La Mala fimmina di Instagram: prospettive di un femminismo siculo

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Il nostro cammino attraverso storie di lotta prosegue cavalcando la quarta ondata femminista e la nostra compagna d’avventura sarà Claudia, alias La Mala fimmina su Instagram. Claudia è un’economista siciliana esperta in studi di genere, e La Mala fimmina è il suo progetto online attraverso il quale, utilizzando lo spazio virtuale di Instagram, fa divulgazione su tematiche femministe.

Sul profilo di La Mala fimmina si approfondiscono i temi delle disuguaglianze di genere e si parla di sessualità e delle discriminazioni legate alla propria identità di genere o al proprio orientamento sessuale, ma la prospettiva che Claudia adotta è particolare perché alla prospettiva di genere affianca un’attenzione particolare alla questione meridionale. Claudia non è solo una femminista, ma è anche una donna siciliana e sono le sue origini, assieme alla sua storia personale, a rendere unico il suo punto di vista sul movimento femminista italiano.

Foto di Francesca Pignataro

Il movimento femminista ha una storia lunga due secoli ed è stato caratterizzato da una pluralità di voci e prospettive. Potremmo parlare di un movimento ondivago e ogni ondata ha portato con sé delle questioni nuove e ha fatto spazio a soggettività fino ad allora silenziate nel dibattito pubblico. Questa graduale apertura a diverse soggettività ha consentito al movimento di diventare intersezionale riconoscendo l’esistenza di discriminazioni multiple, le quali attraversano la vita degli individui e si intersecano aumentano le discriminazioni vissute da chi appartiene contemporaneamente a più gruppi sociali marginalizzati e/o vittime di violenze.

Ma oggi il movimento femminista italiano quali voci dimentica? Lasciamo che a raccontarlo sia la nostra mala fimmina Claudia.

«Per me il movimento femminista è il movimento politico su cui ripongo la mia totale fiducia, per me è l’unico movimento che oggi può cambiare il mondo (gli altri movimenti non lo so), ma solo nel momento in cui il femminismo sa mettersi in discussione cercando di includere altre prospettive. Io mi sono unita ai movimenti femministi in Spagna, quando facevo l’Erasmus, e poi ho intrapreso la magistrale in studi di genere e delle donne a Bologna. Studiavamo in una prospettiva di Italia unitaria e quindi studiavamo le femministe italiane degli anni ’60, tutti i movimenti che c’erano stati anche prima, ma comunque li studiavamo come se l’Itala fosse un territorio unitario, come se si potesse parlare del femminismo italiano con una sola voce. Io non avevo ancora coscienza delle mie origini, non solo come persona ma anche come femminista. Succede che torno in Sicilia, dopo aver finito la magistrale, e mi rendo conto che la mia prospettiva è peculiare perché ho una storia ben precisa di appartenenza territoriale e di genealogia. Molte delle donne e delle persone all’interno dei movimenti che mi hanno ispirato vengono da qua e sono più del sud che non dell’Italia. A quel punto mi dico “bene, si dovrebbe parlare di questione meridionale all’interno del femminista”»

Foto di Francesca Pignataro

Ma essere femminista a Bologna è diverso rispetto ad esserlo a Palermo?

«È molto diverso e lo dico con cognizione di causa perché lo sono state in entrambi i luoghi. In primis, a Bologna ero studentessa e riuscivo egregiamente a camparmi, nel senso che venivo pagata abbastanza, se non di più, per il lavoro che facevo e riuscivo a pagare proprio tutto. Quello che succede a Palermo è che fino ad oggi ho saltellato da un lavoro ad un altro per tentare di sopravvivere, con scarsi risultati, nel senso che sicuramente sono una privilegiata e non mi capiterà mai di patire la fame, però è anche vero che vorrei riuscire ad essere una persona autonoma e indipendente e qui a Palermo è molto più difficile farlo. Ok, è difficile per tutti ma soprattutto per una donna o un’appartenente alla comunità LGBT+.
Ma anche da un punto di vista culturale. Io ho preso Bologna, che è una delle città più vive dal punto di vista dei movimenti politici e queer, mentre a Palermo fino a 5-6 anni fa c’era scarsità di eventi culturali o riunioni politiche. Forse ero io che non ci facevo caso, però in realtà a detta di tutti c’era una mancanza di partecipazione e di interesse. Per deformazione professionale da economista, io mi rifaccio sempre al vile denaro, però effettivamente anche per organizzare un bellissimo evento culturale ti sermono i soldi per farlo. In sostanza, la deprivazione economica e poi culturale e poi sociale»

Nell’ottica di includere una prospettiva regionalista nel movimento femminista italiano, si può parlare di una specificità del femminismo siculo?

