L’Europa del Nawru

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Not accelleration wages rate of unemployment.

Tasso di disoccupazione che non aumenta i salari.

Premessa

1 – Riteniamo che in tutti i problemi anche a dimensione locale e di natura particolare, sia presente, direttamente od indirettamente, l’ordinamento generale del sistema sociale, per cui la loro comprensione richiede di collegare la specificità del caso all’elemento sistemico che vi si concretizza. Pertanto, definire correttamente i termini dei problemi è premessa indispensabile per affrontarli e risolverli efficacemente.

2 -Quando ci confrontiamo col tema del lavoro sul piano locale e nazionale (disoccupazione, precarizzazione, smantellamento programmato dei diritti sociali, bassi salari e via dicendo), incontriamo inevitabilmente l’attuale Unione Europea e le sue normative.

Unemployed_men_queued_outside_a_depression_soup_kitchen_opened_in_Chicago_by_Al_Capone,_02-1931_-_NARA_-_5419273 -Sappiamo che l’attuale Unione Europea nasce con il trattato di Maastricht del 1992, aggiornato dai successivi fino all’ultimo, il Trattato di Lisbona. L’Europa di Maastricht costituisce sostanzialmente una soluzione di continuità con la precedente Europa della Ceca, dell’EURATOM e del Trattato di Roma del 1957.

4- La prima Europa nasce con una forte impronta politica, anche se inizia il processo di unificazione sul terreno economico, con lo scopo di superare e mettere fine alle rivalità nazionalistiche dei principali Stati europei, nutrite di robusti interessi economici e di ambizioni espansionistiche militari, sfociate nella tragedia delle due guerre mondiali (la seconda guerra dei Trent’anni). E’ all’interno di questa Europa che l’economia europea (come quella capitalistica mondiale) conosce la sua più alta crescita (i Trenta gloriosi), sia rispetto al passato che al periodo successivo, la creazione dello Stato sociale, l’espansione dei diritti di cittadinanza con il completamento dei diritti sociali, la politica economica di pieno impiego della forza lavoro, un momento alto della vita democratica. Il sociologo Dahrendorf sintetizza quel momento storico con l’equazione fra crescita economica – diffusione del benessere sociale – democrazia politica. Nel decennio Settanta del Novecento, l’economia capitalistica socialmente regolata (compromesso capitale/lavoro) entra però in una grave crisi strutturale che si manifesta nel fenomeno della stagflazione.

5- La causa strutturale della crisi risiede nella caduta del saggio di profitto che si manifesta fino dal decennio Sessanta. Per il sistema capitalistico la fuoriuscita dalla crisi non può che consistere nel ripristinare le condizioni che assicurino la ripresa della redditività del capitale. Il primo passaggio è la rottura del patto sociale postbellico, in modo da svincolare il processo economico dal precedente condizionamento politico e passare alla regolazione economica della politica. Sul piano ideologico il neoliberismo sostituisce il keynesismo sociale. Inizia così la controriforma sociale ad opera di governi ormai interamente subordinati alle istanze capitalistiche.
Nel contempo prendono corpo la ristrutturazione capitalistica attraverso la libertà di movimento dei capitali, la delocalizzazione produttiva verso aree a bassi salari, mettendo in concorrenza le masse salariali asiatiche con i lavoratori europei, le privatizzazioni, le deregolamentazioni e le liberalizzazioni. L’attacco al salario ed ai diritti dei lavoratori diventa il polo di orientamento della politica economica. Anche perché il recupero del saggio di profitto richiede poi la sua realizzazione in mercati ormai a dimensione globale, la cui espansione è però limitata e lenta. Gli alti salari occidentali perdono pertanto la precedente funzione di assicurare la domanda necessaria nel quadro di un’economia prevalentemente nazionale.
Ora però per l’impresa sono un puro costo da ridurre al minimo a fini competitivi in un contesto concorrenziale in scala mondiale. Non solo, ma in questa prospettiva di crescita limitata l’accumulazione capitalistica si indirizza in misura crescente verso la forma finanziaria. Ovvero, il profitto realizzato delle stesse imprese produttive viene dislocato prevalentemente nella finanza, i cui attivi crescono vertiginosamente sostenuti dall’inflazione finanziaria creata dall’immissione in quel settore di una enorme massa di liquidità da parte delle banche centrali. La crisi iniziata nel 2007 non ha alterato questo quadro, anzi lo ha irrobustito con l’aggiunta di interventi governativi di salvataggio di banche e fondi di investimento, che hanno appesantito il debito pubblico, per coprire il quale si intensificano le politiche antisociali.

