La battaglia del database: rom e diritti

  • Tempo di lettura:3minuti
image_pdfimage_print

MANIFESTAZIONE ROM DI ETNIA SINTI CONTRO LE SCHEDATUREIl 15 gennaio è scaduto il termine che il garante della privacy ha assegnato al Comune di Firenze per fornire chiarimenti circa l’esistenza di quello che, secondo un’intervista della Repubblica dello scorso marzo all’attuale sindaco e all’allora comandante della polizia municipale, sarebbe un “database dei vigili”, una “mega mappa” relativa ai mendicanti con “foto, numero di verbali fatti, dove dormono, quanti sono, se hanno disabilità, quanto guadagnano e perché lo fanno”.

Come riferito da alcuni articoli usciti sull’edizione nazionale e su quella locale di Repubblica, la richiesta del garante fa seguito a un procedimento giudiziario avviato da un gruppo di legali fiorentini per conto di alcune mendicanti dopo che una loro richiesta di accesso agli atti presentata sulla base della legge sulla privacy non aveva avuto riscontro. Gli stessi legali tempo prima avevano presentato, per conto delle signore, scritti difensivi contro una serie di contravvenzioni per mendicità, anche questi rimasti senza risposta. È inevitabile riconoscere che per molti cittadini questo non è un tema appassionante, e che per molti la prima reazione sarà, anzi, di ritenere che i mendicanti sono un gruppo umano fastidioso e intrinsecamente sospetto, e quindi ben venga una loro schedatura.

Chi voglia andare oltre gli aspetti della vicenda che più hanno fatto notizia (“I mendicanti contro il sindaco”) potrebbe anzitutto riflettere sulla banalità degli atti compiuti dalle mendicanti tramite i loro legali. Le tre signore hanno semplicemente utilizzato le modalità di ricorso che il Comune scrive sul retro dei verbali di contravvenzione, chiesto se vi sono informazioni su di loro presso l’amministrazione, insistito una volta non ottenuta la risposta alla quale il Comune è obbligato per legge.

Il silenzio dell’amministrazione e la percezione dell’opinione pubblica che queste iniziative siano una “notizia”, in virtù delle caratteristiche delle persone coinvolte, hanno probabilmente la stessa radice. Nelle relazioni tra autorità pubbliche e soggetti socialmente marginali non è, infatti, sempre scontato che valgano le stesse regole del gioco applicate nei confronti delle persone rilevanti per l’economia cittadina o politicamente attive (almeno al momento delle elezioni), o ancora meglio entrambe le cose.

Questo fenomeno, purtroppo, è legato in gran parte alla percezione di alcune categorie di persone come escluse dagli ordinari diritti di cittadinanza, e in particolare dal diritto di difendersi contro possibili abusi. Certamente, l’immigrazione dai paesi extra UE ci aveva già progressivamente, impercettibilmente, abituati a coesistere con persone che per il loro status hanno difficoltà a difendersi contro eventuali prevaricazioni da parte dell’autorità. Negli ultimi anni, in particolare nei grandi centri urbani, si è assistito inoltre ad un’accresciuta pressione di polizia verso le persone percepite come “Rom” o “zingare”, tra l’altro curiosamente “denazionalizzate” da molti media che, attribuita quest’etichetta, sembrano ritenere irrilevante la cittadinanza. Parlando proprio di mendicanti sembra poi esservi una sorta di presunzione di “ziganità”, ed è interessante notare come i social media che hanno rilanciato la notizia di Repubblica abbiano sempre dato per scontato che di Rom/zingari/nomadi si parlasse anche se nulla nella descrizione delle persone coinvolte faceva riferimento alla loro identità etnica.

A Firenze, la grande visibilità (a volte basata su dettagli superficialissimi, come certi tipi di abbigliamento) assunta da specifici gruppi rom che praticano la mendicità in centro ha portato a una moltiplicazione del pregiudizio, cumulando quello verso i mendicanti con l’antiziganismo, che nella stampa locale è moneta corrente e si trasforma in pressione politica sull’amministrazione. Su questo sfondo, è legittimo voler verificare che l’attività della Polizia urbana sia svolta, anche nei confronti di chi è classificato come “rom” in maniera non puramente emergenziale e sia accompagnata dalle garanzie che spettano a ogni cittadino.

In fondo, nel caso della “battaglia del data base” dovremmo essere grati alle tre signore (le quali, per inciso, hanno poco di “stereotipicamente” Rom) che – superata l’iniziale diffidenza verso avvocati e simili – hanno voluto contribuire all’avvio di un microesperimento sulla tenuta dello stato di diritto nella nostra città.

Alessandro Simoni
insegna Sistemi giuridici comparati all’Università di Firenze

The following two tabs change content below.

Alessandro Simoni

Alessandro Simoni, professore di Sistemi giuridici comparati all’Università di Firenze

Ultimi post di Alessandro Simoni (vedi tutti)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Captcha *