«Nessuno ha parlato mai di femminismo siculo, che io sappia, e neppure di declinazione siciliana del movimento nazionale. Esiste “Non una di meno” a Palermo e a Catania, però fanno fatica ad essere movimenti autoctoni. Tra l’altro non sono neppure movimenti nazionali, è un movimento argentino che viene trasporto in Italia che poi viene trasposto in Sicilia. Magari facciamo il movimento inverso, partiamo da noi e da quelle che sono le nostre esigenze.
Le peculiarità del femminismo siculo coincidono che le peculiarità di essere sicilian* piuttosto che di un’altra regione, nel senso che noi prima di tutto siamo isolan* con tutto ciò che significa: per esempio, l’importanza che diamo al mare non solo in senso romantico, ma proprio all’orizzonte. Quando vivevo a Bologna io avevo una sensazione di claustrofobia, nonostante i portici siano molto belli a me non danno la visione dell’orizzonte che io a Palermo ho quasi sempre a meno che io non stia lavorando. In generale, se voglio andare al mare, io so che ho questa visione. Sembra una stronzata romantica, ma ti forma un sacco come persona e come personalità e anche le tue priorità di vita»

Cos’è che la Sicilia potrebbe dare al femminismo nazionale?

«Quello che dico e che tento di fare è denunciare che nel movimento femminista non si parla di questione meridionale e di diseguaglianza tra nord e sud e invece questo, secondo me, darebbe al movimento nazionale più consapevolezza e più cognizione di causa, perché se io pretendo dal governo nazionale una determinata cosa, ma non so le condizioni di vita degli abitanti della Sicilia o della Calabria o di un’altra regione, che cosa sto chiedendo? Magari quella cosa va a vantaggio solo di una parte della popolazione e quindi forse sarei più coerente con le finalità del movimento femminista, se adottassi anche questa prospettiva. D’altra parte, e qui mi rifaccio molto al movimento spagnolo, riprendiamo una ricchezza culturale e sociale: le personalità che sono nate o passate dalla Sicilia. Ci sono delle storie tradizionali che magari non ci aspettiamo che esistano. Un’antropologa ha studiato le donne pescatrici delle isole Eolie, che rimanevano nelle isole quando i mariti andavano a lavorare come muratori o comunque lavori di questo tipo nella Sicilia più grande, e loro rimanevano su queste isole, ma dovevano comunque campare e dunque imparano tutti quei mestieri che in altre regioni erano preclusi alle donne. Magari sapevano pescare, costruire o fare le reti e ci sono le storie di questa antropologa di donne che partorivano sulle barche o in spiaggia perché anche incinta di nove mesi dovevi mangiare, anzi dovevi mangiare per due, e quindi figurati se non dovevi uscire a pescare.
Ma anche la storia di Rosa Balistreri, la prima cantautrice italiana, è siciliana ed è molto siciliana anche nelle sue canzoni e non sarebbe Rosa Balistreri se non fosse nata in Sicilia.
O la storia di Massimo Milani che è il fondatore nazionale di Arcigay, ma ha fondato Arcigay a Palermo come idea, cioè far rientrare nell’arci la sezione legata in primis all’omosessualità, che poi ha integrato molto altro, e questa storia parte da qui. Immagina Palermo, anni ’80, anni di mafia, c’era il coprifuoco e non si poteva stare nelle strade oltre un certo orario perché poi diventava pericoloso. A Massimo e a Gino, che è il suo compagno, viene l’idea di creare il primo locale gay di Palermo»

E come nasce, invece, il progetto di Mala fimmina su Instagram?

« Io questi ultime cinque anni li ho passati per la maggior parte all’estero: Colombia, Spagna, Bologna – Bologna per dire estero – e poi di nuovo in Spagna e poi di nuovo in Colombia e ad un certo punto sono tornata. Quello che ho fatto è stato un grande viaggio, tipo Ulisse, ed ho imparato tantissime cose e conosciuto tantissimi progetti; quindi, ho immagazzinato un bagaglio pieno di esperienze che mi ritrovo adesso e sono tornata con queste consapevolezze.
È da qui che nasce il progetto di Mala fimmina, probabilmente se io non avessi fatto tutti questi giri non sarebbe mai nato perché io non avrei acquisito tutta questa consapevolezza. Vedo che molte persone, soprattutto a causa della pandemia, sono tornate in Sicilia e tornano con una consapevolezza rinnovata, che poi mettono in pratica nell’organizzare l’evento X, o creando un collettivo, o ideando un festival; questo secondo me potrebbe aver influito molto».

Francesca Pignataro

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Francesca Pignataro

Dal ‘97 mi aggiro nel mondo chiedendo “perché” e ho una forma di repulsione verso le risposte semplici a problemi complessi. Studiando moltiplico le mie domande, scrivendo cerco delle risposte e l’umanità preferisco osservarla dai margini con le lenti dei miei occhiali che sfumano dal viola del femminismo al rosso del marxismo.

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