Dell’amore in epoca postfordista

Una delle più belle canzoni d’amore è stata scritta da Victor Jara poco tempo prima di essere ammazzato dai golpisti cileni nel 1973: Te recuerdo Amanda la strada bagnata / correndo alla fabbrica dove lavorava Manuel / Il sorriso aperto la pioggia nei capelli / non importava niente
correvi a incontrarti con lui / sono cinque minuti / la vita è eterna in cinque minuti / suona la sirena di nuovo al lavoro / e tu camminando lo illumini tutto / quei cinque minuti ti fanno rifiorire / Ti ricordo Amanda …

vlcsnap-error576[1]Conforta pensare che, pur vivendo in un clima di profonda avversione, è possibile non smarrire se stessi, la propria umanità. Nonostante la sottomissione al lavoro di fabbrica e al dispotismo militare della giunta fascista cilena, gli amanti riescono a rintracciare un proprio spazio, il cortile di una fabbrica, e un proprio tempo, appena cinque minuti, in cui liberamente prendersi cura, l’uno dell’altro. Al diavolo tutto il resto!
La forza dei sentimenti è tale che si riverbera attorno e “illumina” il misero cortile. Il suono della sirena, che tenta di ristabilire le gerarchie, non riesce a soffocare lo stato di grazia di quei cinque minuti.

Riascoltando questa canzone mi chiedo se oggi siamo ancora in grado di ritrovare quello spazio e quel tempo autonomo, dissonanti foto 1[2]rispetto agli imperativi della nostra condizione. Il tempo di lavoro sembra aver invaso il tempo della nostra vita, la sfera più intima dell’essere sembra colonizzata da perversi modelli di ambizione economica e sociale. Il cinismo e il rancore, lo sfrenato individualismo, sembrano essere alcune delle tonalità emotive sempre più frequenti.

Gesualdo Bufalino, scrittore oggi ingiustamente trascurato, parla di “febbre del consumo, ma meriterebbe un nome più empio. Peste unta a ogni cantone da manifesti, giornali, insegne, scritte ruvide come pugni. Peste che esala da ciminiere e crogiuoli, che stilla dai video e ci comanda di correre, gridare, di vegliare, di ardere”.

Il soggetto arde, ma di un fuoco fatuo destinato a non lasciare tracce sensibili. Siamo destinati ad accettare e a convivere con tutto ciò?

jorn3[3]Rilassiamoci, abbandoniamoci all’incontro amichevole con l’altro. Combattiamo la distruzione dei legami affettivi e sociali propria dello spirito del nostro tempo, così intriso di perfido economicismo. Riappropriamoci della ricchezza che ci viene sottratta, degli spazi che ci sono negati in nome di un crudele tornaconto economico che esclude e sottomette la ricchezza delle relazioni, dello scambio gratuito e solidale.

Pratichiamo il paradigma dell’amore, dell’amicizia, della profonda condivisione creativa, per aprire e tutelare spazi e tempi dissonanti con quelli dell’economia, in cui assicurare “quel prezioso mastice di confidenze e solidali sicurezze della vita e del cuore, che già seppe rendere abitabile in qualche modo il pianeta” (G. Bufalino).

*Antonio Fiorentino, architetto, attivo in perUnaltracittà