6 – L’Europa di Maastricht nasce nel quadro della controrivoluzione sociale iniziata nel decennio Ottanta, sullo sfondo del processo capitalistico appena descritto. Non sorprende perciò se nei lavori preparatori (libro bianco Delors ed altri) si legga che i diritti sociali sono ormai incompatibili con la necessità delle imprese europee di competere sui mercati mondiali. Come pure è rilevabile la base teorica neoclassica dei trattati nel concetto di un’economia di mercato (capitalistico) portata a raggiungere uno spontaneo e naturale equilibrio, nel programma di mercificazione dei servizi pubblici e via dicendo.
Per di più con l’euro si raggiunge in pieno il sogno ideologico di una moneta sottratta a qualsiasi controllo politico, consegnandone la gestione alla Banca Centrale Europea assolutamente indipendente e, quindi, in grado di svolgere una vera e propria funzione politica di controllo e di indirizzo dei governi. Si tratta di un’Europa che unisce alla sua natura antisociale una sostanziale istanza antidemocratica, espressamente enunciata fino dal momento della sua creazione (vedi in proposito l’appendice sottostante). In sostanza ai cittadini europei è stata sottratta la sovranità nazionale senza però alcun recupero a livello sovranazionale europeo. In tal modo le sfere decisionali sono ormai di pertinenza di organi privi di effettivo controllo democratico (Commissione, Consiglio, Banca Centrale Europea), mentre alle istituzioni nazionali resta riservato il compito di eseguire le direttive impartite dall’alto. E’ questo il contesto da cui esce il Nawru, come normativa europea inderogabile cui devono sottostare i nostri paesi.

Il Nawru, ovvero l’obbligo della disoccupazione di equilibrio

Occorre premettere che l’obbligo del Nawru è strutturalmente dipendente dal Fiscal Compact. Quando il nostro parlamento, (parlamento delle larghe intese e governo Monti) ha approvato l’accettazione del Fiscal Compact e, per rendere ancor più stringente quel vincolo, ha addirittura costituzionalizzato il pareggio di bilancio, ha posto il paese sotto il peso di impegni onerosissimi.

Per cominciare a capire di cosa si tratta sono necessarie alcune premesse chiarificatrici.

Il Fiscal Compact ci obbliga a non far superare lo 0,5% del Pil all’indebitamento strutturale nella media dei tre anni precedenti la data di rilevamento oppure nei tre anni successivi incluso quello in corso. Siccome per gli anni 2012-3-4 il bilancio strutturale italiano mediamente ha sforato il limite dello 0,5% del Pil, siamo stati rimandati al 2017 quando verranno presi in considerazione i dati del 2015-16-17.  A questo punto occorre chiarire che cos’è l’indebitamento strutturale. Si tratta del bilancio pubblico che viene aggiustato tenendo conto dell’andamento del ciclo economico. A questo scopo viene calcolato il Pil potenziale, ovvero il Pil che risulterebbe dal pieno impiego delle risorse produttive, capitale e lavoro. Durante la recessione, che ci ha accompagnato fino ad oggi, è evidente che il Pil potenziale è maggiore di quello attuale, per cui il loro rapporto (Pil/Pil potenziale) non può che dare un risultato negativo (outputgap negativo).

