Anche Valencia dice no alla speculazione e alla fabbrica del turismo

La città di Valencia ha sempre avuto un potenziale attrattivo ed è stata oggetto di differenti processi speculativi per il suo contesto geografico, sociale e politico. Una città bagnata dal mar Mediterraneo, circondata da campagna fertile – la famosa huerta valenciana – con uno dei centri storici più grandi d’Europa e una storia fiorente, ricca di differenti culture che si sono alternate nel corso dei secoli. A ciò si aggiunge un clima piacevole, l’immagine di una popolazione accogliente e che si comporta da cordiale anfitrione con gli ospiti, in pratica lo stereotipo della tipica città mediterranea, aperta, allegra e con relazioni commerciali verso l’esterno.

Tuttavia, al di là dei cliché, Valencia subisce già da anni differenti processi di riappropriazione, a volte da parte dell’Amministrazione e a volte da parte di grandi imprese o lobbies, con conseguenti contrapposizioni da parte di movimenti di lotta sociale e di quartiere. La città è stata sempre caratterizzata dall’associazionismo dei cittadini per contrastare le speculazioni che nel corso della storia si sono succedute. Ed è di questo associazionismo che vogliamo parlare, movimento nel quale – attraverso un breve excursus – andiamo a centrare e ad analizzare il perché della sua creazione e della lotta incessante. Ricorreremo spesso a concetti come “turistificazione”, “museificazione” o “gentrificazione”.

Valencia è divisa in 86 zone, tra quartieri e frazioni, il Centro storico è l’insieme dei quartieri che si trovano al centro della mappa della città: Barrio del Carmen, El Pilar (Velluters), La Seu, Ruzafa, etc, esistono poi quartieri storici anche fuori da questa demarcazione, come Cabanyal-Canyamelar, Nazaret, Campanar, la Punta, Benimaclet, zone situate sulla costa o tradizionalmente create intorno alla huerta, o al suo interno. Lo spazio si contraddistingue per una casistica e una problematica specifiche, con un obiettivo comune da parte dei movimenti sociali e di quartiere, evitare la perdita di questo tessuto cittadino.

Questi quartieri “tradizionali” sono stati oggetto di varie mire speculative. Quartieri come El Carme o Velluters negli anni Ottanta, per mancanza di investimenti durante la seconda metà del XX secolo, erano zone degradate, conflittuali, sporche, con un alto grado di delinquenza e insicurezza. Nel 1984 si stabilirono i Piani Speciali di Protezione e nel 1991 le Riforme interne proprio per questi spazi, con l’obiettivo di una riabilitazione tanto sociale quanto urbanistica, commerciale, nonché dal punto di vista di un aumento demografico1. Il governo face un grosso investimento per la ristrutturazione di palazzi e commerci locali. Questi sono luoghi con un’enorme ricchezza patrimoniale storico-artistica e alcuni erano in completa rovina. Si stabilì una collaborazione tra la Generalitat2 e l’Amministrazione comunale per il Piano Integrale di Riabilitazione di Valencia, il cosiddetto RIVA. In un primo tempo, si stabilì la sua attuazione nel quinquennio 1992-1997, successivamente prorogato al 20023.

Ciononostante, come sottolineano alcuni studiosi, tra cui Rosario Fernández-Coronado4, questi piani e interventi non furono risolutivi e non favorirono la permanenza della popolazione residente, anzi si registrò addirittura la sua espulsione.

Questo piano frammentò la Ciutat Vella – l’antico centro storico – attraverso una grande quantità di Unità di Intervento, la maggior parte delle quali decontestualizzarono alcune zone rispetto ad altre, senza generare una visione globale delle reali necessità dei quartieri.
Il Piano di Velluters, il terreno dell’IVAM – l’attuale Istituto Valenciano di Arte Moderna – o il peggio definito “Piano della Muraglia” sono solo alcuni esempi che, con la scusa della protezione del patrimonio, hanno smembrato la vita di quartiere, commerciale e artigianale più tradizionale.

Tali piani avevano nel loro sviluppo l’espulsione di decine di famiglie, con la scusa della creazione di terreni da convertire in un insieme di servizi necessari di cui l’Amministrazione doveva dotarsi, ma dei quali curiosamente non si descriveva la funzione. Riassumendo, l’Amministrazione si stava assumendo la responsabilità di uno smantellamento cittadino, continuavano i soliti problemi di convivenza, degrado e delinquenza, creazione di terreni e spazi liberi per la futura speculazione. L’abitabilità dello spazio si rendeva più difficile con la progressiva sparizione delle tradizionali relazioni di vicinato e, al contempo, con l’entrata di altri tipi di interesse e strati sociali, fino ad arrivare così alla ben nota “gentrificazione”. Di fronte a questi attacchi speculativi diretti, la società civile risponderà con forza attraverso la creazione e il consolidamento delle già esistenti associazioni e piattaforme di quartiere (Asociación de vecinos La Boatella, Amigos del Centro Histórico, Amics del Carme, Vecinos del Carmen, etc).

