La Fondazione David? Un assalto alla diligenza

Nell’ambito della recente riforma del Ministero dei Beni Culturali, è previsto che ai tre Istituti di Firenze destinati all’autonomia si accorpino alcuni dei musei così detti “minori”, con il ragionevole scopo di sostenere economicamente i soggetti più deboli. Così agli Uffizi si dovrà unire Palazzo Pitti, al Bargello le Cappelle Medicee e Palazzo Davanzati. In un primo momento si parlava di unire all’Accademia il Museo di San Marco e i Cenacoli, ma questa ultima parte dell’ipotesi risulta ad oggi tramontata.

L’Accademia, quindi, corre da sola, mentre il museo di San Marco è l’unico rimasto fuori dal giro delle autonomie e destinato alla dipendenza dal Polo Regionale. Viene spontaneo chiedersi il motivo di tale anomala situazione e la risposta più plausibile è che si pensi di istituire, per il museo del David, una Fondazione. Perché? Proviamo a spiegarlo in modo più possibile sintetico e chiaro.

David-MichelangeloIn una Fondazione culturale entrano in genere gli Enti Locali, Comune e Regione, il primo dei quali ambisce da molti anni (chi non ricorda Renzi che sventolava in faccia ai giornalisti documenti che avrebbero dimostrato la proprietà comunale del David?) a mettere le mani su un bene che garantisce tanti introiti con poco sforzo. Nulla di male, in fondo si tratta pur sempre di Enti pubblici, perciò alla fine tutto rimarrebbe a beneficio del cittadino.

Invece no. Perché in una Fondazione entrerebbero anche Enti di diritti privato e privati tout court. Non è difficile immaginare l’assalto alla diligenza scatenato da un bocconcino così appetitoso. Vuole il caso che sul Venerdì di Repubblica del 6 marzo si possa leggere un breve ma istruttivo articolo in merito (La cultura in Comune incassa zero, pag. 41). Con le Fondazioni, vi si dice, ai Comuni rimane ben poco. Le iniziative vengono fatte, ma gli incassi vanno in massima parte a che ha più investito, che non è mai l’Ente pubblico. Non solo gli incassi, aggiungo quindi io, ma nel caso della Galleria dell’Accademia, anche i guadagni, che sicuramente saranno assai cospicui. E ancora di più lo saranno se non ci sarà da sostenere il Museo di San Marco e i Cenacoli; e ancor più lo saranno se si trascurerà tutto ciò che non è il David, magari chiudendo alcune parti del museo, dato che la stragrande maggioranza dei visitatori ci vanno per vedere Lui e di Lui in prevalenza si interessano.

Allora proviamo a leggere anche il significato ultimo e le conseguenze di questa probabile mossa, non dichiarata apertamente, ma di cui tutti ormai parlano.
Se il nostro timore non è infondato (e se lo fosse saremmo ben felici di ammettere il nostro errore), si sta preparando in buona sostanza l’ennesima sottrazione di risorse del paese in vantaggio di interessi privati, mentre si andrà pesantemente ad impoverire la comunità sotto il profilo economico e culturale. Con molti rischi: innanzitutto con il rischio di fomentare la corruzione, come quasi sempre accade in Italia quando ai privati viene dato libero accesso allo sfruttamento di fonti di guadagno che per Costituzione appartengono a tutti i cittadini, cioè a me, a te, a noi. Certi favori raramente si ricambiano con un grazie. Poi con il rischio di mettere a repentaglio la conservazione di un patrimonio di valore inestimabile e di estrema delicatezza, perché andranno a scomparire sempre più quelle già tanto umiliate competenze specifiche, che sono di fatto le uniche in grado di garantire una gestione corretta delle opere d’arte.

Infine, se si vorrà guadagnare tanto bene che ce ne sia per tutti, certo non si potrà continuare a elargire risorse per ricerca, formazione, monitoraggio, manutenzione, didattica e divulgazione, insomma per quell’insieme di attività che noi consideriamo la base portante della “cultura”. Ma che, ahimè, non producono direttamente denaro.