Jihad, Rossi va in Africa. Ma la missione è in patria

26 Giugno 2015, Francia, Kuwait, Tunisia: in 3 aree del mondo si sono perpetrati fatti di sangue di estrema violenza, in risposta all’appello dell’Isis che invitata a trasformare questo Ramadan nell’inferno degli infedeli. In Tunisia, a Sousse, l’evento più sanguinoso: l’attentato più grave della storia del Paese che, sotto choc, conta tra i feriti anche i 12milioni di tunisini. Si fatica a capire come tutto questo possa coesistere con l’apertura del primo e più promettente cantiere democratico nato dalle primavere arabe.
Per molto tempo ricorderemo questo Ramadan. O lo archivieremo velocemente come l’ennesima scia di sangue che ha turbato il nostro inizio estate. Ne ricorderemo le dinamiche violente, morbosamente ricostruite, e forse anche le reazioni istituzionali. Come le reazioni mancate.

La risposta tunisina è ormai già nota: ad un attacco che ha palesemente mirato a destabilizzare il Paese e a colpirne un ganglio economico vitale come quello del turismo, si risponde con una politica ‘diserbante’ che sembra colpire all’altro fianco tutta la società civile militante: rafforzamento del controllo poliziesco sia in zone turistiche che in zone urbane, retate continue e arresti quotidiani per individui o piccoli gruppi tacciati di essere cellule terroristiche, rimessa in discussione della legge sull’associazionismo approvata all’indomani della rivoluzione del 2011, incentivi alla delazione verso individui con comportamenti ‘in odore’ di estremismo. Si torna al pre-rivoluzione, al controllo securitario totale, alla regola del sospetto.

In Europa, la reazione è consolidata: intensificazione dei controlli, limitazione e chiusura delle frontiere ai migranti, tra le fila dei quali si trovano anche quei giovani disperati e a rischio di radicalizzazione. Su entrambe le sponde del Mediterraneo non ci si preoccupa spesso di fare una analisi delle cause di queste scelte estreme.

Una risposta è venuta anche dalla Regione Toscana, con il Presidente Enrico Rossi che ha annunciato, all’indomani dei fatti di Sousse, un suo viaggio in Tunisia. La Regione Toscana opera in Tunisia ed in altri Paesi dell’area finanziando (con fondi sempre più ridotti, data la falcidie della spending review) vari progetti di cooperazione che, grazie alle associazioni che lavorano sui territori, contribuiscono a creare dei ponti di dialogo. Questi interventi possono fornire nuove chiavi di analisi, comprensione, rilevazioni di quel malessere che può pericolosamente radicalizzarsi. Non è un caso se dai territori periferici della Tunisia o del Marocco provenga la maggior parte dei giovani che va a formarsi in Siria per unirsi alla Jihad.

Sarebbe importante cogliere questa possibilità di comprensione per portare qualcosa indietro da questi viaggi, e verrebbe da dare un consiglio anche al Presidente della Regione Toscana, che può vantare esperienze importanti sia sul fronte della cooperazione che su quello della accoglienza: al rientro dalla Tunisia, la tappa successiva deve essere Roma, guardando a Ventimiglia. Occorre incidere sulle decisioni che hanno irrigidito l’Europa rispetto alla accoglienza stessa, che l’hanno resa una fabbrica di rifiuto e, all’indomani degli attacchi, di cordoglio sterile. Se si contrappone al muro della mancanza delle opportunità oltremare un altro muro alla libertà di circolazione, non ci meravigliamo che qualcuno quel muro tenti di scavalcarlo, o cerchi di farlo saltare in modo più drammaticamente spettacolare.

E allora la missione di Rossi dev’essere in patria, deve costruire modelli di analisi e di dialogo che al momento mancano totalmente nel governo dell’Italia e dell’Europa, deve dare prospettive di medio lungo termine a sperimentazioni importanti di pratiche di accoglienza e convivenza. Altrimenti il rischio è che l’operazione sia improduttiva o, peggio ancora, generi analisi semplificate che contribuiranno solo a renderci facilmente archiviabile e quindi dimenticabile il Ramadan 2015.

EllePi, cooperante nei Paesi del Sud del mondo