Ci soffermeremo sull’esempio della Piattaforma della Muraglia, creata deliberatamente dai residenti interessati dal “Piano della muraglia”. Sono stati accusati di contrastare la rivitalizzazione patrimoniale dei resti della muraglia araba della città di Valencia. Ben lontana da tale proposito, la piattaforma nacque con idee e obiettivi molto chiari: sì ai residenti, sì alla muraglia musulmana, no alla distruzione della trama storica, no all’espulsione coatta di abitanti, artigiani e negozi storici, no alla morte del quartiere, no alla speculazione istituzionale o privata. La resistenza ebbe luogo sia per le strade (barricate informative, “tomatine” – lancio di pomodori a mo’ di protesta, ndt -, manifestazioni, cene popolari, partecipazione a processioni religiose popolari, conferenze, referendum, etc), che con la partecipazione a sessioni plenarie del Comune, incontrando i politici e il gruppo che si era occupato di redigere il piano.

Stiamo parlando di una lotta pre-social, eppure gli interventi riuscirono a permeare tutti gli ambiti sociali, istituzionali, politici e educativi, ottenendo appoggi dal resto dei movimenti cittadini locali. Il maggior risultato fu la creazione, da parte degli abitanti del quartiere, di un contropiano che riuscirono a far sì che fosse ascoltato e, successivamente, concordato con l’Amministrazione: tale contropiano includeva una maggior partecipazione cittadina in simili decisioni, una commissione di monitoraggio degli interventi, un intervento sulla muraglia, il mantenimento e l’attrazione di nuovi abitanti, oltre al mantenimento delle attività economiche e tutto quanto serviva a dotare il quartiere del necessario. Questo piano fu concordato nel 2004, ma qual è la situazione attuale? Niente è mai stato messo in pratica, il degrado è continuato e così la decadenza mediante diverse strategie come il permessivismo a graffiti e tag – la firma dell’artista, in gergo graffitaro, ndt -, dando così un’immagine di abbandono totale.

Altro esempio, fuori dal centro, fu il piano del Cabanyal. Con la scusa di aprire la città al mare, questo piano prevedeva l’ampliamento dell’Avenida Blasco Ibáñez fino alla spiaggia. Conseguenze: la demolizione di decine di palazzine e la successiva espulsione delle persone che le abitavano. La nascita dell’associazione “Salvem el Cabanyal” propiziò l’inizio della lotta sociale. A volte questi scontri furono aggressivi, come nel caso degli incatenamenti alle ruspe che provocarono l’intervento della polizia. Questo collettivo, insieme ad altre associazioni della zona marittima, portò le sue denunce all’attenzione delle istituzioni europee. Il piano fu bloccato, però, come in altri casi, l’effetto fu portare avanti il degrado dell’area mediante differenti strategie, come l’insicurezza, la delinquenza, il traffico di droga, dunque nuovamente decadenza, abbandono e noncuranza di fronte alle “solite” problematiche.

Potremmo andare avanti con altri casi di interventi, ad esempio nella zona di Ruzafa, oggetto di una violenta gentrificazione che l’ha trasformata in un quartiere di moda o zona cool; La Punta e l’ampliamento del porto a scapito della vita degli abitanti e senza alcun tipo di alternativa, dove le forze dell’ordine sono arrivate ad intervenire espellendo fisicamente i residenti dalle proprie case. O la zona della huerta, che circonda l’area metropolitana, dove è stato distrutto uno degli aspetti identitari del nostro contesto, dove sono stati devastati appezzamenti di terra attraverso gli espropri e abbiamo assistito alla diminuzione di zone destinate all’agricoltura in nome della crescita della città.

Tutti questi piani sono rimasti a metà, poiché le zone si sono ritrovate prive di adeguate tutele e senza un intervento specifico definito.

È molto interessante scoprire che tutti questi territori sono quelli che più tardi saranno preda di un’enorme speculazione, stavolta con la scusa del turismo. La turistificazione arriva, come nel resto d’Europa e nel resto dei continenti, anche alla città di Valencia. Valencia è stata una città totalmente indifesa dinanzi a simili interventi, nel momento di fronteggiare tali attacchi l’Amministrazione ha agito a volte intenzionalmente e altre per ignoranza. La turistificazione passa per altri processi speculativi ormai non solo locali, ma esterni e globali. Non richiede un precedente processo di abbandono e degrado ed è un’epidemia molto più aggressiva, dato che è alimentata da capitali speculativi globalizzati. Quando parliamo di turistificazione stiamo parlando di un turismo violento, massivo, di mancanza di controllo e di inciviltà nei confronti delle città ospitanti, a volte obbligate a esserlo.

