Giubileo? La violenza del tiranno, il prete.

Condannati a morte dal papa senza prove e senza difesa nell’anno santo 1825 a Roma
“…dico solo ch’è una barbarie a far morire due giovani per opinione e che conosceranno i preti un giorno il loro sbaglio”, Angelo Targhini.

“…ben a ragione si chiamano essi pastori poiché dai sudditi che sono le loro pecorelle traggono e lana, e latte e formaggio e tutto ciò che fa loro di bisogno”, Angelo Targhini.

angelo-leonidaSette segrete carbonare
Il papa Leone XII nel 1825 proclama l’anno santo. L’opposizione politica repubblicana e giacobina si esprime attraverso le sette segrete carbonare e a Ravenna nel 1824 il capo della polizia del papa viene ucciso da alcuni carbonari. Il 31 agosto 1825 il cardinal legato Rivarola in qualità di giudice commina 514 condanne a varie pene fra cui 7 alla pena di morte. I carbonari coinvolti appartengono a tutte le fasce sociali. L’onda della rivoluzione non è lontana.

La chiesa che ha il potere temporale su un vasto stato non intende perdere terreno e vuole infliggere pene esemplari che facciano da deterrente alla diffusione dell’opposizione repubblicana, che vuole rovesciare il potere temporale dei papi. E a questo fine usa il reato di lesa maestà: non c’è bisogno di prove che vadano oltre la delazione.

La polizia pontificia ha una rete di spie e di infiltrati da fare invidia alle peggiori dittature. Ci sono oppositori al regime del papa segnalati più volte e in più luoghi per la loro attività e la loro capacità propositiva. Non basta, la chiesa con i suoi processi portati avanti da cardinali e monsignori che sono contemporaneamente capi della polizia, utilizza quelli che oggi chiamiamo pentiti: persone coinvolte nei reati che accusano altri per farsi ridurre la pena.

Due giovani carbonari Angelo Targhini e Leonida Montanari vengono accusati di lesa maestà e del ferimento di Giuseppe Pontini, un delatore, e condannati alla pena di morte. Hanno 26 e 25 anni. La loggia Costanza fondata da Angelo Targhini aveva una sessantina di affiliati di varia origine sociale: classi subalterne e non solo borghesi e anche alcune donne. Dal processo sappiamo che ne facevano parte fra gli altri: un cameriere disoccupato, uno studente di legge, un legale, un ex soldato nelle truppe napoleoniche, successivamente cameriere e al tempo dell’attentato raffinatore di panni, un principe, un legale disoccupato. Il ferito, Pontini, sarà uno dei principali accusatori del processo: non si sa se fosse un infiltrato incaricato della polizia pontificia o un carbonaro che aveva deciso di collaborare con il governo. Le persecuzioni poliziesche sono pesanti.

Angelo Targhini, nato nel 1799, figlio del cuoco del papa Pio VII, studia al Collegio Romano dei Gesuiti, ma legge gli autori francesi, conosce Bonnet, Rousseau, Voltaire, Mirabeau, Volney, Dupuy. E’ ateo e afferma che la religione è una mera politica degli stati. E’ massone da quando era in Romagna nei primi anni 20 dell’800, dove asserisce che ce ne siano molti, qualche ventina di migliaia. E’ entrato nelle sette segrete quando scontava la sua pena a Castel Sant’Angelo nell’area dei condannati politici, per un omicidio avvenuto in una rissa nel 1819. Fino ad allora aveva due impieghi pubblici che perde per la condanna. Nel 1825 studia la lingua italiana, ma non ha più un impiego. E’ segnalato più volte dalla polizia pontificia e da quella austriaca: a Pesaro, a Frascati, a Roma.

Leonida Montanari nato a Cesena il 26 aprile 1800, studia medicina a Bologna e a Roma ed è medico condotto a Rocca di Papa. Nel 1823 il suo nome figura nei documenti del processo istituito in Romagna dal cardinal legato Rivarola contro le sette segrete antipapali. Non si sa quando Montanari iniziò a partecipare alle sette segrete, ma si sa che a Roma appartenne allo stesso gruppo di Targhini.

Lesa maestà e commissione speciale
Il governo pontificio dispone che a occuparsi del tentato omicidio di Giuseppe Pontini sia una commissione speciale composta da dieci membri e presieduta da monsignor Tommaso Bernetti, governatore di Roma e direttore generale di polizia. E’ istruito un processo di lesa maestà e ferita qualificata contro Montanari, Targhini, Spadoni, Garofolini, Gasperoni e Ricci.

Il decreto istitutivo della commissione del 31 ottobre 1825 indica che”All’effetto della pena prescritta dalle leggi, anche per la sola pertinenza ad alcuna delle indicate società segrete, non sarà necessaria la prova strettamente legale, che con gran detrimento di giustizia non potrebbe ottenersi in tali delitti, trattati sempre e commessi clandestinamente […] ma bastar debba quella morale certezza che rimuova dall’animo ogni ragionevole esitazione sul delitto e sul reo». La sentenza è dichiarata inappellabile e viene ordinato il segreto per i verbali delle discussioni, i voti e risultati, per evitare le “indebite pretenzioni degli inquisiti”. Non c’è nessuna possibilità di difesa, né sono raccolte prove. Si tratta di un tribunale speciale. La condanna è basata solo sulle delazioni per ottenere sconti di pena.

Alcuni degli accusati parlano, ma non lo fanno Targhini e Montanari. Che certo chiedono la grazia, ma non ottenendola, vanno a morte a testa alta. Targhini afferma in un documento scritto da lui: “la mano del signore non abbisogna della mia per far conoscere le altrui colpe”. Una accusa ai preti suoi giudici che appare anche ironica sapendo che è ateo.

