Affaire piazza della Signoria, proviamo a fare chiarezza

Sembra che, nonostante i proclami del sindaco Nardella sulla “Rinascita” di Firenze, il vizio di privatizzarla a uso e consumo dell’industria del turismo di lusso non sia affatto venuto meno. Lo dimostra la triste vicenda della cena di gala in Piazza della Signoria, su cui c’è ancora da fare luce.

Ricapitoliamo i fatti: il 27 luglio su La Nazione pubblica la notizia di una probabile cena di gala in Piazza della Signoria per 400 vip richiamati in città da Dolce e Gabbana, notizia mai smentita dall’amministrazione comunale, nonostante le prese di posizione della sinistra cittadina. Dopo qualche giorno ci contatta Maurizio Tocchioni, un concittadino che lavora da 40 anni nel settore del turismo. Maurizio, indignato, ci sprona a continuare la battaglia. Il 3 agosto pubblichiamo dunque i motivi per cui, Codice dei beni culturali alla mano, è illegittimo un utilizzo di Piazza Signoria che non ne preveda la fruizione pubblica. L’articolo è molto letto e suscita ulteriore indignazione, tanto che, sempre su spinta delle persone che ci scrivono,  il 12 agosto si decide di lanciare una petizione che raggiunge in due giorni diverse centinaia di firme.

Evidentemente la questione preoccupa l’amministrazione che corre ai ripari: il 13 agosto Giovanni Carta, portavoce del sindaco, pubblica una smentita in cui annuncia che non ci sarà nessuna cena di gala in piazza della Signoria. Nel frattempo il 18 agosto sull’albo pretorio viene pubblicata la delibera con cui la Giunta cittadina destina importanti palazzi pubblici della città, e la stessa piazza, agli eventi organizzati dalla Fondazione Pitti e da Dolce e Gabbana. Nel cronoprogramma allegato si prevede una sfilata nel salone dei Cinquecento – dove attualmente per i cittadini non è possibile assistere al consiglio comunale, ma evidentemente possono sfilare i modelli di Dolce e Gabbana – mentre la cena in Piazza della Signoria si è trasformata in un aperitivo. Via dei Gondi sarà chiusa al traffico pedonale mentre tutto lo spazio che sta tra la Fontana del Nettuno, la porta della Sala d’Arme e a Loggia dei Lanzi saranno esclusi al traffico veicolare e utilizzati unicamente da Dolce e Gabbana.

Sempre nella delibera scopriamo che gli introiti per le casse comunali saranno ridotti: la Giunta infatti ha “scontato” del 50% il prezzo della Cosap ed ha previsto l’esenzione di tutti gli oneri per la concessione dei beni monumentali, dato il “valore pubblico” dell’iniziativa.

Insomma, non una cena, ma un catering in piazza della Signoria ci sarà e per esso Dolce e Gabbana pagherà molto molto meno rispetto a quanto dovuto, non sappiamo ancora che porzione di piazza verrà chiusa, né quanto verrà versato nelle casse cittadine, visto che l’amministrazione comunale non ha proprio brillato in trasparenza in questa vicenda. La nostra posizione sulla vicenda la conoscete: pensiamo che l’operazione in questione sia di carattere strettamente commerciale dove il prodotto di alta moda viene presentato all’interno di una cornice autenticamente rinascimentale che non si arricchisce attraverso l’evento, ma arricchisce le cose esposte. Lo stesso succede per i cosiddetti “pezzi unici” dell’artigianato fiorentino – scelti non si sa sulla base di quale criterio – che servono a veicolare un’immagine positiva della casa espositrice, con ritorni evidentemente molto relativi per la cittadinanza e per lo stesso tessuto artigianale. Che l’operazione porti a una “rinascita” dell’artigianato, come il titolo lascia pensare, è tutto da vedere, vista la scarsissima attenzione mostrata dall’amministrazione fiorentina sulla produzione artigianale della città, non prendendo ad esempio in considerazione l’artigianato di prossimità e di strada.

Pensiamo in concreto che per far rinascere Firenze occorra un piano comunale e regionale per la rivalorizzazione del patrimonio pubblico, in modo da farne case popolari e servizi per la residenza in tutta la città, e un sostegno reale alle attività artigianali, che solo con un sostegno alla residenza – in particolare nel centro storico – e con una redistribuzione verso il basso della ricchezza – a partire dalla garanzia del diritto alla casa – potrebbero realmente rinascere.

A questo punto però vorremmo sapere. Quanto, in concreto, l’amministrazione conta di ricavare da questa cena? E in che modo conta di reinvestirne i proventi? Sono domande lecite per chi non vuole che la “Rinascita” di Firenze resti solo uno slogan preelettorale.

*Francesca Conti e Lorenzo Alba