Sul confine tra legge e giustizia con Mimmo Lucano

La condanna in primo grado ai danni di Mimmo Lucano, emessa dal Tribunale di Locri, non è solo una vicenda giuridica che riguarda personalmente l’ex sindaco di Riace. A differenza di quanto si potrebbe credere, quei 13 anni e 2 mesi di carcere previsti coinvolgono tutte e tutti: non sono una ferita inflitta unicamente a chi si occupa di migranti o si sente politicamente affine a Lucano, sono una pessima notizia anche per i suoi detrattori.

Per comprendere le molteplici sfaccettature che caratterizzano questa storia, iniziamo dalla vicenda umana che ha travolto Mimmo Lucano. Era il 2004 e Mimmo, detto u’ curdu (il curdo) o Mimì capatosta (Mimmo testa dura, Mimmo il testardo), divenne per la prima volta sindaco di Riace e nelle successive elezioni la città gli confermò un secondo mandato (2009-2014) e poi un terzo (2014-2018), due conferme rispetto al suo operato come sindaco. La sua è stata una carriera politica all’insegna dell’impegno nel trasformare uno dei tanti borghi calabresi abbondati in un laboratorio di solidarietà e inclusione sociale in cui accogliere e restituire un futuro ai tanti migranti che approdano lungo le coste calabresi. La trasformazione di Riace in uno Sprar è coincisa con l’impegno di Lucano nel contrastare la ‘ndrangheta, che colpisce in modo particolare il territorio della Locride, in cui è collocata anche Riace.

Chi vive in Calabria spesso ha la sensazione di trovarsi nella periferia del mondo, in cui nulla accade e tutto è immutabile. Mimmo ha fatto sentire le e i calabresi parte di un processo importante che stava contribuendo a ridefinire le regole del gioco politico, almeno in termini di accoglienza e gestione del territorio. Riace, un pezzo di quella Calabria spesso dimenticata, era diventata un modello e Mimmo, un calabrese, un simbolo in tutto il mondo. Attenzione però, Mimmo Lucano non è l’eroe che ti aspetti: la prima volta in cui lo incontrai, poco prima dell’inizio della tempesta giudiziaria, ero intimorita dall’idea di ritrovarmi davanti a un uomo-simbolo, invece rimasi stupita dallo spettacolo che mi si presentò davanti. Avevo di fronte un uomo col viso e lo sguardo da bambino, la voce un po’ tremante e imbarazzata di chi non ama troppo stare al centro dell’attenzione ma che muore dalla voglia di condividere l’entusiasmo per un progetto. Mimmo non è il grande stratega calcolatore, ma un uomo con una straordinaria intelligenza emotiva che ha deciso di impegnare tutto sé stesso nel trasformare un’intuizione in un progetto concreto, con tutti gli sbagli che questo può comportare.

Ma nel 2017 qualcosa si rompe e quel sogno comincia ad infrangersi: la prefettura di Reggio Calabria iniziò a vagliare aspetti tecnici e contabili di Riace e sorsero i primi dubbi su presunte irregolarità nella gestione del sistema di accoglienza. Quelle presunte irregolarità spinsero l’allora Ministro degli Interni Marco Minniti, del Partito Democratico, a sospendere l’erogazione di fondi al comune di Riace. Nel 2018 la situazione precipitò ulteriormente quando il Gip di Locri, su richiesta della Procura e dopo l’operazione “Xenia” condotta dalla Guardia di Finanza, predispose gli arresti domiciliari per Lucano. Le accuse riguardano il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e gli illeciti commessi nell’affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti.

Allo scattare dei domiciliari mezza Italia si mobilitò e inondò le strade di Riace con una manifestazione. Di quel giorno resta vivida l’immagine di Mimmo affacciato alla finestra col pugno chiuso, ma di quel giorno personalmente conservo un ricordo agrodolce. Da un lato la bellezza di una piazza che sti stringeva attorno a quel simbolo di solidarietà; dall’altro lato le porte delle e dei riacesi chiuse con loro in casa a osservare gli intrusi che in quel momento invadevano il loro borgo.

Dopo due settimane, gli arresti domiciliari furono ritirati e sostituiti con il divieto di dimora e la sospensione dalla carica di sindaco, da allora tutto iniziò a cambiare davvero: lo Sprar fu chiuso e, dopo nuove elezioni, la guida del paese passò sotto le mani della Lega.