Nel corso dell’ultimo interrogatorio, Targhini quando lo informano che se non accusa altri sarà condannato a morte, inizia a non rispondere:
“…ripeto che credo inutile di rispondere sopra quanto riguarda le Segrete Società perché intendo di non fare il delatore a carico di veruno, tale essendo la mia massima religiosa e morale, e non volendo a norma di essa nuocere a veruno. Quanto poi al fatto seguito a Pontini ripeto pure che credo inutile dire più di quello che ho detto nei passati esami poichè lo credo sufficiente a provare la mia innocenza nel fatto stesso, e del più credo ancora di non dire altro sopra tal fatto…
D. (nella quale si discutono le sue scelte e gli si fa presente che sta rischiando la pena di morte.)
R. Non è questo né il luogo, né il tempo da trattenersi in accademia. Basta a me l’intima persuasione di essere innocente per non curare ogni contraria opinione, ed ogni conseguenza a mio carico di questo mio contegno, o per meglio dire, per essere sommesso a qualunque conseguenza a mio carico di questo mio contegno, conseguenza ch’ora mi ha superiormente spiegato.
D. (seguono molte e circostanziate domande su fatti emersi negli altri interrogatori alle quali
R. Ho detto di non voler rispondere
D…
R. Nulla rispose
D. (seguono molte e circostanziate domande su fatti emersi negli altri interrogatori alle quali)
R. nulla rispose
R. ripeto quanto ho detto di sopra intorno a questo mio silenzioso contegno. Nel resto non intendo rispondere.
D…
R.Non ho che opporre alla pretenzione della giustizia per la mia pertinenza alla Società Carbonica e per essa sarò rassegnato come ho detto, alla giusta pena. Per il fatto però seguito al Pontini protesto di nuovo la mia innocenza ed intendo di non meritare pena veruna. Nel resto credo di continuare nel mio silenzio.”

La sentenza del 21 novembre 1825 condanna Angelo Targhini di Brescia e Leonida Montanari di Cesena alla pena di morte per decapitazione, Luigi Spadoni di Forlì e Pompeo Garofolini romano, legale, alla galera a vita, Ludovico Gasperoni e Sebastiano Ricci alla galera per 10 anni.

Il 23 novembre 1825 in piazza del popolo a Roma i due carbonari vengono assassinati per espresso volere del papa, senza delitto e senza difesa e dimostrano un grande coraggio. Vogliono che sia chiaro che non si pentono perché sono fieri di essere carbonari e di aver cospirato per rovesciare un governo tirannico e liberticida. Angelo Targhini incamminandosi verso il palco della ghigliottina dichiara: “voglio morire carbonaro” e salendo sul palco con voce alta e sonora grida “popolo, io muoio senza delitti, ma muoio massone e carbonaro”. Avrebbe voluto proseguire, ma gli viene impedito dal fragore dei tamburi, fatti battere appositamente su ordine del vice provveditore dell’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato che ha il compito di confortare i condannati e che ha steso il rapporto sulle loro ultime ore. E Targhini pone da solo con intrepidezza il collo sotto la mannaia. Montanari è colpito dal coraggio dimostrato dal suo compagno e grida “bravo, bravo” e sorridendo domanda di essere condotto anche lui alla morte. I preti tentano ancora di convincerlo a pentirsi ma lui risponde “mi ha rotto i coglioni…non voglio veder più preti…che vadano a…quanti ne esistono’”. Il prete continua a chiedergli di pentirsi quando è già con il collo sul patibolo e lui risponde no, no.

L’impressione per la morte senza delitti e senza difesa dei due carbonari e per il loro coraggio fu enorme. Il mattino dopo e poi per lungo tempo nel luogo della sepoltura, al muro torto, fuori da Porta del popolo furono posti fiori e corone d’alloro da inglesi, francesi, tedeschi e romagnoli.
Nell’anno santo, fra processioni, laudi e preghiere, la chiesa aveva mostrato il suo vero volto: quello del potere, della tirannia, della violenza.

Il 23 novembre ricordiamo quei compagni a cui ci lega un filo rosso. Mentre misuriamo la distanza ci rendiamo conto della vicinanza. Quello che si lega è la lotta per un mondo più giusto.
E quando abbiamo a che fare con una chiesa cattolica opulenta, sessista, misogina, antidemocratica, accaparratrice di risorse pubbliche con ogni mezzo, desiderosa di imporre le sue antidiluviane regole social-religiose anche a chi non crede, sempre ossequiosa col dittatore di turno e sempre punitiva con i preti che promuovono la teologia della liberazione, una chiesa ancora pronta a indire il giubileo, l’anno santo: allora quei due compagni del passato ci balzano agli occhi con ancora più forza e continuano a rappresentare quel passato che serve ad illuminare il presente.

Bibliografia: Trovanelli Nazareno, “La decapitazione dei carbonari Montanari e Targhini”, in Il contemporaneo, dicembre 1960 – gennaio 1961, Editore Parenti, anno III, n. 32, edizione 1960; Processo Montanari e Targhini, Tribunale della Sacra Consulta, Archivio di Stato di Roma, buste 62-63-64; Libro del provveditore della Venerabile Arciconfraternita di San Giovanni Decollato per le giustizie dal 1810 al 1827, Registri dei giustiziati 1810-1827, libro III, reg. 23, busta 12, Archivio di Stato di Roma.

*Marvi Maggio