Umbria. Gli ecomostri di Gubbio e Città di Castello

Per farlo saltare in aria con la dinamite, poco più di un anno fa, ci sono voluti cinquant’anni, ma oggi dell’ecomostro che con i suoi diciottomila metri cubi di cemento si era insediato sulla costiera di Sorrento ad Alimuri non v’è più traccia. Stessa sorte ebbe quello edificato nel ‘95 sul lungomare di Bari a Punta Perotti, poi abbattuto dopo un decennio.

Ma di questi mostri legati al ciclo del cemento e annidatisi lungo le coste dei nostri mari se ne contano a migliaia, dalla Sicilia alla Campania, dalla Puglia al Veneto.

c16a1b55-f121-4f93-bdb3-f9d02660e990Da qualche tempo una nuova generazione di leviatani si muove dagli abissi per spolpare quanto rimane di una natura e di un paesaggio di un paese che, fino a qualche decennio fa, era considerato tra i più suggestivi al mondo. Alcuni puntano dritti dritti al “cuore verde d’Italia”.

Nel centro storico di Città di Castello, rinomata per le opere di Raffaello o Burri, sono state gettate le fondamenta di due palazzi da destinare a residenza e a centro commerciale. Sorgono sopra l’area archeologica della Tiferno romana, a pochi passi dalla chiesa e dal chiostro di San Domenico, il monumento che custodiva la Crocefissione di Raffaello – ora alla National Gallery di Londra – non distanti dalla Pinacoteca Comunale dove è esposto il Martirio di San Sebastiano di Luca Signorelli.

Un’oscenità contro la quale per mesi si è mobilitata la parte migliore della città, a cominciare dal comitato di quartiere Prato Mattonata.Vanamente, perché a capo dell’altra si è posto Luciano Bacchetta, il sindaco, al quale non è parso vero poter firmare una convenzione con i costruttori dei 28 alloggi previsti dal progetto.

Costruttori che poi sono i proprietari degli immobili dalla cui demolizione si è preso lo spunto per l’opera mirabile: vale a dire Fabbrica autonoma tabacchi e Fintab, che in Valtiberina, su agricoltura, salute ed urbanistica sembrano avere sempre l’ultima parola.

Per un ecomostro che viene su, un altro, però, potrebbe venir giù.

A metà gennaio la Corte di Cassazione si è pronunciata inequivocabilmente: l’edificio lungo ottanta metri costruito alla Posterna lungo le mura urbiche di Spoleto deve essere demolito. Una vicenda che si trascinava dal ’98, tra pronunciamenti di tribunali amministrativi, procure e corti di appello, inclusa quella di Firenze che aveva condannato nello scorso luglio i costruttori per violazione dei piani di edificazione.

Un esempio di urbanistica contrattata tra amministrazioni civiche – ben tre in successione – ed imprese edilizie, che partiva da un progetto di mobilità alternativa (parcheggio e scala mobile verso il centro cittadino). Con la scusa del recupero di una zona degradata, la vicenda si è concretizzata in una colata di cemento a ridosso delle mura medioevali per il profitto dei soliti noti.

Una vicenda dolorosa per la comunità spoletina. Anche perché legata alla storia di Michele Fabiani e degli altri quattro giovani spoletini (due dei quali deceduti), condotti in carcere nell’ottobre del 2007 con l’accusa, poi rivelatasi infondata, di far parte di una cellula anarco-insurrezionalista, ma in realtà colpevoli soltanto di aver compiuto piccoli atti di sabotaggio ai danni di quelle stesse imprese che a quel tempo deturpavano la città.

Eppure a tutela del patrimonio storico urbano delle città medie e piccole – che sono state la fisionomia del Bel Paese – esiste, come ha ricordato su questo stesso foglio recentemente Ilaria Agostini, «una tradizione teorica ed operativa riconosciuta internazionalmente a partire dalla Carta di Gubbio (1960) che equiparava a monumento l’intero centro storico, che predicava la necessità di restaurare le pietre senza espellere le popolazioni residenti nei centri».

Proprio a Gubbio – se ne è avuta eco a fine anno sulla stampa nazionale – le logge dei Tiratori, edificio fondamentale nella storia della città umbra, dovrebbero essere tamponate da immense deturpanti vetrate grazie a un progetto finanziato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Perugia e fortemente voluto dal suo presidente Carlo Colaiacovo, esponente della potente famiglia che, con la sua industria cementiera, condiziona le sorti di Gubbio da qualche decennio.

Un processo di valorizzazione di un immobile entrato nel bilancio della Fondazione che – come ha scritto Paolo Berdini – non si è fermato nemmeno di fronte alla storia ed alla identità del popolo eugubino.

A Gubbio, come è successo a Città di Castello o a Spoleto, il sindaco Stirati e la giunta si sono stesi come zerbini a favore di progetti contro il patrimonio pubblico, culturale e paesaggistico. Ciò non ha impedito che un gruppo di eugubini dicesse no, opponendosi, finora con successo, al tentativo di mettere le mani degli speculatori sul monumento. Con l’apporto di storici, urbanisti e letterati, e dopo aver organizzato una mostra alla quale hanno partecipato artisti italiani e stranieri, i cittadini di Gubbio hanno lanciato una petizione che è giunta fino al Quirinale, ottenendo da Mattarella apprezzamento e sostegno.

Chissà, forse il Presidente avrà pensato di mettere le mani avanti prima che a qualcuno venga in mente di fare lo stesso al Colosseo, come paventava The Telegraph riferendo della cosa.

*Maurizio Fratta, Associazione Borgoglione