Il dibattito intorno alle unioni civili: #MoltoPiùDiCirinnà

Per fortuna si dibatte intorno al disegno di legge per i diritti civili per le persone dello stesso sesso, la cosiddetta Cirinnà. Una discussione è prova di vitalità e di intelligenze all’opera, o almeno così dovrebbe essere. Onorevoli studiosi hanno sostenuto l’esistenza di una sfera pubblica in grado di affrontare le grandi tematiche di interesse collettivo come precondizione per la costruzione di una democrazia liberale.

Forse Habermas cambierà idea dopo aver assistito al livello del dibattito nel parlamento italiano e nei mezzi di comunicazione mainstream. Ma i nostri rappresentanti democraticamente eletti sono solo una voce, purtroppo quella meglio pagata e più amplificata, all’interno di una discussione articolata che in alcuni sui aspetti vorremmo rilanciare.

gaydirittiMentre scriviamo l’approvazione del disegno di legge è in forse, ma il dibattito che ha comunque suscitato resterà, nel bene e nel male.

Tutte le associazioni lgbtq hanno sottolineato che la proposta Cirinnà è una mediazione al ribasso dopo che nel luglio 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiesto all’Italia di adottare una disciplina legislativa sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Per non far riferimento al matrimonio, icona cattolica inviolabile, il legislatore si è inventato l’unione civile omosessuale come “specifica formazione sociale”.

Ma il ddl Cirinnà si rivolge anche alle coppie eterosessuali non sposate, e a loro va ancora peggio, forse punite per aver ‘deviato’ dal loro destino: firmeranno un patto di convivenza che dal punto di vista dei diritti è ancora più debole di quello omosessuale e prevede comunque il passaggio dal notaio per la comunione dei beni. Il silenzio che ha avvolto questo aspetto della legge invita a interrogarci.

Non è che, come si chiedeva Ida Dominijanni alcuni anni fa ai tempi dei ‘bindiani’ Dico, sono le coppie eterosessuali non sposate a incutere più timore in qualità di devianti interni di un ordine che si pretende naturale? La domanda è ovviamente provocatoria, ma bisognerebbe interrogarsi su come la battaglia per il matrimonio egalitario delle coppie gay frammenti un fronte molto più ampio e che potrebbe forse lottare per includere nei diritti una molteplicità di modelli sociali oggi ignorati.

Torniamo ora alla coppia omosessuale come ‘specifica formazione sociale’: una sorta di aggregato di serie b che è stato criticato, ad esempio, dell’associazione Famiglie Arcobaleno, che chiede invece il matrimonio egalitario come forma unica e reale di estensione dei diritti. Se l’obiettivo è non discriminare, è necessario che tutte le coppie siano formalmente uguali, condizione che il nostro ordinamento assicura solo a quelle sposate.

È però giusto essere realisti, e quindi la Cirinnà (se mai verrà approvata) è meglio di nulla, in quanto almeno estende alle coppie formalmente riconosciute i diritti legati alla proprietà, alla successione, alla pensione di reversibilità, al diritto alla cura. Come sottolinea Federico Zappino in un’intervista (thebottomup.it/2016/01/24/amore-politica-intervista-federico-zappino-unioni-civili/) questo strumento legislativo è soprattutto benvenuto per le persone glbtq più povere, che non possono permettersi il notaio per regolare le questioni patrimoniali. Punto di vista ‘di classe’ ignorato dai più, assente dal dibattito politico e dai mezzi di informazione, e purtroppo anche da buona parte del movimento glbtq.

Alcuni collettivi come Favolosa coalizione e Lab schieramenti di Bologna, Ambrosia di Milano pongono sul tavolo della discussione un nodo cruciale: uscire da un sistema materiale e immateriale che riesce a pensare solo in termini di coppia e di rapporti duali. Il movimento transfemminista e queer sfida a immaginare e a praticare diritti che siano slegati dalla coppia, legati alle individualità e a forme di affettività, convivenza, amicalità, sostegno reciproco che la coppia eccedono.

Punti di vista che includono nella propria visione politica anche il diritto al reddito, alla casa, al welfare, in assenza dei quali è difficile pensare a forme di affettività, di sessualità, di famiglia, di genitorialità che siano libere e autodeterminate. (continua)

*Enrica Capussotti, studiosa di Storia culturale e Gender Studies