Sanità in Toscana. Questo referendum non s’ha da fare: ecco perché

Il capitolo della riforma del Servizio sanitario regionale toscano continua a fare discutere non soltanto per i contenuti della riforma ma anche per le modalità con cui viene attuata. Come è noto, prima delle elezioni regionali la Giunta Rossi improvvisamente presenta un disegno di legge di riforma complessiva della sanità che è stata recepita nella legge regionale 16 marzo 2015, n. 28, denominata non a caso, “Disposizioni urgenti per il riordino dell’assetto istituzionale e organizzativo del servizio sanitario regionale”. L’urgenza era data – così sostiene il preambolo alla legge – dalla sostenibilità economica del sistema precedente.

In nome di tale motivazione si è proceduto a un accorpamento delle strutture e a un fortissimo accentramento dei centri amministrativi e decisionali che abbiamo già precedentemente analizzato e a cui si rimanda https://www.perunaltracitta.org/2015/04/13/come-cambia-la-sanita-toscana-con-la-controriforma-di-rossi/. I contenuti – il fortissimo accentramento e le decisioni nelle mani di pochissime persone – e le modalità – l’inesistente dibattito e la fretta di approvare il tutto – hanno provocato una reazione che ha portato alla richiesta di un referendum abrogativo supportato da un numero di firme enorme: 55.000.

downloadEcco allora che abbiamo assistito a un’altra approvazione frettolosa della riforma complessiva del sistema: il 31 dicembre 2015 – ultimo giorno utile! – è stata pubblicata la legge regionale n 85 del 28 dicembre 2015, recante “Riordino dell’assetto istituzionale e organizzativo del sistema sanitario regionale. Modifiche alla legge regionale 40/2005”.

La fretta, questa volta, era determinata proprio dal voler evitare il referendum, e così in Toscana è accaduto qualcosa di mai visto: si è stralciata – temine tecnico che indica l’approvazione di solo una parte della legge rimandando il resto successivamente – la legge di riforma al solo scopo di evitare il referendum, trasfondendola in una legge più generale e abrogando la legge oggetto dei quesiti referendari. Questo allo scopo di dichiarare superfluo il referendum stesso dato che la legge già risulta abrogata dal Consiglio regionale. Piccolo problema: quelle norme continuano a esistere nella legge regionale di organizzazione e lasciano inalterata la costruzione normativa contestata.

Con un gioco delle tre carte la Giunta regionale prova a evitare il referendum e vanificare lo sforzo delle firme raccolte per non sottoporre a verifica l’operato della Giunta. Enrico Rossi ha affermato che – a livello nazionale – l’approvazione di leggi per evitare il referendum è accaduta molte volte. Questo è vero, ed è accaduto anche in materia sanitaria, ma in senso esattamente opposto, ovvero con la la chiara finalità di andare incontro alle richieste referendarie.

Mi riferisco al lontano 1978 e al superamento del sistema manicomiale. Il partito radicale raccolse le firme per l’abrogazione della normativa manicomiale e il parlamento varò la legge 180 nota a tutti come “legge Basaglia”, psichiatra triestino padre dell’antipsichiatria. Legge lungimirante che recepì lo spirito referendario. Non fu una mera – o quanto meno non solo – operazione politica tesa a evitare la consultazione elettorale, fu una vera riforma rimasta intatta a distanza di oltre trentacinque anni. La possiamo, a tutt’oggi iscrivere nelle grandi riforme di questo paese che si inseriva in un contesto politico tutt’altro che progressista –c’era il governo monocolore democristiano di Giulio Andreotti con l’appoggio esterno del partito comunista (il cosiddetto compromesso storico) – ma erano tempi in cui i movimenti e la società civile imponevano l’agenda politica e legislativa. Ricordiamo che proprio in quell’anno venne varata la legge 833 che istituiva il Servizio sanitario nazionale, quel servizio che oggi è pesantemente in pericolo proprio per le politiche nazionali e regionali.

Rossi aggiunge che se il referendum non sarà ammesso, in quanto considerato superato, si potranno sempre raccogliere di nuovo le firme per un nuovo referendum abrogativo. Le dichiarazioni del presidente della Regione Toscana sono stupefacenti in quanto dimostrano il completo disprezzo della più elementare grammatica democratica, a fronte di un fatto mai accaduto – la richiesta di un referendum regionale abrogativo in materia sanitaria (la principale delle competenze regionali) forte di oltre 55.000 firme.

