Nomine ad personam

Le recenti nomine dei nuovi direttori/managers dei venti musei ritenuti di maggior interesse dal Ministero dei Beni Culturali, già commentate con ampiezza e puntualità di argomenti in numerosi articoli fra cui si segnalano quelli di Tomaso Montanari, credo meritino anche una riflessione di taglio più politico. Perché ritengo che esse siano in primo luogo un atto politico che segue un preciso disegno i cui contorni vanno completandosi via via che l’attuale governo conclude le sue così dette “riforme”.

Se ci chiediamo in cosa differiscano i nuovi direttori dai precedenti – lasciando perdere la questione dell’essere o meno italiani su cui merita tornare in altro contesto – siamo sicuri che non differiscono in quanto a maggior livello di competenza e di titoli posseduti, come è stato ampiamente dimostrato e come ci aspettiamo che venga ancor più ribadito se e quando verranno comunicati i nomi delle famose terne all’interno delle quali il Ministro ha operato la sua scelta. Aggiungiamo, semmai, che la maggior parte dei nominati non ha esperienza di direzione di grandi e complessi musei analoghi a quelli che si accinge a dirigere. Questi sono fatti e non si può ulteriormente cercare di celarli dietro le fanfare di una millantata grande innovazione.

imagesLa vera grande differenza che resta è la seguente: i direttori precedenti erano funzionari di carriera, il che non significa che fossero dei burocrati con la testa quadra come vuol far credere il Ministro Franceschini, ma significa che avevano una posizione lavorativa tale da permetter loro di esprimere un parere anche quando contrario a quello del Ministero, facoltà che hanno esercitato più volte opponendosi (o quantomeno tentando di opporsi) a decisioni che sulla base della loro competenza ritenevano dannose per le opere d’arte, soprattutto nel campo dei prestiti internazionali o degli interventi di restauro.

Non diciamo nulla di nuovo se diciamo che il nostro Primo Ministro non ama perdere tempo con chi dissente e nemmeno più di tanto con chi chiede il dialogo e per eliminare questi fastidi, dopo essersi costruito un governo modellato con le sue mani, sta procedendo a sostituire anche nell’apparato pubblico (nei grandi musei esattamente come nella scuola, ad esempio) tutte le voci libere e potenzialmente dissenzienti, collocando ai vertici persone che siano debitrici a lui solo della loro posizione.

Ecco a cosa è servita davvero la riforma dei venti musei: a fare sì che il nostro Ministro e chi lo comanda non debbano più trovarsi a discutere con direttori che non sono d’accordo con loro.