Con quest’ultimo dato viene allora corretto l’indebitamento netto (indebitamento netto meno outputgap) ed il rapporto col Pil di questo saldo di bilancio corretto (saldo di bilancio corretto/Pil reale) fornisce l’indebitamento strutturale da tenere in media triennale sotto la soglia dello 0,5% del Pil. Tanto più elevato è l’outputgap, e con tanta maggiore facilità si rispetta il parametro in questione. Decisiva, quindi, è la determinazione del Pil potenziale. In quanto viene calcolato come funzione della produttività dei fattori, capitale e lavoro, per ottenerne il valore più alto occorre che essi vengano considerati nella loro totalità, cioè nella somma fra quote in attività e quote non occupate. E’ qui che entra in gioco il Nawru. Infatti per quel che riguarda il fattore produttivo “lavoro”, non si utilizza il dato dell’intera forza lavorativa, occupata e non occupata, ma soltanto quello risultante tenendo conto della quota obbligatoria di disoccupazione che non entra perciò nel conteggio.

E’ evidente allora che tanto più elevato è il tasso del Nawru, tanto minore sarà il Pil potenziale e quindi la grandezza dell’outputgap con cui viene corretto l’indebitamento netto. In conclusione, diventa più difficile rispettare il famoso parametro dello 0,5% del Pil, con la conseguenza di rendere ancora più pesante la politica di austerità, richiedendosi minore spesa pubblica, che in genere colpisce servizi pubblici, pensioni, sanità, scuola, salari e via dicendo, e spesso maggiore carico fiscale, anche questo gravante sempre più sulla base della piramide sociale anziché colpirne il vertice.
L’organo che calcola il livello obbligatorio del Nawru per tutti i paesi dell’area euro, è la Commissione Europea. Per quel che riguarda il nostro paese registriamo un continuo accrescimento che porta il nostro Nawru dal 7,5% nel 2009 al 10,8% nel 2015. Per la Spagna il dato è del 20%, per l’Irlanda il 15% nel 2014, mentre il dato greco si attesta al 26% sempre nel 2014.

Il Nawru, come il suo ispiratore cioè il Nairu di Friedman, non è esente ovviamente da critiche, soprattutto da parte di economisti di ispirazione keynesiana. Le possiamo raggruppare in due comparti, uno empirico e l’altro teorico.

Le osservazioni empiriche.

Siccome il Nawru come la disoccupazione di equilibrio di Friedman hanno per scopo il controllo dell’inflazione; e siccome l’Unione Europea si è assegnata l’obbligo di mantenere il tasso inflazionistico sotto il livello del 2%, la ricerca empirica ci può confermare o smentire l’efficacia pratica del tasso di disoccupazione di equilibrio.
In Irlanda, con una disoccupazione di equilibrio al 15% nel 2014, registriamo sempre nello stesso anno una disoccupazione dell’11%, senza alcuna accelerazione del tasso di inflazione.

Lo stesso esito è riscontrabile in Spagna, dove di fronte ad un tasso di disoccupazione obbligatoria del 25,9% nel 2014, la disoccupazione reale scende al 23,7% non solo senza effetti inflazionistici ma, addirittura, con la caduta in deflazione del paese. Indagini analoghe negli Stati Uniti d’America mostrano gli stessi risultati.

Oltre a queste smentite empiriche della motivazione con cui viene giustificato il Nawru, occorre avanzare un’altra importante osservazione critica. Se, ad esempio, prendiamo i dati italiani, ma questo vale per tutti i paesi, vediamo che la Commissione innalza il livello del Nawru man mano che la recessione avanza e la disoccupazione aumenta. Lo scopo è quindi quello di neutralizzare gli effetti della maggiore disoccupazione nel calcolo del Pil potenziale, in modo da mantenere sempre elevati i livelli della politica di austerità pur in presenza di recessione crescente. In sostanza, oltre allo spettro inflazionistico da esorcizzare, il Nawru ha l’evidente scopo di irrobustire e rendere sempre più drastici i provvedimenti economico-sociali di stampo neo-liberistico volti allo smantellamento o, comunque, al drastico ridimensionamento dello Stato sociale   e dei diritti dei lavoratori.

