Come il mio corpo è diventato un corpo politico

Il 27 ottobre il Senato sarà chiamato a discutere nuovamente del Disegno di Legge Zan, già approvato dalla Camera.

Proprio per questo motivo, le prime voci a cui dar spazio nella rubrica “Voci dalle lotte”, vogliamo siano quelle provenienti dal fronte delle persone discriminate a causa del proprio sesso, della propria identità di genere, del proprio orientamento sessuale e/o in quanto persone disabili.

Prima di ascoltare, apriamo una brevissima parentesi per ricordare di cosa parla il DDL Zan e per ripulire la mente dalla disinformazione diffusa dagli esponenti della destra, anche durante la precedente discussione in Senato. Il DDL n.2005, promosso dal deputato Alessandro Zan del Partito Democratico, è una misura volta a prevenire e contrastare le discriminazioni e le violenze fondate sul sesso, sul genere o sulla disabilità. Non approfondiremo gli aspetti giuridici della legge e non decostruiremo le critiche pretestuose mosse dalla destra, ma ci limiteremo a raccontare alcuni dei motivi che rendono impellente la legge per una parte della popolazione. 

La prima voce a cui restituire risonanza, per questa unica e solo volta, vorrei fosse la mia. A parlare sarà Francesca, una ragazza di 24 anni la cui identità è composta da più pezzi e qui ne condividerà due dei tanti: è una persona disabile e non eterosessuale.

Francesca ha deciso di definirsi “disabile” e non “persona con disabilità” per un preciso posizionamento politico: pensa che non sia lei ad esser caratterizzata dalla sua disabilità, ossia l’albinismo che la rende ipovedente, ma che sia la società a disabilizzarla non offrendo servizi accessibili o capaci di rispondere ai suoi bisogni e alle sue esigenze.

Ad esempio, una persona quasi cieca non può guidare, e perché questo dovrebbe essere un problema della persona? Guidare un’auto è utile per raggiungere una meta; l’importante non è la guida in sé, ma poter arrivare nel luogo designato. Il problema, in quest’ottica, è non avere i mezzi per arrivare nel posto in cui si vuole e non poter contare su un buon trasporto pubblico. Questo è disabilizzante. Francesca è nata albina, cioè con una mutazione genetica che inibisce la produzione di melanina, ma ha scoperto di essere disabile solo crescendo e confrontandosi col mondo. Negli occhi di chi la guardava, nelle parole che si sentiva rivolgere e nei discorsi su di lei sentiva di avere qualcosa in meno. Non credo possa mai dimenticare la domanda che una sua vicina pose a sua madre: “ma perché ti preoccupi tanto della scuola dove andrà? Tanto che può fare lei? Finita la scuola starà a casa”.

Francesca è cresciuta come una persona con disabilità e solo studiando e acquisendo consapevolezza di sé ha imparato a pensarsi come persona disabile, riconoscendosi come membra di una minoranza oppressa da parte di una società costruita escludendo le persone come lei e che continua ad essere ancora poco accessibile.

Francesca, riferendosi al proprio orientamento sessuale, ha optato per un generico “non eterosessuale”, ma entriamo più nel dettaglio. Da piccola non ha mai considerato un problema il fantasticare su un bambino o una bambina, ma crescendo spontaneamente ha dato per scontato che le uniche relazioni possibili fossero quelle tra un uomo e una donna. Non considerava il resto sbagliato, è che non pensava affatto esistesse un resto. A 14 anni ha visto due ragazze baciarsi, una delle due era una sua amica, e le si è aperto un mondo: aveva scoperto di essere bisessuale perché l’unica cosa che la turbava di quel bacio era che una di quelle ragazze non stesse baciando lei. Per lei non era un problema, ma le pressioni sociali sono tante e preferì non pensare anche alla sua bisessualità. Ancora era impegnata nella sua personale lotta a non sentirsi un peso morto o una persona con qualcosa in meno solo perché disabile, sapeva che fare coming out non sarebbe stato neutrale e non aveva le energie per combattere su un doppio fronte. Sentiva lo stigma che gran parte del mondo attorno a lei proiettala verso chi usciva dal tracciato dell’eteronormatività.

Ci vollero i 20 anni per uscire fuori dall’armadio e iniziare a dirlo, ad affermare la propria bisessualità. Ma in questi quattro anni Francesca ha capito che forse quell’etichetta è anche troppo limitante: al mondo non esistono solo uomini e donne e non è vero che il mondo che va oltre il binarismo non mi interessi. C’è chi chiama questo essere pansessuali, ma è un termine più nebuloso e di non immediata comprensione per tutti, se qualcuno lo chiede Francesca preferisce dire di essere bisessuale per semplice comodità. In fondo, le etichette servono a questo: a semplificare degli aspetti del mondo per renderli più comprensibili a noi stessi e a chi ci orbita attorno. 

Perché questa digressione sulla mia vita privata? Non perché sia particolarmente interessante, ma perché credo riassuma il percorso accidentato di una persona che col tempo ha cercato di capire chi fosse e di liberarsi dal peso dei pregiudizi. Questo percorso penso accumuni tante persone che con fatica hanno capito chi sono o, seppur sapendolo, hanno trovato il coraggio di affermarlo.

Il DDL Zan non ha solo una funzione punitiva verso chi commette delle violenze, ha l’ambizioso obiettivo di prevenire le possibili violenze.

Perché le persone hanno paura di esprimere se stesse? Perché Francesca ha impiegato tanti anni prima di dichiararsi bisessuale? Per paura delle reazioni degli altri e per paura delle possibili ripercussioni. Creare dei momenti di sensibilizzazione sui temi della disabilità, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere significa lavorare sullo sradicamento di quei pregiudizi che generano poi violenza o discriminazione. Parlare dei temi significa creare conoscenza e consapevolezza attorno a quei temi stessi, significa dare i mezzi alle persone di conoscersi e di conoscere gli altri senza esserne spaventati. 

Più che barricarsi dietro il proprio conservatorismo, dietro la comoda e rassicurante idea che esista una normalità capace di scandire le nostre intere vite lasciando tutto immutato nel tempo, e quindi liberandoci dall’ansia del doverci mettere alla prova e scoprire qualcosa di nuovo, l’approvazione di questo disegno di legge sarebbe un primo passo per aprirsi al mondo con minor paura. 

Francesca Pignataro