Opificio delle Pietre Dure, addio!

Fra le grandi istituzioni culturali che stanno estinguendosi nella pressoché totale indifferenza del Governo e in parte anche dell’opinione pubblica c’è l’Opificio delle Pietre Dure, che con i suoi Laboratori di via degli Alfani e della Fortezza da Basso ha fatto per decenni di Firenze e dell’Italia un punto di riferimento primario per tutto il mondo nel campo del restauro, sotto il profilo della ricerca pura e applicata e della formazione, affiancandosi, in una gara di eccellenza, all’Istituto Centrale per il Restauro di Roma.

Di questo problema si è parlato e si parla troppo poco, ma soprattutto non si dice quali sono i reali termini della perdita che stiamo rischiando e che in parte è già irrecuperabile, perché la questione passa per la solita mancanza di fondi che rallenta e porta verso la paralisi l’attività di un Istituto importante. Ma non è così.

Restauro-Porta-Nord-del-Battistero-di-Firenze-courtesy-Opera-di-Santa-Maria-del-Fiore-foto-Marco-Mori-1L’Opificio delle Pietre Dure in anni e anni di lavoro, a partire dal 1932 quando fu fondato come Gabinetto di restauro della Soprintendenza alle Gallerie e ancor più l’alluvione fiorentina del 1966, ha accumulato un tesoro inestimabile di esperienza, che senza la necessaria continuità è destinato ad andare irrimediabilmente perso, perché per essere trasmesso ad altri ha bisogno di tempo e di condivisione.

Si sta distruggendo quindi un sapere costruito dall’intelligenza, dalla sensibilità e dall’impegno di una serie finora ininterrotta di studiosi e operatori, che hanno fatto la storia del restauro dalle sue origini come scienza ad oggi. Si tratta di un sapere che solo in parte si può comunicare tramite la parola scritta, essendo fatto principalmente di osservazione e di comunicazione interpersonale diretta, con tempi e modalità che si fanno sempre più veloci, così che perdere il ritmo significa essere fuori gioco, perché da decenni ormai fare restauro ad alto livello significa condividere l’impegno con altre competenze sempre più specifiche e sempre più varie, da quelle chimiche, fisiche e biologiche a quelle ingegneristiche e informatiche; ma d’altra parte significa ancora quello che è sempre stato, cioè tenere l’occhio e la mano allenati a stare in contatto con la materia.

Molti settori di attività dell’Opificio delle Pietre Dure stanno già chiudendo per la totale mancanza di restauratori: arazzi, tessuti, mosaico, terrecotte; il settore dipinti da 24 operatori che contava qualche anno fa ne ha ora 11 e comunque si tratta di personale di età media intorno ai 55 anni. E’ così che Firenze e l’Italia stanno perdendo senza battere ciglio un’altra eccellenza, che ancora la comunità scientifica internazionale ci invidia e sul cui futuro seguita a fare affidamento, perché non può nemmeno immaginare che una nazione sia così ottusa da lasciarla morire di inedia.

*Franca Falletti