Le tecniche della turistificazione sono differenti rispetto a quelle della gentrificazione, ma ottengono il medesimo risultato: spopolamento (spostamento della popolazione nelle periferie) e perdita di tessuto sociale e associativo.

Nel 2016, il Financial Times segnalò come nicchia di investimento il quartiere di Ruzafa, cosicché grandi aziende speculatrici comprarono interi edifici e gli abitanti si ritrovarono con un aumento vertiginoso dei prezzi degli affitti, fino ad arrivare ad una situazione insostenibile e al trasferimento (una famiglia paga in un mese quel che dei turisti pagano in una settimana). Dunque, questi grandi gruppi finanziari possiedono un potere trasformatore. Piano piano, si uniscono alla speculazione anche i proprietari degli appartamenti, che vedono un’opportunità di guadagno a danno della popolazione, appaiono per la maggior parte appartamenti turistici illegali, non sottoposti a controllo, in comunità di vicini a cui alterano il riposo e la sicurezza.

Anche il commercio tradizionale viene colpito, i commercianti iniziano ad avere perdite per colpa dello spopolamento e si vedono costretti a chiudere. Quartieri come Ruzafa, El Carme, Mercat o Campanar stanno diventando “quartieri-vetrina”, parchi tematici, non pensati per le persone ma per attività e turismo, perdendo così la fisionomia tradizionale. Le nuove attività, soprattutto di ristorazione e hotel, consolidano una precarietà lavorativa nei contratti e nelle remunerazioni.

Così, oltre alle associazioni e ai collettivi già presenti, appaiono nuovi gruppi a lottare contro queste problematiche, per cui tutti insieme chiedono all’amministrazione che ripensi a delle soluzioni, ma da un punto di vista globale della comunità umana, non solo da quello turistico.

Ci troviamo di fronte ad una gentrificazione che acquisisce molteplici forme, ora si opta per un modello che rivalorizza le case, incrementa il prezzo degli affitti ed espelle i più poveri. Gli spazi pubblici, le piazze, prima “conquistate” dai vicini, cambiano il loro utilizzo: se prima erano tenute vive dai giochi dei bambini, ora saranno i dehors di bar e locali a conquistare questi spazi, il pubblico a cui si rivolgono sono ovviamente i turisti.

Di fronte alla protesta e alla lotta di quartiere per conservare la dignità come cittadini, in molte occasioni questi ultimi vengono accusati di turismofobia, un’altra strategia per screditare le lotte contro il neoliberismo aggressivo a cui stiamo assistendo.

Ad ogni modo, anche di fronte alle proteste e alle lotte, questo turismo non sembra essere destinato a fermarsi: nel 2017, il Comune di Valencia ha segnalato che sono stati battuti i record di arrivo di turisti (due milioni), in un solo giorno sono arrivati 13.330 turisti con le navi da crociera. Ma tutto questo cosa apporta realmente alla città? La visita di migliaia di persone che trascorrono alcune ore, comprano alcuni souvenir, consumano nei bar o ristoranti (se hanno tempo di farlo…), producono tonnellate di rifiuti… è questo il turismo di cui abbiamo bisogno? Che misure adottano le amministrazioni? Mancano strategie per regolamentare tutto ciò, il raggiungimento di un turismo sostenibile è ancora molto lontano, gli interessi economici dei grandi gruppi sovrastano la convivenza e il diritto a una vita degna dei cittadini, che dal fondo della piramide osservano, impotenti, la sparizione di servizi essenziali di quartiere, attività tradizionali e la dismissione di spazi pubblici per la socializzazione.

Traduzione e foto a cura di Gabriella Falcone

[1] Montesinos i Martínez, J.: Ciudad, Patrimonio y Ciudadanía. Revista Ingeniería y Territorio. No 75, 2006.
http://www.ciccp.es/revistaIT/textos/pdf/12-Josep%20Montesinos.pdf
[2] La Generalitat è l’insieme delle istituzioni di autogoverno della Comunità autonoma valenciana, ndt.
[3] Ibidem (vedi nota 1).
[4] Fernández-Coronado, R., “Proceso de rehabilitación de los centros históricos. Planificación urbana y participación
ciudadana”, Arxius de Ciències Socials, 10, 2004, editorial Afers – Universitat de València, pp. 121-135.