Basta austerità! Una petizione per fermare il Fiscal Compact

Il 2 marzo 2012, venticinque paesi membri dell’Unione europea hanno firmato il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria» o «Patto di Bilancio Europeo» (cosiddetto «Fiscal compact»). La forma assunta da questo accordo è quella di un trattato intergovernativo europeo e non di un trattato comunitario, quindi fuori dal quadro normativo dell’Unione europea.

Il Fiscal compact prevede, in particolare:
a) il vincolo dello 0,5 per cento di deficit «strutturale» rispetto al Pil;
b) l’obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil di almeno 1/20esimo all’anno per i Paesi con un rapporto superiore al 60 per cento, come previsto dal Trattato di Maastricht;
c) l’obbligo di mantenere al massimo al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil, come previsto dal Trattato di Maastricht.

Per l’Italia – vista la situazione del suo bilancio strutturale e con un rapporto debito/Pil attualmente pari a circa il 133 per cento – l’applicazione del Fiscal compact comporterebbe impostare manovre finanziarie annuali da decine di miliardi di euro, onde rispettare l’accordo una volta diventato pienamente operativo.

Il Fiscal compact prevedeva, inoltre, l’introduzione dell’equilibrio di bilancio per ciascuno Stato in «disposizioni vincolanti di natura permanente – preferibilmente costituzionale». L’Italia ha proceduto non solo al recepimento del Trattato – senza, peraltro, alcuna consultazione popolare, ma solo con un passaggio parlamentare – nel luglio 2012, ed è tra i pochi Paesi dell’eurozona che ha introdotto tale obbligo in Costituzione nel 2012 (legge costituzionale n. 1 del 2012, che ha modificato l’art.81). In realtà lo stesso Fiscal compact obbligava sì a introdurre principi di equilibrio dei conti «tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente», ma con una semplice indicazione di «preferenza» per il livello costituzionale (articolo 3, comma 2). La scelta dunque di «costituzionalizzare» il princìpio dell’equilibrio di bilancio ricade pienamente nella responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo effetto di dover intervenire con una modifica costituzionale per modificare le politiche del rigore anche nell’ipotesi – da perseguire politicamente, anche con la petizione di cui parliamo qui – di un ravvedimento a livello europeo.
Perché una petizione sul Fiscal compact? L’articolo 16 di questo trattato prevede che, entro cinque anni dall’entrata in vigore (1 gennaio 2013), esso venga inserito nell’ordinamento comunitario; di conseguenza che avvenga la sua trasformazione – entro il 31 dicembre 2017 – da accordo intergovernativo in parte integrante dei trattati fondativi dell’Unione europea.

Tale trasformazione imporrà ai Paesi sottoscrittori il pieno dispiegamento dei suoi obblighi, il suo farsi parte costitutiva e fondante dell’Unione europea, e assai più difficoltoso, complesso e arduo procedere alla sua cancellazione o anche solo ad una sua revisione.

E’ importante evidenziare che l’integrazione del Fiscal compact nella normativa europea comporta una modifica dei trattati fondativi, per cui è necessaria l’unanimità dei consensi tra gli Stati membri: governo e parlamento italiano quindi si trovano nella posizione di poter bloccare la conversione del Fiscal compact.

Ovviamente anche se il Fiscal compact non venisse integrato nei trattati europei, è necessario comunque uscirne prima possibile per bloccare i suoi effetti nefasti, visto che ogni Stato potrebbe ritirarsi unilateralmente anche se restasse un accordo intergovernativo come allo stato attuale.
Le politiche che hanno imposto l’austerità dei conti pubblici si sommano alle storture dell’insieme dell’eurozona, portando, come ha dovuto ammettere ormai anche la maggior parte degli economisti mainstream, effetti negativi sulla crescita economica. Nell’ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra, infatti, particolari difficoltà e il peggioramento dell’economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sono sviluppati movimenti xenofobi; l’Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari, imboccando la strada dell’austerità. A partire dalla primavera 2010, sono stati così varati programmi di riequilibrio delle bilance commerciali dei Paesi in deficit, attraverso drastici interventi sui conti pubblici, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici, il riequilibrio della bilancia commerciale è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), che hanno determinato un aumento del debito pubblico in rapporto al Pil dovuto alla recessione indotta dalle politiche di austerità. La gestione neoliberista della crisi economica ha aumentato le asimmetrie e le disuguaglianze esistenti all’interno dei Paesi europei e tra di loro, attuando una competizione sulla base di svalutazioni interne concorrenziali che si sono tradotte in un attacco sistematico al lavoro ed al welfare. In Italia, la disoccupazione è aumentata ad oltre l’11 per cento (quella giovanile oltre il 35 per cento), la capacità produttiva del sistema industriale è scesa del 25 per cento (rispetto all’inizio della crisi) e lo stesso debito pubblico è continuato a salire arrivando nel 2016 al 133,1 per cento sul Pil che, in 9 anni di crisi, è sceso di oltre 16 punti.

Si è attuata una transizione dei poteri dagli Stati nazionali all’oligarchia dell’Unione europea, una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde, di fatto, solo ai poteri finanziari e a ristretti gruppi sociali che di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa (basti pensare che il peso delle rendite in Italia è passato in tre decenni dal 5 al 13 per cento sul PIL), di fatto un trasferimento di ricchezza eccezionale, a favore soprattutto del capitale finanziario.

E’ importante perciò far montare nel nostro paese la contrarietà al Fiscal compact, come affermazione del rifiuto delle politiche neoliberiste e di austerità, e da qui iniziare a sedimentare dal basso il sostegno a politiche di segno completamente opposto. Per questo oltre allo stop al Fiscal compact si chiede anche di: avviare in sede europea, nelle istituzioni e nella società, una discussione ampia per la revisione e il superamento di tutti i trattati e regolamenti, che hanno impresso una svolta monetarista all’Unione Europea e consentito l’affermarsi delle politiche liberiste e di austerità; di avviare le procedure democratiche per l’eliminazione del principio del pareggio di bilancio dalla Costituzione italiana, introdotto proprio come conseguenza dell’adesione al fiscal compact; sostenere tutte le iniziative volte a costituire una Commissione indipendente d’indagine sul debito pubblico del nostro Paese, al fine di verificarne la legalità giuridica e la legittimità sociale, a fronte del suo utilizzo come trappola per comprimere i diritti fondamentali delle persone, privatizzare i beni comuni ed espropriare la democrazia.

In questo periodo, all’avvicinarsi di una scadenza così importante che dovrebbe trovare spazio sui mezzi di comunicazione, nessuno ne parla. Quindi devono essere i cittadini a farlo.

Firmate e fate firmare, basta un click su www.stopfiscalcompact.it

*Attac – Italia