Dietro l’ipocrisia di rendere più facile il rispetto dei parametri previsti dal Fiscal Compact, in realtà si continua a perseguire sistematicamente l’obiettivo antisociale che costituisce l’anima e lo scopo su cui è fondata l’attuale Unione Europea.

La critica teorica. E’ sviluppata soprattutto da economisti di indirizzo neo-keynesiano.  La teoria che viene contestata è quella neoclassica oggi dominante, secondo la quale è ineliminabile un certo tasso di disoccupazione, in quanto qualsiasi tentativo di eliminarlo provocherebbe la reazione delle forze di mercato che riporterebbero la disoccupazione al suo livello naturale di equilibrio. Qualora comunque si riuscisse a superarlo, si precipiterebbe in una situazione di inflazione crescente. Si introduce in tal modo una novità rilevante rispetto alla vecchia curva Phillips (l’inflazione aumenta con la riduzione della disoccupazione), perché ora si sostiene che l’inflazione cresce solo sotto un determinato livello di disoccupazione.

Il nucleo forte della critica riguarda però la base per il calcolo del Pil potenziale e cioè la funzione di produzione di Solow. Si tenga presente che la teoria neoclassica non è solo un astratto sviluppo di modelli matematici fine a sé stessi, ma svolge anche e soprattutto un preciso compito pratico, sia come ideologia del sistema, sia nell’uso che ne viene fatto sul piano politico. L’esempio è appunto la funzione di Solow, utilizzata per il calcolo del Pil potenziale. Senza entrare nella discussione ad alto contenuto tecnico, ricordo solo che i neokeynesiani le imputano il difetto di attribuire la crescita economica solo al lato dell’offerta, trascurando quello della domanda, dato che la domanda ha un effetto di stimolo della stessa offerta, soprattutto attraverso gli investimenti.

Conclusione

La storia del Nawru mette in luce l’elemento anti-sociale quale nucleo sostanziale delle politiche di austerità. In breve, il loro obiettivo non è la riduzione dell’indebitamento pubblico, peraltro smentita dal continuo accrescimento del rapporto debito pubblico/Pil in tutti i paesi man mano che quelle politiche prendono sempre più corpo e consistenza. Il debito pubblico è solo un pretesto. L’obiettivo è di classe, è l’aumento dello sfruttamento del lavoro unito all’attacco sistematico ai diritti sociali.

Per quel che riguarda l’ossessiva preoccupazione per l’inflazione, la spiegazione va vista nel processo di accumulazione capitalistica sotto forma finanziaria. Se i valori degli assetti finanziari, che continuano a crescere sotto la spinta della immissione continua di liquidità da parte delle banche centrali, avessero per contropartita reale l’inflazione da prezzi di pari grandezza, vedrebbero distrutta una quota rilevante della loro consistenza effettiva. In conclusione, l’iperfinanziarizzazione del capitale esige la difesa ad oltranza del valore della moneta. L’Europa di Maastricht è nata per conseguire quegli obiettivi: rilanciare profitti ed accumulazione del capitale europeo, con quello tedesco come perno del sistema, mediante l’attacco sistematico al lavoro ed ai diritti frutto di una lunga stagione di lotte e di conquiste, ormai incompatibili con l’assetto del sistema.

Appendice
Come sono nati il trattato di Maastricht e quegli successivi? La confessione di alcuni protagonisti

Guido Carli- “Ancora una volta si è dovuto aggirare il Parlamento sovrano della Repubblica, costruendo altrove ciò che non si riusciva a costruire in patria” – in Cinquant’anni di vita italiana – Laterza 1996

 

Tommaso Padoa Schioppa – “L’Europa non nasce da un movimento democratico… L’Europa è nata seguendo un metodo che potremmo definire con il termine di dispotismo illuminato”. In Commentaire n. 27 1999

 

Giuliano Amato – “Fu deciso che il documento [Il trattato di Lisbona] fosse illeggibile, poiché così non sarebbe stato costituzionale [in modo da evitare referendum] …Fosse invece stato comprensibile, vi sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum…” – Intervento al convegno del Centro per la Riforma Europea – Londra 12 luglio 2007

