Carcere di San Gimignano: 5 agenti di custodia rinviati a giudizio per tortura

A volte, raramente, quello che succede nelle carceri riesce a penetrare la cortina di silenzio, fatta di paura, intimidazione e disinteresse, e ad affacciarsi al mondo dei liberi. Anche se la notizia resta relegata nelle pagine interne dei quotidiani locali.

A volte, raramente, qualcuno trova il coraggio di denunciare, o di non tacere, anche fra gli stessi agenti di custodia, una dottoressa stila un referto medico non addomesticato, nonostante le intimidazioni, una PM segue il caso, e chiede il rinvio a giudizio per il reato di tortura per 5 agenti, e per omissione di atti di ufficio per un medico.

L’11 ottobre 2018 una squadraccia di agenti di custodia del carcere di San Gimignano si sarebbe resa protagonista (il condizionale è d’obbligo in attesa del procedimento, è d’obbligo anche ricordare che le accuse sono supportate dai filmati delle telecamere interne al carcere) di un vero e proprio pestaggio, senza motivo apparente, nei confronti di un detenuto tunisino, condannato a un anno in primo grado, in custodia per violazione degli arresti domiciliari. Forse una intimidazione rivolta a tutto il reparto – altri detenuti sono stati oggetto dell’atteggiamento aggressivo del gruppo – forse semplicemente violenza gratuita, una parola sbagliata, o la cittadinanza sbagliata. Lo dirà eventualmente il processo.

Di certo quanto accaduto nel carcere di San Gimignano non è un’eccezione: dalla “cella zero” di Poggioreale ai casi del carcere di Viterbo, da Bancali in Sardegna a Caserta. Difficile fare luce, e soprattutto arrivare a fine di procedimenti giudiziari con il clima di minacce e intimidazioni che circonda questi episodi, con il sostanziale disinteresse del “mondo libero” per quello che avviene dietro le sbarre di un carcere, con un’onda di giustizialismo manettaro ma anche truce e vendicativo, con i toni esasperati e violenti di chi coltiva i peggiori istinti della massa per semplici calcoli di consenso. Difficile ma necessario cercare sempre di tenere aperto tutte le volte che è possibile un canale di informazione e di attenzione, sulle violenze aperte e squadriste, come pure sulle condizioni spesso drammatiche di vita dei detenuti.

In tutto questo ricordiamo che il ruolo di Garante dei detenuti della Regione Toscana è vacante da diversi mesi. Franco Corleone, il precedente Garante, ha agito in condizioni di proroga fino a oltre un mese fa, ora è definitivamente cessato il suo mandato, e ha annunciato uno sciopero della fame per sollecitare il Consiglio Regionale a procedere senza ulteriori indugi alla nuova nomina.

Non ci sono giustificazioni a questa inerzia: che si proceda subito alla nomina, e, per dirla con le parole di Adriano Sofri, “bisogna sperare che la candidatura prescelta appartenga alla persona dal curriculum e dai titoli più appropriati alla responsabilità che assumerà. Mi auguro vivamente che i Consiglieri regionali se ne ricordino, e si guardino dal far prevalere calcoli di opportunità di partito e di correnti. Si tratta di andare nelle galere a vedere e auscultare le pareti sudate e i pavimenti macchiati delle celle nude, i giorni e le notti degli essere umani detenuti. Non di un titolo in più da stampare sul proprio biglietto da visita.”

*Maurizio De Zordo