All’inizio del 2019, il divieto di dimora fu revocato dalla Cassazione e la Suprema Corte fece vacillare l’intero impianto accusatorio che gravava su Lucano. Tuttavia, qualche mese più tardi Lucano ed altre 26 persone furono rinviati a giudizio per abuso d’ufficio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Lo scorso 30 settembre, pochi giorni prima delle elezioni regionali in Calabria nelle quali corre anche Mimmo Lucano in sostegno di Luigi De Magistris, è arrivata la sentenza: cadono le accuse di concussione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per falsità commesse mediante il rilascio di documenti d’identità a non aventi diritto; ma Lucano viene condannato, in concorso con gli altri imputati, per associazione a delinquere e per una serie di reati-fine tra cui l’abuso d’ufficio, la truffa aggravata con riferimento alla gestione dei progetti per l’accoglienza, la falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale, il peculato, la falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale, l’abuso d’ufficio relativo all’affidamento diretto del servizio di raccolta differenziata ad alcune cooperative del luogo. Nonostante l’accusa avesse chiesto 7 anni e 11 mesi di reclusione per Lucano, il Tribunale di Locri lo condanna a 13 anni 2 due mesi.

Venerdì 1° ottobre Riace diventa nuovamente teatro di una manifestazione in solidarietà di Mimmo Lucano, ma Mimmo non è più lo stesso uomo col pugno alzato alla finestra: è un uomo ferito che ha paura di restare solo e che non trattiene le lacrime ed il dolore.

«Questa è una brutta botta perché incide su tutto: non posso candidarmi più al comune, se vengo eletto alla regione non ha più alcun valore, mi hanno interdetto per cinque anni dai pubblici uffici e non posso più nemmeno tornare a scuola. È una situazione precaria, la solidarietà resiste però lo sai come funziona? Non lo so, devono passare un po’ di giorni», mi confessa in una conversazione fugace tra un abbraccio e l’altro. Cosa resta ad un uomo che ha fondato la sua intera vita sull’impegno politico e civile se questi due aspetti della sua esistenza gli vengono negati?

La manifestazione a Riace dura qualche ora ed è scandita dai discorsi di politici, giornalisti, attivisti e artisti che esprimono la propria vicinanza a Mimmo: da Barcellona interviene anche la sindaca Ada Colau che parla di Mimmo come di un esempio da seguire per la costruzione di un mondo diverso basato sui valori dell’accoglienza ed in cui la diversità è vista come un valore e non come un problema.

Ma oltre ogni discorso, oltre ogni retorica, cosa resta di quella piazza? Resta il senso di ingiustizia e sfiducia verso le autorità giudiziarie e questo è un problema che riguarda tutte e tutti. Se un pezzo di Stato, il potere giudiziario, è considerato ingiusto si crea un corto circuito con la cittadinanza e questa sfiducia è dannosa per il benessere dell’istituzione democratica nel suo complesso. Esiste un rapporto tra legge e giustizia, le due non sempre coincidono ma c’è una circolarità tra loro: se l’applicazione di una legge si discosta troppo dal senso comune di giustizia si rompe il precario rapporto che lega la società civile alle istituzioni.

Questa vicenda sottolinea un altro problema, sempre connesso al rapporto di sfiducia che si è creato tra cittadini e istituzioni, che riguarda tutte e tutti: il bisogno di simbolo. Mimmo Lucano è stato innalzato a simbolo dell’accoglienza, di un’altra sinistra possibile, di un altro mondo possibile, ma perché questo è un problema? Da un lato evidenzia il nostro senso di smarrimento come cittadini, non sentendoci rappresentati dalle nostre istituzioni sentiamo il bisogno di rifugiarci in persone-simbolo che ci diano coraggio facendoci sentire meno soli e dalla parte giuste; dall’altro lato questa simbolizzazione deumanizza le persone che ne sono vittime. Se è sempre sbagliato deumanizzare qualcuno, dimenticare che è una persona e sfruttarne l’immagine per proprio tornaconto politico, oggi più che mai non possiamo dimenticare che Mimmo Lucano prima che un simbolo è una persona spaventata e ferita. Se la solidarietà è un valore fondamentale per la società in cui vorremmo vivere, oggi più che mai è importante essere solidali con un uomo investito da una tragedia personale, e la solidarietà si esprime in primis riconoscendo di avere davanti una persona e non un mero simbolo.

C’è un ultimo aspetto di questa vicenda che riguarda soprattutto le cittadine ed i cittadini calabresi: domenica si andrà al voto e Mimmo Lucano e tra i candidati con la sua lista Un’altra Calabria è possibile, ma che ne sarà dei suoi voti? Secondo l’articolo 8 della legge Severino, in riferimento da quanto previsto dall’articolo 314 del Codice penale sul peculato e in riferimento all’articolo 323 sull’abuso d’ufficio, se Mimmo Lucano sarà eletto sarà sospeso. Questo che cosa significa? Essendo la sentenza di Lucano non definitiva, se sarà eletto consigliere regionale sarà sospeso dalla carica per un massimo di 18 mesi in cui il suo posto resterà vacante. E poi? Se in Appello la condanna non sarà confermata, Lucano siederà a tutti gli effetti in Consiglio regionale, se al contrario la condanna sarà confermata la sua carica decadrà e subentrerà la candidata o il candidato con più voti dopo Lucano.

Francesca Pignataro