Quali sono le motivazioni che hanno spinto la Regione a stravolgere il Servizio sanitario regionale? Gli argomenti ufficialmente addotti non sono veritieri: il risparmio dovuto alla semplificazione dell’attività amministrativa e il taglio di qualche decina di stipendi di alti dirigenti. A regime, il risparmio reale è realmente risibile a fronte delle cifre dei bilanci delle varie aziende del servizio sanitario regionale. I risparmi reali sono possibili solo con tagli pesanti ai servizi e alle strutture e il conseguente trasferimento delle attività al settore privato.

La privatizzazione in salsa toscana è nota e dichiarata:
a) a livello territoriale con le prestazioni di medicina specialistica e diagnostica affidate al “privato sociale” (Misericordie e Pubbliche assistenze). In un’intervista a Italia Oggi (22 dicembre 2015) l’assessore alla sanità Stefania Saccardi afferma: “Mia mamma 80enne per fare un’ecografia non va certo in ospedale, ma alla Misericordia di Campi”. A fronte della considerazione del giornalista che parla del disappunto dei dirigenti Asl la risposta di Saccardi è eloquente: “Ce ne faremo una ragione”. La priorità non è quindi fare funzionare bene il pubblico, ma favorire le prestazioni del privato ancorché sociale;
b) a livello ospedaliero con il coinvolgimento del privato (questa volta non sociale ma profit!) con la nota nefasta tecnica finanziaria del project financing che ha permesso la costruzione dei quattro ospedali di Prato, Pistoia, Lucca e Massa. Con questo strumento, con una quota di minoranza, il privato di fatto gestisce molti servizi ospedalieri per oltre venti anni.

A questo andazzo pre-riforma si aggiunge la previsione di “sperimentazioni gestionali” pubblico/privato introdotta dalle legge di fine anno. Al fine, infatti, di introdurre nell’organizzazione delle prestazioni “elementi di innovazione, economicità ed efficienza” l’articolo 31della legge regionale 84/2015 prevede l’attivazione di “rapporti in forma societaria con soggetti privati”.

Ricordiamo che le sperimentazioni gestionali pubblico/privato operate in passato sono sostanzialmente fallite. Rimangono in piedi, a livello nazionale, solo due esperienze in Piemonte e in Emilia.

Ad eccezione di alcuni grossi gruppi lombardi, la sanità privata ospedaliera è in fortissima crisi per non parlare di quella religiosa che è stata – e in parte lo è ancora – in stato pre-fallimentare dovuta proprio a pessime gestioni: Gemelli, Idi, Casa Sollievo della sofferenza, Bambino Gesù, solo per citarne alcuni travolti da malagestione e scandali giudiziari.

Eppure questa è la via scelta dalla Regione Toscana. Non deve trarre in inganno la “pubblicizzazione” (da struttura privata a pubblica) della (bella) struttura di Villa Ragionieri di Sesto Fiorentino e di Villanova. Le motivazioni sono, in questo caso, diverse: la proprietà è dell’Unipol. Qualcuno ricorderà l’intercettazione Fassino (allora segretario Ds e oggi sindaco di Torino) con Consorte (Unipol)per capire che lo storico legame prescinde da altre motivazioni http://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/politica/anto-intercetta/grillo-fiorani/grillo-fiorani.html.

La (contro)riforma toscana prevede l’accentramento in pochissime mani delle decisioni sulla salute dei cittadini rafforzata dalla squadra ridotta e fortemente fidelizzata dei direttori generali nominati (sempre i soliti da molti anni).

Nel momento in cui scriviamo non sappiamo se il referendum sarà dichiarato superfluo e non verrà di conseguenza celebrato. Appare molto probabile che andrà così. L’attacco alla sanità pubblica da parte del Governo nazionale – con i costanti tagli – e del Governo locale si saldano, dunque, in un’unica strategia aventi le medesime finalità politiche.

Mai come in questo momento la sanità pubblica è stata sotto attacco!

*Luca Benci, giurista esperto di diritto sanitario e biodiritto