Sentieri interrotti

Ci sono sentieri anche in città: attraversano i giardinetti e i parchi. E’ una rete invisibile e fitta che in certe zone collinari disegna addirittura una dorsale lunga e variegata di essenze e di esperienze. Percorrerli richiede bel tempo, pazienza e un cane.

Se il viandante è un neonato, il sonno farà da guardiano e da guida; se è un vecchio, occorre un bastone dotato di pila per quando fa buio e un assegno di accompagnamento. Agli adolescenti si raccomanda petting, ai cinquantenni il jogging.

Foto Legambiente Prim'Alpe
Foto Legambiente Prim’Alpe

In Italia i parchi cittadini sono in gran parte ville, alcune famosissime, fotografate e catalogate in ogni minimo dettaglio, altre tutte da scoprire. Per un bambino giocare in un boschetto non è come tirare due calci a un pallone in mezzo a un prato, perché il bosco è il luogo dell’incontro con l’imprevisto, perciò quando percorre un sentiero il piccolo esploratore deve incontrare sul suo cammino rami, sassi e tartarughe, ricci e merli, leoni di pietra e vasi di coccio, a costo di bucarsi un dito o di sbucciarsi un ginocchio.

Come ogni altra cosa, un buon sentiero è quello su cui uno progredisce dirigendovisi spontaneamente, perciò i sentieri dovrebbero essere tracciati dopo che il giardino è stato piantato e non prima. Ai lati o in fondo il cucciolo d’uomo dovrebbe incontrare una nicchia, una grotta o una porticina in cui far confluire attese e paure, senza però che quel luogo debba essere infestato da artefatti che richiamano Lourdes o Disney.

Non deve trovare invece bottiglie e lattine con cui può giocare anche a casa.

Soprattutto non dovrebbe mai trovare sul suo percorso una rete di plastica nei colori agente orange o verde bandiera, tesa tra paletti scorticati dalle intemperie e anneriti dal tempo. Un simile ostacolo sbarra il passo e blocca la crescita, soprattutto se a giustificazione di questo scempio il Ministero dei beni Culturali ha posto un cartello come quello che ho visto a Firenze:

Area del parco temporaneamente esclusa dalla fruizione dei visitatori per mancanza di fondi da adibire alla manutenzione del verde pubblico

In pratica, non potevano pagare la potatura degli alberi e temevano che pini e pigne si abbattessero senza pietà su pupi e vecchietti. E mentre al Ministero si danno da fare per cercare i soldi da dare ai giardinieri, sapete quanto tempo è passato? Due anni e mezzo, il cartello fu apposto il diciotto luglio del duemilaquattordici.

Come in un racconto di Georges Courteline, dobbiamo immaginare i corridoi di un antico palazzo che menano alla Manutenzione Botanica, Sezione Conifere, pensando all’andirivieni di vicecapuffici commessi e dattilografi che si smazzano il fascicolo “Villa il Pendaglio”, dove l’errore di copiatura è diventato ormai nome ufficiale.

In quella grande sala decorata con ragnatele e barzellette di dubbio gusto, tra il crepitare delle tastiere e lo schioccare dei timbri imperversa qualche capufficio di fresca nomina che vuol far valere la sua laurea in biologia e compulsa la pratica alla ricerca di un’essenza particolare o di una sottospecie animale meritevole di essere protetta. La trova e tanto gli basta a inoltrare una richiesta di ulteriori finanziamenti e autorizzazioni, che non arriveranno. Se è fortunato si imbatterà in un articolo su qualche rivista scientifica americana o cinese che ipotizza che il tale albero che alligna sulle rive dell’Arno, o lo scoiattolo che vi si arrampica, costituisce buona specie e va ulteriormente protetto.

E’ fatta! Il nostro capufficio parte con la pratica sotto braccio per consegnarla direttamente al ministro, ma poi fa una deviazione per Fiumicino a dare una sbirciata al prossimo volo per Stoccolma, non sia che gli riconoscessero il Nobel… Poi una chiamata imprevista, le ferie da posticipare o un’emergenza familiare… e la cartella scompare. Rimasto in una cartella di cuoio al ministero, l’incartamento verrà riesumato sotto un po’ di polvere da un impiegato che lo riporrà dove crede che vada messo, certamente al posto sbagliato visto che era sbagliato il nome della villa e di conseguenza l’ordinamento alfabetico…

Nel frattempo il terreno, di proprietà demaniale, è rinselvatichito, il giardino all’inglese è diventato una jungla indiana, rapaci, rettili e piante infestanti si sono riappropriati di quel fazzoletto di natura strappato al logorio della vita moderna. L’esperienza delle associazioni e dei comitati ci insegna che in casi come questo lo Stato non riaprirà mai il sentiero interrotto, a meno che un privato non si offra di pagare i lavori in cambio dell’uso della villa e del parco da adibire a fondale di qualche matrimonio o di qualche festa aziendale.

Quando saranno state strappate le ortiche e le liane, segati gli alberi e cacciati i nocivi, il sentiero si popolerà di steward ossequiosi, hostess inamidate e riccastri che ciondolano con i badges appuntati addosso come vacche da mungere e vitelloni da macellare. Il sindaco, che in tutti questi anni si è dimenticato del parco, si farà vedere alla cerimonia di riapertura infiocchettato come un insaccato e si chiuderà così il ciclo terribile della svendita degli spazi pubblici.

Da quel giorno il sentiero sarà maledetto, e giustamente, dai bambini che non ci possono andare e dalle loro apatiche famigliole.

E qualche anno dopo, all’insaputa delle famigliole, molti di loro finiranno tra i legionari di Goro oppure in qualcuna delle bande nazifasciste o nazislamiste che imbandierano i cancelli dei parchi di celtiche e basmilie, perché dappertutto nel mondo la legge del taglione si va affermando come risposta demagogica alla politica dei tagli, che comporta la drastica riduzione degli spazi che è possibile condividere.

*Massimo De Micco