Sciopero braccianti: nelle campagne mancano i diritti, non la manodopera

“Si è detto che nelle campagne mancano le braccia. Questa manifestazione, questo fiume di esseri umani è la dimostrazione che nelle campagne a mancare sono i diritti, non le braccia”. Con questa affermazione il sindacalista Aboubakar Soumahoro ha riassunto le ragioni dello sciopero dei braccianti di giovedì 21 maggio, che ha visto manifestazioni e iniziative di solidarietà in tutta Italia.

Da qualche settimana, con la pandemia e le conseguenti quarantena e chiusura delle frontiere, si era iniziato a parlare del rischio che quest’anno mancasse la manodopera nelle campagne per raccogliere frutta e verdura. Il rischio si sarebbe riversato poi sui consumatori con un’impennata dei prezzi.

Sollecitato da più parti il governo ha così inserito nel Decreto “rilancio” una sanatoria temporanea per i migranti. A preoccupare il governo non sarebbe stato quindi il fatto che migliaia di esseri umani non hanno accesso alle cure mediche (costituendo quindi un pericolo anche per gli altri) e ad altri diritti essenziali ma il rischio che la verdura marcisse nei campi… e la popolarità del governo con essa.

In effetti sono anni che si conoscono le condizioni dei braccianti, costretti a vivere in baracche e a lavorare nei campi fino a 12 ore consecutive, senza contratto e con paghe totalmente inadeguate (si parla di circa 20 o 30 euro al giorno). Il fatto di essere stranieri o italiani cambia poco: ce lo dimostra proprio Aboubakar Soumahoro ricordando Paola Clemente, bracciante di San Giorgio Jonico morta in un vigneto di Andria il 13 giugno 2015. Anche la zona geografica fa poca differenza: sono innumerevoli i casi di caporalato nel nostro paese, dalla Rosarno dove scoppiò la rivolta del 2010, ai campi di pomodoro in Salento o ai frutteti di Saluzzo (Piemonte) fino ad arrivare ai vigneti in Toscana (forse qualcuno ricorderà ad esempio il caso della vigna del musicista Sting).

Sono anni che si conoscono le condizioni dei braccianti eppure si decide di fare qualcosa solo adesso e in questo modo. Una sanatoria ritenuta da molti insufficiente perché, al di là dei proclami e delle lacrime di commozione, è funzionale solo alle esigenze del mercato e non a tutelare i diritti delle persone.

Il sindacalista cita tre punti critici: innanzitutto il fatto che molte categorie di lavoratori (ad esempio i lavoratori dell’edilizia o della ristorazione, i riders, i facchini) restano escluse dalla sanatoria. In secondo luogo l’aver riservato la regolarizzazione a coloro che hanno un permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019. Se l’obiettivo è far emergere le persone senza documenti presenti sul nostro territorio e tutelarle, per quale ragione si esclude chi ha un documento scaduto prima del 31 ottobre? Terzo punto è il fatto che si leghi il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, esponendo un migrante che ha bisogno di documenti al ricatto del padrone. A questi tre punti si può aggiungere che i migranti che fanno richiesta devono aver già avuto precedenti esperienze nei settori dell’agricoltura, allevamento, lavori domestici, assistenza o cura alla persona e possono richiedere il documento solo per continuare a lavorare in tali settori.

L’obiettivo della sanatoria sarebbe quindi esclusivamente quello di continuare ad avere manodopera nei campi a prezzi stracciati. Infatti se davvero mancassero le braccia un altro modo per attirarle ci sarebbe: quello di pagare di più. Invece si promette la regolarizzazione in cambio del lavoro in agricoltura, evitando a padroni e caporali di aumentare i salari, tutelando i profitti della Grande Distribuzione Organizzata e senza risolvere realmente i problemi legati alla clandestinità. Come dicevamo all’inizio la manodopera c’è, sono i diritti che mancano.

In piena pandemia gli scioperanti chiedono proprio questi diritti: sicurezza, tutela sanitaria, documenti, salari dignitosi, poter lavorare dove vogliono. In breve: che per una volta si pensi a tutelare le persone e non i guadagni dei padroni.

*Thomas Maerten