Firenze. Università a nord-ovest. In centro “alta formazione”, mercificazione e selezione sociale

La storica facoltà di Agraria si sposta dalle Cascine al Polo scientifico di Sesto Fiorentino. La sua costruzione sarà finanziata anche con i proventi della vendita della fattoria di Montepaldi, 300 ettari di «laboratorio a cielo aperto» dell’Università di Firenze, sulle colline di San Casciano. Per farne forse un albergo di lusso o un parco a tema.

Mentre un importante pezzo dell’ateneo si allontana dalla città, il sindaco Nardella – che, fuori tempo massimo, sbotta in un «basta alberghi» – dichiara che per la città vuole «alta formazione».

Ma quale formazione è sufficientemente “alta” per il centro storico di Firenze, se da decenni l’università ne viene espulsa pezzo a pezzo?

“Alta formazione” significa istituti culturali e università straniere, da Usa, Singapore, Cina. Significa aprire le porte a facoltosi studenti – “utenti” per poche settimane del prestigioso quadro urbano – e, viceversa, chiuderle a quelli italiani, magari poveri in canna, che potrebbero investire nella città le loro migliori energie: si sa, la selezione sociale è compagna fedele della mercificazione urbana.

Con l’allontanamento di Agraria, in città si apre un altro «buco nero», come il primo cittadino definisce le aree svuotate di funzioni, non di rado edifici di valore storico-monumentale. Buco nero: un’espressione che dà la cifra del livello di incertezza che ne avvolge il destino, e che solo l’«investitore estero», privato, sembra poter rischiarare.

Per i “buchi neri” non esiste un disegno urbanistico, organico. Si procede per tasselli, per toppe, per varianti. In questo gioco, la «produzione dello spazio» (scriveva Lefebvre) non è propriamente in mano pubblica. Il potere sulle trasformazioni risiede altrove.

Eppure, proprio a partire dai nardelliani “buchi neri” si potrebbe ridisegnare il volto di una “nuova città”. Farne i nuclei di una costellazione di centri ad alta vocazione civile e sociale.

Ma vediamo come sono andate le cose. Nel trentennio neoliberista molte funzioni militari e civili hanno smesso il loro ciclo vitale, molte industrie hanno delocalizzato (per mettere a frutto la rendita di posizione). Numerose attrezzature sono invece state “decentrate” senza pianificare i vuoti che si lasciavano alle spalle. Funzioni pregiate sono proiettate, dal centro, verso le terrae nullius nord-occidentali: tribunale, la Cassa di Risparmio, ospedali e servizi sanitari, attività culturali, scuole. Non ultima, l’università.

Il polo di Novoli

L’espulsione dell’università dalla città prende il via a partire dagli anni Novanta. Le facoltà scientifiche traslano nel remoto polo di Sesto, una landa per lungo tempo neppure servita dagli autobus urbani. Le facoltà delle scienze umane – Giurisprudenza, Scienze politiche, Economia – colmano a Novoli il vuoto della Fiat, dislocata verso la Piana. Un vuoto di metri cubi e di bilancio, ripianato con i soldi pubblici. E l’errore urbanistico non è stato risarcito dalla “buona” architettura.

Ora è il turno della facoltà di Agraria. Non mancherebbero le strutture capaci di soddisfare i nuovi bisogni. La ex Manifattura tabacchi, situata a pochi metri dalla Fattoria granducale – sede storica di Agraria con i suoi terreni agricoli sperimentali –, si sarebbe prestata ottimamente allo scopo. Come le OGR. Ma nessun Piano lo prevede, né lo ha previsto.

Che ne sarà, allora, della vuota fattoria delle Cascine? O del secentesco palazzo di via Micheli, oggi biblioteca di Architettura, se ne avvenisse la (più volte ventilata) vendita? Alberghi di lusso, molto probabilmente: nessun privato comprerebbe edifici di tal fatta per non trarne il massimo profitto.

Il polo scientifico a Sesto Fiorentino

Se la città avesse esercitato una volontà pianificatoria, l’ex Teatro comunale e la caserma Cavalli – solo per fare un esempio – avrebbero potuto rispondere alle necessità della vicina facoltà di Economia, già nell’ormai angusta villa Favard e oggi a Novoli. Molte altre opportunità potevano essere colte, se si fosse agito con oculatezza.

L’esempio dei complessi di Santa Verdiana e di Santa Teresa, ex conventi ed ex carceri, reimpiegati qualche decennio fa per accogliervi le aule e i dipartimenti di Architettura, dal punto di vista urbanistico è encomiabile e andrebbe riproposto. Il quartiere ne trae giovamento e la frequentazione della città storica è una quotidiana lezione per gli studenti.

Ma forse vale di più continuare nello spreco delle risorse e degli spazi. Nel caotico consumo di aree ed edifici si creano le occasioni più appetitose per gli investitori-taumaturghi, e il passaggio dal pubblico al privato appare ineluttabile.

C’è, infine, un ultimo aspetto. Allontanare docenti e studenti, archivi, biblioteche, aule, corrisponde a indebolire la voce dell’università, il suo apporto culturale alla città, vitale e (talvolta) critico.

Ilaria Agostini