Medardo Rosso e alcune di Libero Andreotti.

Quello che si delinea sala dopo sala è il ritratto di una Firenze intelligente e colta, anche se spiccatamente borghese e conservatrice, quella che andava la domenica a pranzo da Sabatini, per intenderci. Manca, è chiaro, metà della foto, quella Firenze numericamente minore e poco visibile delle riviste e dei caffè, delle rare ma fondamentali Gallerie, dei centri e dei collezionisti privati che ha dato momenti di vitalità internazionale e di vivace sperimentazione anche in campo musicale a questo ambiente votato da secoli ad un eletto e sdegnoso conformismo. L’unica apertura ad un contemporaneo aggiornato visibile nella mostra alla GAM di Palazzo Pitti è rappresentata da un’opera di Burri, una di Jasper Jones e una di Capogrossi, tutte e tre acquisite negli anni dell’arrivo alla Direzione del Museo di Sandra Pinto, studiosa capace di uno sguardo lontano, al di sopra delle altrui teste, che subito impresse alle scelte un taglio di respiro internazionale; e non per nulla entrò ben presto in acceso conflitto con buona parte della Firenze istituzionale di allora, fino al suo rassicurante trasferimento a Torino nel 1980.

Comunque, ciò che anche qui manca, casomai, è lo spazio, non certo il materiale, né la qualità. A questo proposito viene spontanea alla mente l’immagine del nostro Sindaco, a giro per il mondo a cercare acquirenti per gli immobili vuoti della nostra città (alcuni peraltro profondamente legati al contesto storico artistico, come l’ex Tribunale in piazza san Firenze). Ma allora, si è riflettuto bene se alla città questi spazi potrebbero servire o no? Perché da un lato si strizzano i musei in luoghi non idonei e dall’altro si buttano sul tappetino spazi di gran pregio all’interno del centro storico. Un legittimo dubbio viene e dal dubbio nasce una certa dose di altrettanto legittima rabbia. Perché a marzo, a fine mostra, tutte queste opere che sono frutto delle scelte operate nel campo dell’arte contemporanea delle istituzioni più rappresentative della nostra città nel secolo scorso e fino ad oggi, e di cui perciò rispecchiano il gusto artistico e il pensiero culturale, sarà di nuovo sepolto.

Mancano i soldi, si dice. Ma io posso dire con cognizione di causa che prima dell’inizio dell’attuale congiuntura economica i soldi si sarebbero potuti trovare, se ci fosse stata la volontà, soprattutto da quando i musei hanno avuto un concessionario e hanno cominciato a fare mostre, fonte di forti introiti nei musei più frequentati. E’ venuto il momento che si renda conto ai cittadini di come si impegnano questi soldi, del come e del perché delle scelte. Forse si potrebbe anche decidere di risparmiare nelle spese per la mostra sull’Iconografia di san Francesco prevista alla Galleria dell’Accademia nell’anno della visita del Papa a Firenze e dedicare un po’ di risorse alla sistemazione degli spazi per ospitare queste opere.

Ritengo che anche il Papa apprezzerebbe questo atto. E soprattutto lo apprezzerebbero i fiorentini delle generazioni più giovani che si sentono ogni giorno impoveriti di ciò che gli appartiene di diritto. Non basta la rinuncia definitiva agli spazi di Ex3, né la recente perdita di un direttore per lo spazio della Strozzina. Non basta, gettando lo sguardo sul territorio, lo stallo di Palazzo Fabroni a Pistoia e del centro Pecci a Prato. Ormai morte e sepolte le Papesse a Siena, resta poco più dell’iniziativa di alcuni illuminati collezionisti a farci credere, in questa regione, che l’arte non è finita con Tiepolo (cito da Antonio Paolucci).

Meriterebbe chiedersi perché questa noncuranza nei confronti dei tempi in cui si vive o di cui siamo figli diretti. Privi di occasioni e stimoli culturali i giovani si svuotano di capacità ragionative e ciò serve a meraviglia per formare quella base di mancanza di senso critico e di autonomia morale su cui prospera la corruzione e il potere di convincimento dei cinici. Meriterebbe ancora di più chiedersi se davvero vogliamo sopportare questa ulteriore sottrazione di conoscenza e di opportunità, ora che tutti sanno che esiste, che è lì a portata di mano (il materiale esposto è circa un decimo di quello presente nei depositi; altro che depositi degli Uffizi con cui si vaneggia di fare nuovi musei in Cina…) o se invece non riusciamo in qualche modo a trovare le forze per fare di Firenze, finalmente, un modello di città libera di riflettere sulle sue radici più prossime.

Franca Falletti, funzionaria della Soprintendenza ha diretto la Galleria dell’Accademia

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Franca Falletti

Franca Falletti è nata e vissuta a Firenze. Laureata in Storia dell’Arte medioevale e moderna presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze con Roberto Salvini e Ugo Procacci e perfezionata nella stessa materia e presso la medesima facoltà, ha inizialmente svolto attività di libera professione collaborando con studiosi e Istituzioni nel campo della ricerca, della catalogazione e della didattica. Dal giugno 1980 funzionario direttivo della Soprintendenza per i beni artistici e storici delle province di Firenze, Pistoia e Prato, dal dicembre del 1981 è stata vicedirettrice della Galleria dell’Accademia e dal marzo 1992 Direttrice del medesimo museo fino al 28 febbraio 2013.

2 commenti su “Firenze e il suo Novecento invisibile”

  1. A PROPOSITO DI ARTE… “CONTEMPORANEA” E “INVISIBILE”
    Andate a vedere lo scatolone allocato nel v.le Giannotti (q3-gavinana) appellato Ex3 di proprietà comunale, abbandonato a se stesso da anni (finche regge). Nelle intenzioni “comunali”, doveva essere sede di un nuovo museo di arte contemporanea e/o altre attività socio-culturali. Visto l’abbandono, gli abitanti del quartiere lo hanno indicato (con le ristrutturazioni dovute) come la possibile sede del presidio sanitario. Ma ad oggi niente di simile è stato fatto e la struttura resta chiusa e abbandonata.

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