Residenze, dal Ministero del Lavoro arriva la svolta: “L’iscrizione all’anagrafe è diritto soggettivo”

Residenze e cancellazioni, torna sul tavolo una partita che da svariato tempo sta sollevando polemiche e dubbi, in primo luogo per quanto riguarda le interpretazioni del dettato di legge, che spesso variano secondo le amministrazioni e le volontà politiche. Una questione ormai nota che però (ricordiamo che la cancellazione priva l’individuo dei più elementari diritti rendendolo un vero e proprio “invisibile”), sembrerebbe che abbia ottenuto in questi giorni una sorta di “interpretazione autentica” da parte nientedimeno che del Ministero del Lavoro, che si ritrova coinvolto nelle questioni anagrafiche per la valutazione della ammissibilità dei richiedenti al reddito di cittadinanza.

A riaprire la partita spazzando via le interpretazioni accavallatesi da parte delle PA locali, interviene una nota diffusa il 19 febbraio scorso dal Ministero del Lavoro, la nota n.1319. Un atto con cui il Ministero del Lavoro mette in chiaro le modalità che bisogna seguire nel caso in cui i cittadini richiedenti il reddito di cittadinanza non possano produrre certificazione anagrafica della residenza sul territorio nazionale continuativa per due anni. Si tratta di quei cittadini che, a causa delle cancellazioni anagrafiche intervenute per la perdita dell’alloggio, o per ragioni economiche o di disagio sociale, non possono produrre la certificazione richiesta.

La nota n.1319 del 19 febbraio scorso, oltre a riportare il combinato disposto dal DPR 223/89 e dal DL 35/2012 (che riguarda le dichiarazioni dei soggetti, che devono essere rese “nel termine di 20 giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti e sono rese e sottoscritte di fronte all’ufficiale di anagrafe che nei due giorni lavorativi successivi alla presentazione delle dichiarazioni (…) effettua, previa comunicazione al comune di provenienza, le iscrizioni anagrafiche. Gli effetti giuridici delle iscrizioni anagrafiche decorrono dalla data di iscrizione”), ribadisce che “(…..) l’iscrizione anagrafica si presenta come attività vincolata ab origine, priva di potere discrezionale nell’ambito di un potere meramente certativo della P.A., sicché in capo al cittadino richiedente, qualora ricorrano tutti presupposti, si configura un diritto soggettivo all’iscrizione”.

Il riconoscimento del diritto soggettivo all’iscrizione ha delle implicazioni importanti, di cui la nota correttamente ne dà conto. “Ne discende – continua infatti la nota – che il controllo della P.A. ha carattere meramente formale e il provvedimento di accoglimento ha natura dichiarativa e non costitutiva del suddetto diritto”. Dunque, “Si ritiene che il requisito della residenza in Italia, in via continuativa, per almeno due anni, possa considerarsi soddisfatto qualora, pur in mancanza di una continuità della residenza anagrafica sia dimostrabile l’elemento obiettivo della permanenza continuativa in un comune italiano, che per i senza fissa dimora occorre individuare avuto riguardo ai luoghi nei quali hanno svolto abitualmente la maggioranza dei rapporti sociali nella vita quotidiana”.

Andando a cogliere le implicazioni per la vita concreta dei cittadini di questa nota di chiarificazione della materia, ci si accorge che sono molto significative. Intanto, il requisito della residenza, come spiega Giuseppe Cazzato dei Cobas, “potrà quindi essere semplicemente dichiarato all’atto della domanda dal cittadino richiedente il reddito di cittadinanza. Ricadrà poi sui servizi anagrafici e sociali dei comuni interessati l’onere e le incombenze per la verifica della sussistenza degli elementi oggettivi di riscontro”. Un aggravio di lavoro senz’altro, per gli uffici dell’anagrafe, già schiacciati da altre incombenze e sotto organico anche per causa del mancato turn over che affligge le amministrazioni pubbliche da anni.

Ma se questo è il principio stabilito dalla legge secondo il Ministero del Lavoro, allora deve ragionevolmente valere per tutti i diritti e i servizi che vedono la necessità del certificato di residenza per accedervi. La cosa più semplice sarebbe però che d’ora in poi, in presenza di questi requisiti, il Comune conceda direttamente la residenza anagrafica a questi cittadini; se ciò non fosse, come spiega Cazzato, “si potrebbe arrivare al paradosso che il Comune, pur certificando l’esistenza di questi requisiti per l’accesso al Rdc, continui a non registrare o a cancellare lo stesso cittadino dall’anagrafe della popolazione residente”.

Sulla questione, dunque, si apre un nuovo capitolo. Intanto, dai Cobas giungono alcune richieste all’amministrazione comunale: intanto, che si dia ampia diffusione e visibilità, sia sul sito istituzionale del Comune che sulla stampa cittadina, della nota del Ministero del Lavoro, in modo da assicurarsi che tutti i cittadini siano informati sulla possibilità di richiedere il reddito di cittadinanza (Rdc) autocertificando il requisito della residenza; poi, che il Comune sospenda le procedure di cancellazione e ripristini le residenze per i senza fissa dimora che soddisfino i requisiti enunciati nella nota diffusa dal Ministero del Lavoro; infine, che la possibilità di autocertificazione del requisito della residenza venga estesa anche a tutte quelle prestazioni (dal bando delle case popolari, all’accesso ai servizi sociali….) per cui l’assenza del requisito preclude la possibilità di accedervi.

Infine, i Cobas e altre associazioni che si occupano del tema delle residenze fra cui Associazione Periferie al centro-Fuoribinario, Sportello Solidale di via Palazzuolo 8, Rete Antisfratto Fiorentina, sono intenzionate a chiedere un’audizione sulle problematiche in questione alla Commissione Consiliare 1 e un incontro all’Assessore competente, la vicesindaca Cristina Giachi.

*Stefania Valbonesi