Cacio e pepe

La cucina è politica, e una buona politica (domestica e non addomesticata) è la base di una cucina dignitosa e rispettosa dei diritti e dei sacrosanti dissensi. Diritti alla salute e al piacere, legati in maniera strettissima ad una buona gestione delle nostre risorse (territorio, mestieri, mercati e mercanti).

Sono dunque a festeggiare con voi, in questa rubrica di cucina, la vittoria di una scelta premiata da solleticante partecipazione politica al voto del referendum riguardante alcuni articoli della costituzione e tutto ciò che poteva essere compromesso in caso di: bastaunSi.

Gustandomi il risultato e sull’onda di questa emozione, mi verrebbe da suggerire altri referendum ma che non facessero la fine, per esempio, di quello sulla privatizzazione dell’acqua. Il primo, ma che per concetto, si porta dietro molto altro potrebbe essere quello sul grano duro, di cui in questo momento, si sente parlare, almeno da una certa stampa. Metto qui un link non certo esaustivo ma che può essere ispiratore di approfondimenti.

http://www.inuovivespri.it/2016/12/07/grano-duro-lettera-di-granosalus-a-mattarella-la-ue-distrugge-lagricoltura-e-la-nostra-salute/.

cacioepepeAvete dato un sguardo? A me interessa il principio di precauzione su tutto; da qui parte anche la mia idea e pratica di cucina politica. E giocando col gergo culinario pensavo all’abusato ma calzante: la vendetta è un piatto che va gustato freddo. Ebbene, che lo sia. Allora contro i mercanti di micotossine, glisofati, ogm e le moltissime deliranti “ricette”, compreso quelle che dovrebbero curarci dai mali procurati dai loro profitti, prendiamoci un ragionevole tempo nel quale informare gli umani e pressare in tutti modi i giganti dell’alimentazione mondiale.

E se devo pensare che nel futuro la differenza tra la cucina dei ricchi e quella dei poveri non sarà più i pezzi migliori per i primi e gli scarti per gli ultimi (e quanta cultura ci hanno lasciato le ricette povere…quanta arguzia per offrire a tavola comunque fosse, un cibo degno di esserlo), ma sano e velenoso, voglio subito incitarvi alla rivolta.

Lo faccio scegliendo una preparazione dall’anima popolana, un piatto storico di Roma, là dove molto avviene: spaghetti cacio e pepe che, come molte cose romane, vive di controversie e interpretazioni (tonnarelli, rigatoni, mezze maniche…)

E se anche Virgilio ci racconta che: “la razione quotidiana di pecorino dei legionari romani era di un’oncia, che aveva la funzione di ridurre fortemente la fatica”, noi che legionari non siamo ma che di forza ce ne occorrerà molta di più, andiamo in cucina a prepararli.

per 6 persone

– 500 gr di spaghetti

– 150 gr di pecorino romano, grattato

– Pepe nero macinato fresco

– Sale

E ora è d’obbligo scegliere una pasta buona. Consiglio caldamente una alternativa tutta italiana, quella prodotta con il grano duro Senatore Cappelli. ( Fattoria Castellina a Capraia e Limite o Fabbri a Strada in chianti)

Mettete il pecorino e un pizzico di pepe in una casseruola. Diluite con 150 ml di acqua fredda. Scaldate sul fuoco fino a che il formaggio si sgrani e non faccia più fili. Cuocete gli spaghetti in abbondante acqua salata e scolateli al dente. Conditeli nella casseruola con la crema di pecorino aggiungendo poca acqua di cottura della pasta. Aggiungete pepe nero macinato fresco e servite.

Fatto bene è davvero una delizia, deve risultare una crema che ingabbia la pasta.

*Barbara Zattoni