La casa non è il mondo

Siamo una società di hikikomori che vivono chiusi in casa.
La conferma non va cercata nelle statistiche degli psichiatri, ma sulle pagine politiche de quotidiani.
Il linguaggio dei leghisti al governo è pieno di espressioni come “mandare a casa”, “rimandare a casa”, “starsene a casa”, “è casa nostra” , portare a casa le riforme”, “a casa loro”…
Cominciò Renzi con la sua povertà di parole e di idee, era infatti avvezzo ad esibirsi in tv per il pubblico a casa.
In questo come in tutto il resto grillini e fascisti lo hanno solo imitato, esacerbando certe tendenze a cui lui, per ragioni elettorali, non poteva dare libero sfogo.
Mi accingo a scrivere cose che gli attuali governanti non sono in grado capire ma forse alcuni tra i loro consiglieri gliele potranno siegare meglio di come farò io.

L’equiparazione tra la casa e il mondo è un vezzo dell’antropologia borghese che ha conosciuto il suo massimo sviluppo con le idee del fascista Mircea Eliade.
Dico fascista per seplificare al massimo (giustamente una lettrice mi ha fatto notare che a volte non si capisce nulla) perciò non mi dilungo su chi fosse Corneliu Codreanu e cosa combinava la Legione dell’Arcangelo Gabriele, se vi interessa potete chiedere a qualcuno dei tanti intellettuali rumeni che Firenze ha avuto la fortuna di ospitare.
Come la pensava Eliade riguardo alla casa invece si può riassumere: la casa riproduce simbolicamente l’universo visibile e invisible, con i suoi quattro angoli, il pilastro centrale, porte e finestre orientate in un certo modo. Egli parla delle case antiche e delle capanne preistoriche, non mancando di sottolinare come, ahinoi!, tutto questo sia trascurato dagli architetti contemporanei.
E sbaglia.
Mi dispiace, ma sbaglia.
La casa non è la migliore immagine del mondo nelle tradizioni antiche, né la più completa.
Lo è invece lo spazio pubblico aperto: per i cinesi la via, per i greci la piazza. Il Tao, l’Agorà. Qualche volta l’aia o il mulino.

Era talmente poco connessa con la totalità, la casa, che in certi casi la si scoperchiava per farci entrare il mondo a forza.
Così i sacerdoti di Giove non potevano dormire in un letto che poggiasse sul paviento, ma dovevano affondare i piedi del letto nel terriccio o in alternativa infilarli in dei vasi di terra.
Accade spesso nei vangeli: il ricco si trova il granaio in fiamme, nella casa dell’uomo forte si entra di prepotenza, nella scena della guarigione del paralitico viene scoperchiato il tetto e il malato è calato dall’alto, un terremoto squarcia il sipario del tempio…
La confusione tra la casa, il riparo e il mondo è tipico invece della mentalità borghese che predilige la chiusura, il caminetto, la privacy e proietta queste sue fisime nel passato.
Giustamente Umberto Eco notava che il più grande autore di fantascienza borghese sapeva intrattenere i lettori portandolo sulla luna, al centro della terra o ventimila leghe sotto i mari senza che dovesse mai uscire dalla casa, dall’utero.
Ma non fu sempre così.
Nell’antico Egitto il geroglifico per la città era un crocevia di strade, una croce; la casa con la porta aperta era invece simbolo del re (e anche quella casa non era un monolocale ma un vasto cortile).
Stonehenge tutto sembra fuorchè una grande casa.
Gli aborigeni autraliani, che pure Eliade conosceva bene, non sacralizzavano i loro poveri ripari ma le piste in mezzo alla boscaglia lungo cui incontravano animali e uomini.
Le tombe etrusche somigliano di più alle fantasie di Eliade, con la cupola e il pilastro che dal cielo finisce sotto terra, ma erano per i morti, i vivi avevano case completamente diverse, simili a baite o a ville.
Sala, Aula Hall e Halle hanno la stessa radice e vogliono dire la stessa cosa: spazio ampio in cui si svolge la vita pubblica. E non è un caso che queste “sale” sorgessero non arroccate su un cocuzzolo ma in ampi fondovalle come quelli (non a caso) di Aulla o Sala Consilina.
Di questo”stare a valle” ed essere così “luogo di incontro di tutto sotto il cielo” i cinesi hanno fatto una filosofia (teoretica, morale e politica).
In Turchia si scavano siti in cui c’erano vie piazze templi altari e obelischi ma non c’erano case, perchè verosimilente la gente viveva ancora in tende e in capanne e non praticava l’aratura e la semina.
Non è in casa dunque che l’uomo trova il senso della propria vita, ma in piazza.
Non nell’identità ma nello scambio.
Illuminanti a questo riguardo le ricerche di Decandia, suffragate dalle più recenti scoperte archeologiche.

I seguaci di Eliade piangeranno, i seguaci di Fontana manco sanno di che sto parlando.
Per onestà itellettuale, va detto che quei luoghi di incontro, di festa, di meticciato, di accoppiamenti sacri e profani e di sovversione rituale e carnascialesca non tenevano conto solo dell’aspetto orizzontale del vivere (biondi e mori, uomini e donne, ricchi e poveri, marinai e montanari) ma anche dell’elemento verticale, essendo ogni crocicchio e ogni piazza connesso al cielo da un’erma o da un palo e alla terra da un pozzo o da una tomba.
Per non dimenticare.

*Massimo De Micco