L’acqua pubblica fa bene anche contro la corruzione

Le perquisizioni e i sequestri ordinati pochi giorni fa dalla Procura di Grosseto nelle case ed uffici di sette dirigenti e funzionari dell’Acquedotto del Fiora SpA, gestore del servizio idrico nelle provincie di Grosseto e Siena, perché indagati per reati di corruzione, turbativa di gara, falso e truffa ai danni dello Stato, assomigliano molto alle vicende che porteranno fra poche settimane diversi dirigenti del Gestore dei rifiuti dell’ATO Toscana Sud (GR, SI, AR) a doversi difendere in Tribunale, perché rinviati a giudizio per reati simili.

Questa volta sono indagati anche quattro Amministratori Delegati di società private che avrebbero costruito “cartelli” per condizionare le gare di appalto di lavori utili al Gestore del servizio idrico.

Ci sono quattro buoni motivi culturali per cambiare la situazione attuale e prevenire reati di corruzione nelle società per azioni (SpA), che gestiscono i servizi alla collettività e per farlo bisogna fare chiarezza sulla retorica, accolta acriticamente da molti, che ha diffuso l’idea che il privato è migliore del pubblico anche nei servizi pubblici. Tale retorica ha di fatto nascosto diverse considerazioni oggettive illustrate in sede scientifica in tutti i testi di Economia Politica. Vediamole:

1) le SpA sono società di diritto privato con l’unica finalità di retribuire al meglio il capitale anticipato e con la figura dominante dell’Amministratore Delegato (AD), il “deus ex machina” al quale sono assegnati dagli Statuti ampi poteri decisionali e discrezionali. Viceversa, una società che gestisce servizi pubblici ha diverse finalità, alcune delle quali sono in contrasto oggettivo con le logiche del privato. Ad esempio, le società di gestione del servizio idrico dovrebbero avere anche le finalità di ridurre le tariffe agli utenti, ridurre i consumi e sprechi di una risorsa limitata, ridurre le perdite delle condutture, allargare il numero degli utenti non abbandonando nelle zone agricole i consorzi degli acquedotti rurali, favorire la partecipazione degli utenti e coinvolgere nelle scelte i consiglieri comunali, oggi completamente ignorati. Tant’è che il contratto d’appalto oggetto oggi dell’inchiesta avviata dalla Procura di Grosseto non è visionabile dagli utenti nel sito in cui il Gestore pubblica i suoi atti;

2) il fatto che al socio privato di minoranza nelle SpA di gestione dell’acqua è concessa la nomina dell’AD, consente al privato, che non ha obblighi di favorire la partecipazione alle scelte come invece avviene di norma nelle società di diritto pubblico, di gestire in forma riservata tutte le scelte, di stabilire quanto e come informare i soci, potendo escludere la piena consapevolezza anche dei membri del suo Consiglio di amministrazione. La dimostrazione è data dalla sorpresa e incredulità, manifestata dalla intervista al Presidente dell’Acquedotto del Fiora, Emilio Landi, ex sindaco di Arcidosso, a dimostrazione della sua mancanza di conoscenza di fatti importanti in relazione all’appalto contestato per 4 milioni di euro, ben conosciuti invece dalla Procura di Grosseto;

3) quando un soggetto privato arriva a gestire per decenni l’offerta di un bene di prima necessità a domanda rigida, diviene oggettivamente proprietario esclusivo delle conoscenze e del saper fare sulla rete, sulla gestione degli impianti e su tutte le infrastrutture tecniche, che ne fa di fatto un monopolista. Il monopolista, come è noto, appropriandosi della rendita, non produce l’efficienza connessa all’esercizio di un’impresa in una configurazione di ampia concorrenza. L’aumento costante delle tariffe a carico dei cittadini ne è la dimostrazione concreta;

4) il soggetto privato normalmente non può ottenere finanziamenti a tassi ordinari dal settore bancario, se l’investimento non si ripaga in tempi brevi, cioè in pochi anni. E’ per questo motivo che molti investimenti previsti dai Piani di Ambito non sono stati fatti dal gestore, specie quelli sulla manutenzione delle condutture, che in Toscana fanno registrare una perdita in media del 37%. E’ per questo che i gestori ricorrono ad appalti a ditte esterne, a cui affidare anche la gestione degli impianti, com’è il caso oggetto delle vicende giudiziarie, che vede l’appalto per la costruzione e gestione di impianti di depurazione. E anche la formazioni di “cartelli” è una prassi ben conosciuta nell’economia di mercato.

In conclusione uscire dalla sfera privatistica, coinvolgere la cittadinanza e i consiglieri comunali nella programmazione e gestione dei beni comuni, che non può essere di dimensioni territoriali contrastanti con le suddette finalità, è un obbligo culturale oltre che etico se si vuole prevenire la corruzione, che è nei fatti quotidiani.

*Roberto Barocci,
Forum Ambientalista Grosseto