 

Jeans-Peter Bonde europarlamentare danese – |” …i primi ministri erano pienamente consapevoli che il Trattato non sarebbe stato approvato se fosse stato letto, capito e sottoposto a referendum…”  – Intervento allo stesso convegno.
Mario Monti – “Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un governo tecnico sopranazionale” – Articolo “Il podestà straniero” – Corriere della Sera 7 agosto 2011

*Roberto Bartoli, membro del Gruppo Economia e Società Ernesto Balducci

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Roberto Bartoli

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2 commenti su “L’Europa del Nawru”

  1. tiziano cavalieri

    L’articolo mette troppa carne al fuoco, nel complesso concordo sul fatto che i fatti economici riflettono lo scontro sociale, come si dice i rapporti di forza. La prima osservazione riguarda l’origine dela crisi che attribuisci alla caduta del saggio di profitto ed alle condizioni per ripristinarlo. Il saggio di profitto che conta nella relazione col saggio di salario è quello sui nuovi investimenti che includono nuove tecnologie, e normalmente si sceglieranno tecnologie che convengono, misurare il saggio di profitto sui profitti ed il capitale comlessivo impiegato non è significativo dato che il capitale complessivo è costituito da mezzi di produzione di tecnologie ed epoche diverse molti dei quali non più riprodotti. L’origine della crisi, quella americana del 2008, nasce da salari reali orari nell’industria americana fermi da un lato e produttività crescente dall’altra, questo avviene dal 1974, il prodotto cresce ma può avvenire solo il credito e l’indebitamento, si creano intal modo le condizioni per la crisi finanziaria. La ricchezza finanziaria crolla, ma non ricade su azionisti ed obbligazionisti, se la accolla lo Stato, i profitti sono salvi, la capacità produttiva si distrugge fino al livello della domanda solvibile. La divaricazione fra salario reale e produttività è la vera causa della crisi, e trascina con sè la crisi del debito, o crisi finanziaria come la si voglia cambiare. All’origine di questa dinamica ci sono sostanzialmente due fatti, l’implosione dell’Unione Sovietica e l’apertura della cina agli investimenti esteri, un enorme esercto industriale di riserva è disponibile per i grandi investitori, condizione sono la mobilità dei capitali, delle merci ma anche della forza lavoro. Occorre mettere i paletti a questa mobilità a partire da quella dei capitali, se si vogliono fermare ed invertire le disuguaglianze crescenti interne e fra paesi. Sono d’accordo, la creazione di disoccupazione è una scelta cosciente delle classi dirigenti capitalistiche, con essa si vuole ridurre i salari soprattutto attraverso la distruzione dello stato sociale (taglio della spesa pubblica) in tal modo pensano di risolvere gli squilibri fra i paesi, squilibri che si manifestano nei disavanzi correnti dei conti con l’estero, ma soprattutto di sostenere la concetrazione economico finanziaria, di aprire agli investimenti privati nuovi settori come quello della sanità. Mi fermo. Sarebbe necessario discutere punto per punto quello che l’articolo sostiene, e che negli elementi di fondo condivido. Forse per un’altra città potrebbe promuovere seminari o discussioni aperte, il Web non permette una discussione-elaborazione su temi di non facile trattazione. Un saluto a Roberto, Cavalieri Tiziano

    1. Ornella De Zordo

      Grazie davvero, Tiziano Cavalieri, del commento approfondito che ci ha inviato. Come redazione siamo d’accordo che su internet è difficile confrontarsi e discutere su argomenti così complessi, e in realtà come perUnaltracittà abbiamo organizzato una nutrita serie di incontri denominati ‘Europa tossica- crisi del capitalismo, del debito, della politica’, e nell’arco di alcuni mesi abbiamo invitato ben 20 diversi relatori con conseguente dibattito. Vedremo se altri incontri ci saranno. Intanto ci continui a seguire e ci mandi commenti e suggerimenti! .

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