Periferie e frontiere

banlieueIn un recente scritto (1), l’urbanista Giancarlo Paba sottolinea come una delle forme di diseguaglianza che la crisi sta accentuando sia l’ingiusta distribuzione di quel “capitale spaziale” (dalla casa, al quartiere alla città) che costituisce una quota sempre più rilevante della dotazione di diritti, di risorse e di beni necessari per vivere dignitosamente.

Questa ingiusta distribuzione disegna una mappa complessa della città, che non necessariamente risponde alla coppia di opposti centro-periferia. Povertà e ricchezza sociale, disagio e agio spaziale convivono e si confondono seguendo le innumerevoli linee di confine che la frammentazione sociale e i nuovi processi di valorizzazione/svalorizzazione urbana hanno tracciato.

La grande diffusione del modello urbano degli ultimi decenni ha destrutturato la gerarchia consolidata degli spazi urbani, le demarcazioni tra le diverse aree della città e le diverse formazioni sociali, i confini che prima delineavano nettamente funzioni e valori d’uso del territorio. Gli aspetti costitutivi della città come luogo delle possibilità di affermazione dei diritti delle persone e delle comunità – dal diritto alle necessità primarie, alla formazione, alla conoscenza, al lavoro, alla cura, all’abitazione, alla differenza – sono stati messi in discussione dalla riduzione generalizzata della protezione sociale e dalla crisi.

All’eterogeneità e differenziazione delle condizioni sociali ed economiche corrisponde oggi sul piano abitativo e urbano una loro distribuzione che, rispetto al passato, segue logiche inedite. Il mosaico che ne deriva non si può rappresentare con un unico modello e richiede uno sforzo per comprenderne localmente la composizione e le caratteristiche.

Per decenni espressioni come “crisi urbana”, “territori in crisi” sono state associate alla nozione di ereditata da una visione tradizionale della città. In particolare i quartieri dell’edilizia sociale sono stati oggetto di delegittimazione da parte della vulgata neo-liberista che ha predicato il ritiro del pubblico e l’ingresso di soggetti privati nell’offerta di edilizia sociale, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

In generale, e qualunque sia la loro disposizione nella città, i territori simbolicamente “periferici” sono oggetto di una considerazione negativa, conseguenza di diagnosi stereotipate. Si tratta di rituali censimenti di caratteristiche negative (disoccupazione, povertà, scarsa qualità abitativa e ambientale, concentrazione di patologie sociali). Si dedica invece poca attenzione all’analisi dei processi strutturali e dei meccanismi socio-istituzionali che hanno contribuito a penalizzare questi territori e le loro popolazioni (scarsità di servizi e infrastrutturazioni, scarsità di risorse destinate alla manutenzione delle abitazioni e dello spazio pubblico, poco interesse alla rappresentanza e alla partecipazione degli abitanti).

Queste parti di città, costruite massicciamente nel corso dell’ultimo mezzo secolo, sono invece territori compositi nelle loro funzioni, nelle loro attività e nelle forme architettoniche e urbane. Hanno storie molto diverse e in modo differente hanno subito trasformazioni e sostituzioni anche in virtù di un rinnovarsi delle fonti di vita, dei tipi di produzione, delle strutture sociali. Hanno reagito in modi differenti, con differenti velocità e intensità alle trasformazioni. Dietro la voce “periferia” c’è una realtà complessa e sfaccettata. Non una realtà aspecifica, indifferenziata, che si possa misurare oggettivamente in termini di concentrazione sociale e spaziale degli esclusi e di disagio urbano.

Come mostrano le osservazioni delle differenti realtà urbane non solo nazionali, la periferia della città, rappresentata come lo spazio della separatezza, dell’esclusione sociale, del disagio e del degrado, non è obbligatoriamente il luogo in cui si manifesta la “crisi della città”. La frammentazione della città è lungi dall’essere omogenea, e i territori in difficoltà non sono necessariamente localizzati nelle periferie.

Se si vuole disporre di un approccio comparativo in grado di descrivere la nuova articolazione urbana, è più utile fare riferimento alle definizioni di “territori della scelta” – quelli dove abita chi può scegliere dove e vicino a chi abitare – rispetto ai “territori della costrizione” – quelli dove abita chi non può scegliere dove e vicino a chi abitare (2).

Con questa chiave di lettura, la città ci racconta la geografia delle nuove diseguaglianze. Spazi della scelta e dell’obbligo si alternano secondo processi di nuova valorizzazione fino al cuore centrale della città, anche di una città consolidata come Firenze. E’ possibile così ribaltare il concetto di periferia, di “cerchia esterna”, di area di confine e sviluppare il significato di “frontiera”. Frontiera non come territorio ai margini. Frontiera non come limite, ma come finestra sull’universo, sugli universi circostanti e opposti. Frontiera come territorio a forte intensità di fenomeni trasformativi, zone fluttuanti, mutanti che per diversi motivi possono presentare una maggiore permeabilità all’innovazione, alla nascita di nuove forme di economia locale, allo sviluppo di forme di interazione culturale e sociale, di progetti ad alta complessità di relazioni urbane. Zone ad alta complessità di sfida nel rapporto con lo spazio e l’ambiente, nel rapporto tra generi, generazioni e genti.

Queste zone di frontiera, nella loro diversità morfologica e nelle loro “atmosfere”, sono spazi propizi a molteplici fenomeni che ne fanno il luogo di accoglienza potenziale di una gran varietà di popolazioni urbane e, fra queste, soprattutto quelle meno abbienti.

Queste considerazioni portano quindi a riorientare la prospettiva e le politiche. Il fenomeno urbano è divenuto il tratto dominante dei Paesi occidentali, e non solo di essi. Luoghi dove convergono i flussi di persone, di merci, di capitali, di informazioni; le città sono passate dallo statuto di semplice articolazione di poteri e di politiche statali a quello di attori-chiave della strutturazione del territorio e della sua organizzazione sociale.

In questo senso, le “periferie”, le zone di frontiera urbana possono svolgere un ruolo fondamentale. Le politiche di governo urbano le percepiscono come zone da risanare, territori incerti in attesa di essere conquistati dalla città, vuoti urbani da restituire alla comunità attraverso rassicuranti operazioni di riqualificazione.

Talvolta invece da questi luoghi anomici si genera un “altrove concreto”, un processo soggettivo che dà forma a contenuti di una condizione urbana altrimenti essa stessa “vaga”, un’energia di cui la città vissuta ha bisogno. Non di rado proprio le “periferie” rappresentano un elemento (uno dei pochi) di critica pratica al primato della rendita immobiliare sulla città e interrogano in profondità i criteri, le priorità, le gerarchie che presiedono non solo alla programmazione urbana, ma anche agli stessi fondamenti della convivenza civile.

Nicola Solimano è il coordinatore delle attività della Fondazione Michelucci nonché responsabile dell’area Osservatori sociali e Attività editoriali


1) G. Paba, 2014, Povertà, ingiustizia spaziale, politiche urbane, in “Case e non-case”, a cura della Fondazione Michelucci, Seid, Firenze.

2) C. Jacquier, 2006, Periferie urbane, frontiere e margini della città: quali forme di governance? in “1954-2004 città nella città. Il quartiere dell’Isolotto a Firenze”, Fondazione Michelucci, Firenze.