Invisibili e cancellati. Si può rilanciare il no all’Expo?

La netta dicotomia tracciata dai media mainstream e dai rappresentanti politici nazionali e milanesi, o con la gente perbene che ama la città e partecipa all’evento o con i casseurs che la distruggono, ha chiuso ogni spazio politico di discussione sui temi portati avanti dalla rete no Expo e dagli organizzatori della MayDay milanese (il corteo del 1 maggio). Eppure mentre l’esposizione universale delle multinazionali prendeva il via con le celebrazioni previste, per le vie di Milano hanno sfilato 50.000 persone, che nel tradizionale primo maggio dei precari ha fatto della critica al modello Expo l’elemento caratterizzante della manifestazione. Dopo gli incidenti, l’accusa di devastazione e saccheggio del territorio lanciata in questi anni dalla rete No Expo si è trasformata nel reato di devastazione e saccheggio contestato ai protagonisti dei disordini e con essi all’intero movimento che non riuscirebbe mai a smarcarsi in queste occasioni dalle frange più violente. Fino alla chiusura del cerchio (e del dibattito) rappresentata dalla manifestazione del giorno successivo per ripulire la città e rivendicare la difesa della “milanesità”, convocata dal sindaco Pisapia.

Le vetrine sfondate passano avanti a quelle davvero infrangibili che proteggono il modello di sviluppo rappresentato da Expo, con la propria capacità di derogare ai diritti di tutti per soddisfare gli affari di pochi, di drenare risorse pubbliche verso banche, speculatori, affaristi, di cementificazione del territorio. Tutto questo per costruire un evento che parla di alimentazione sana e cibo per tutti e poi costruisce alleanze con i più grandi divoratori del pianeta: le multinazionali dell’agroindustria, le catene di cibo spazzatura, i peggiori responsabili delle disuguaglianze mondiali. Il corteo del primo maggio di Milano era riuscito a tenere insieme i temi del lavoro, della precarietà, della riacquisizione di produzioni dismesse, con quelli di un’economia alimentare legata ai prodotti locali, al diritto alla casa, alla difesa dei beni comuni, ai diritti di genere. Perciò è tanta la rabbia per la strumentalizzazione mediatica di alcune fasi della giornata che hanno sovrastato i sette anni di attività del percorso No Expo. Corteo che, tra l’altro, è stato portato a termine regolarmente nella sua forma collettiva.

noexpoIl colpo accusato è però oggettivamente forte anche all’interno del movimento, se l’assemblea del 3 maggio che doveva decidere come portare avanti i contenuti dell’opposizione a Expo nei sei mesi dell’esposizione universale è stata annullata, in attesa di riconvocazione, lasciando in agenda il solo evento del 20 giugno del No Expo Pride.

Dentro il movimento si è acceso il dibattito. La rete No Expo in un comunicato afferma di voler incoraggiare un’autocritica che sia capace di raccogliere gli spunti utili per andare avanti e la banalità del “proprietario della rivolta”. Concludendo che “la radicalità sta nella profondità delle idee e nella capacità di penetrare terreni da cui raccogliere nutrimento e aprire spazi di agibilità. Che il dibattito sia ricco, severo, coraggioso, costruttivo. E ribelle”.

Dal sito di MilanoInMovimento si legge dell’amarezza di “raccontare di spazi di agibilità che si chiudono, di fermi, arresti e repressione”, che “frenerà la riflessione fra gli attori del movimento e farà sì che non ci esprimeremo, perché di fronte alla repressione poi smettiamo anche di ragionare in nome della giusta solidarietà a chi viene colpito”. “Ci interessa la distanza che con questo immaginario scaviamo fra il corpo militante e la gente comune, fra chi ogni giorno mette il suo tempo e la sua fatica al servizio della costruzione di percorsi condivisi che ambiscono a diventare maggioritari e quel pezzo di cittadinanza che continuerà a pagare il prezzo della crisi, abbandonata dalla politica istituzionale e che tuttavia non capisce il senso di certe pratiche ed è sempre più lontana dal nostro mondo”.

Sempre sul sito di MilanoInMovimento è possibile trovare diversi contributi di realtà milanesi di movimento. Tra questi il comunicato di Macao, che si sofferma sul colpo di spugna dato sul corteo del primo maggio e con questo alle ragioni di quanti hanno lavorato in questi anni per ricollocare la realtà aldilà della retorica di Expo. Invisibili prima e cancellati dopo il primo maggio. Provando a ripartire dall’autocritica: “se è improrogabile per chi pratica spazi e luoghi di conflitto interrogarsi sugli eventi, lo è anche, per le nostre vite, continuare a farlo sul grande evento, sulle forme affermative e alternative che da tempo non riusciamo a generare davanti ad esso”.

In un articolo uscito sul Manifesto del 4 maggio scorso invece, Marco Bascetta e Sandro Mezzadra mettono in luce il paragone con la mobilitazione lanciata dalla coalizione Blockupy, culminata con la manifestazione in occasione dell’inaugurazione della nuova sede della Banca Centrale Europea a Francoforte, anche in quel caso accom­pa­gnata da azioni e com­por­ta­menti ­si­mili a quelli visti a Milano. Tuttavia, la natura della coalizione Blockupy, vero e proprio spazio transnazionale di azione politica contro il management europeo, ha potuto riaffermare immediatamente le ragioni della protesta, senza farsi oscurare dal clamore degli scontri. Per gli autori nella pre­pa­ra­zione delle ini­zia­tive con­tro Expo sono con­vis­sute due pro­spet­tive diverse nell’opposizione a Expo: da una parte la mani­fe­sta­zione espo­si­tiva come labo­ra­to­rio sociale in cui si sperimentano nuove (e meno nuove forme di sfrut­ta­mento), di messa al lavoro della coo­pe­ra­zione sociale, di forgiatura di nuovi spazi urbani, gerar­chie e imma­gi­nari; dall’altra quella dell’Expo come simbolo della grande opera, che ha finito col prevalere perché nel corteo del primo maggio è stato proprio il simbolismo dello scon­tro a dilagare, secondo una logica della messa in scena e della rap­pre­sen­ta­zione di una rivolta che però non si mani­fe­sta nel quotidiano.

Come si riparte allora? Le importanti esperienze di inchiesta della rete No Expo e i tentativi di auto-organizzazione e di lotta, possono avere un seguito se riescono a radicarsi di più nei rapporti e nelle lotte sociali. Assumere quindi maggiormente il problema di come accrescere la partecipazione, il consenso sulle ragioni alternative, come contagiare mondi diversi di opposizione al modello sociale dominante, cercando di uscire ancora di più dalla dimesione locale. Noi, restiamo sintonizzati.

*Roberto Spini attivista di Attac Italia, del Forum per l’acqua e di perUnaltracittà